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Cari lettori, benvenuti a questo primo incontro sul vangelo secondo Marco. Diciamo subito che cosa non saranno gli articoli proposti: lunghi, completi, collegati. È vero che il vangelo merita tanto tempo, tante introduzioni e tante connessioni, ma il punto è che il vostro umile autore non è l’uomo giusto per questo. Un tempo, quando insegnavo religione a Milano, un amico e collega, poiché mi lamentavo di sapermi destreggiare in tanti ambiti ma senza mai riuscire a spiccare, mi disse: «Pierre, il tuo compito non è eccellere in qualcosa di particolare, perché tu sei un fruitore di bellezza, devi scovare la bellezza dappertutto e raccontarla». Fu allora che compresi meglio la mia piccola missione: aprire delle porte, scovare degli indizi sul Mistero, lasciando che altri ne tracciassero le vie. Proprio per tale ragione queste riflessioni che vi proporrò sui differenti capitoli del vangelo secondo Marco non saranno focalizzati su specifici brani o episodi, ma tenteranno di proporre una riflessione centrata su di uno sguardo complessivo del testo.

Dunque, da dove iniziamo? Beh, dall’Inizio, direi. Il Vangelo più corto di tutti e quattro, il vangelo del catecumeno, come qualcuno l’ha definito, inizia con l’Inizio, Ἀρχὴ, «Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio»1. Colpisce il fatto che san Marco, in pochissimi versetti, mette tutto, anzi tutti, in campo; non manca nessuno di fronte a questa avventura infinita che sta accadendo: Gesù, Giovanni il Battista, i peccatori al Giordano, la colomba, la voce dal cielo, il Cielo, gli angeli, Satana e gli spiriti impuri, Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni, la Giudea e la Galilea, le tentazioni nel deserto, l’annuncio del vangelo, malati e posseduti, esorcismi e guarigioni.

Una presenza dirompente: tutto Israele trabocca di Cristo, trabocca della Sua identità, trabocca della sua divinità. Tutto gli è soggetto, anche il peccato, anche i demoni. Una presenza così dirompente da imporsi, tanto che persino il lebbroso guarito, come dice Beda il Venerabile, «non tace sull’avvenuta guarigione e sul nome di colui che pure gli aveva ordinato di tacere»2.

È tuttavia anche una presenza discreta. L’apparente dicotomia fra questi due caratteri fa nascere spontanea una domanda: se Dio è così presente, dov’è oggi? Che la questione sia posta in modo inesatto l’aveva certamente capito Pär Lagerkvist, un poeta svedese, che si chiedeva: «Chi sei tu che colmi il mio cuore della tua assenza?/ Che colmi tutta la terra della tua assenza?»3. Oggi siamo nel tempo della presenza spinta all’eccesso, nel mondo dell’apparenza. Il grave malanno dell’oggi è credere che assenza significhi inesistenza, che discrezione implichi insignificanza. Ma non tutto ciò che è discreto e non risalta all’attenzione è secondario, perché un semplice e ritmico battito del mio cuore, suono impercettibile, è ciò che mi permette di scrivervi e pensarvi in questo momento.

Viviamo in una realtà in cui vediamo tante cose ma ci dimentichiamo della Luce che ce le rende visibili, cogliamo i frutti di un Albero di cui forse nemmeno sospettiamo l’esistenza. Eppure, buon Dio, «Tutti ti cercano!»4, ma tu rispondi «Andiamocene altrove»5; vorremmo gridare al mondo quanto è sconvolgente un miracolo eppure tu ci rispondi «Guarda di non dire niente a nessuno»6. Ma il bello è questo: non ogni paradosso è contraddizione, non ogni delicatezza è negazione. Il buon Dio ama la delicatezza, la finezza, il dettaglio, proprio perché è totalità. Il segreto sta tutto qui: quello stesso mondo, quella stessa realtà in cui tutti navighiamo, ad alcuni dice Tutto, ad altri dice Nulla, ma il problema non sta là fuori, bensì dentro di noi. Non è questione di prove, è un problema di vista, perché «per il fatto che i ciechi non vedono, non si può concludere che la luce del sole non brilla»7. San Marco dice esattamente che l’Inizio di tutto, l’Eterno, si è fatto visibile, non ce lo dimostra, ce lo mostra. È come quando affermiamo di voler bene a qualcuno: non stiamo dimostrando nulla, tutt’al più porgiamo un invito. E per scorgere questo invito di Dio nella realtà, questo invito che è la realtà, occorre solo fare un po’ di silenzio, ascoltare meglio e incamminarsi.


1 Mc 1, 1.

2 San Beda il Venerabile, Commento al Vangelo di Marco, 1, 1, 45.

3 Pär Fabian Lagerkvist, Poesie, Guaraldi 1991, 111.

4 Mc 1, 37.

5 Ibidem.

6 Mc 1, 44.

7 San Teofilo di Antiochia, Tre Libri ad Autolico.

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Chi sono io? Se è vero che gli altri possono talvolta descriverci meglio di come ci definiremmo noi, vi lascio una definizione sintetica di un amico ed ex collega: "tu sei un fruitore di bellezza"... Che significa? Semplice. In tutto quello che ho vissuto finora, dallo studio maldestro della teologia alle immeritate Grazie nel lavoro come professore, dal calore della mia famiglia fino al colore delle tante amicizie, una cosa sola mi è sempre stata chiara: tutta questa Bellezza mi chiama da sempre, e ho scoperto che è solo andando più in fondo - non da solo, ecco perché c'è la Chiesa - che posso trovarla e sempre goderne, per poi annunciarLa agli altri, perché sappiate che «La cinta esterna del Cristianesimo è un rigido presidio di abnegazioni etiche e di preti professionali; ma dentro questo presidio inumano troverete la vecchia vita umana che danza come i fanciulli e beve vino come gli uomini» (G. K. Chesterton). Ecco perché mi son fatto domenicano... Per contattare l'autore: fr.piergiorgio@osservatoredomenicano.it