Il culto dei santi
La Chiesa, lungo la sua bimillenaria Tradizione, ha sempre riconosciuto l’importanza del culto da tributare ai santi, tanto da proporli alla venerazione del popolo fedele, nel corso di tutto l’anno liturgico. Ciò ha fatto sì, inoltre, che essa stabilisse un giorno in cui celebrare, tutti insieme, coloro che già godono dell’eterna beatitudine, conosciuti o sconosciuti che siano, confermati o meno da un processo di canonizzazione, ovvero la solennità di tutti i Santi.
L’esistenza di una così bella festività ci permette di riflettere su un elemento veramente imprescindibile della vita spirituale del credente, che riguarda, anzitutto, la relazione stessa con Dio. A questo proposito, possiamo riportare una citazione tratta dalla lettera agli Ebrei: «Voi invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli» (Eb 12,22-23a). Questi versetti ci ricordano che, nella vita nuova nella quale noi entriamo mediante il battesimo, la grazia, instaurandoci in una comunione del tutto speciale con Dio, estende questa comunione a tutti coloro che già abitano la Gerusalemme del cielo. La fede in questo legame che si instaura fra cielo e terra indica qualcosa non di marginale o sovraggiunto, ma, anzi, fondamentale per comprendere meglio ciò che riguarda il fine sovrannaturale a cui è ordinata la vita dell’uomo.
In comunione con la Chiesa del Cielo
Nel Credo apostolico, affermiamo di credere la comunione dei santi. Questa verità deriva dalla definizione di Chiesa come corpo mistico di Cristo: Gesù, mandando il suo Spirito, unisce a sé i credenti, formando un unico Corpo di cui Egli è il Capo (cfr. Col 1,18), mentre i fedeli ne costituiscono le membra. Pertanto veniamo uniti sia a Cristo sia tra di noi, divenendo una sola realtà, appunto come le diverse parti di uno stesso corpo1.
Da ciò consegue la fede nella comunione dei santi, così esplicata da san Tommaso d’Aquino, nel Commento al Simbolo: «Come in un corpo animale l’attività animale di un membro torna a beneficio di tutto l’organismo, così avviene nel corpo spirituale che è la Chiesa. Siccome, perciò, tutti i credenti sono un unico corpo, il bene degli uni viene comunicato agli altri», continuando, «nella Chiesa esiste la comunione dei beni. Ed è quello che professiamo dicendo: Credo nella comunione dei santi»2.
Le parole del Dottore Angelico riferiscono come questa comunione è significata dalla Chiesa stessa e riguarda già noi che ne facciamo parte, per cui il bene di un membro è partecipato da tutti gli altri: della nostra preghiera, dei nostri sacrifici, delle nostre opere di misericordia beneficia la Chiesa tutta. Vincolo di questa comunione non può essere che la carità, quale radice comune che ci lega a Cristo ed ai fratelli: la carità indica amicizia e l’amicizia implica condivisione.
Se questa condivisione si realizza già per noi che siamo ancora in via, allora non può non esprimersi anche nei confronti di coloro che ci hanno preceduto nella gloria del Paradiso. Infatti, i beati sono in piena comunione con Cristo e, proprio perché questa comunione trova il suo principio nella carità, anche essi non possono essere esclusi dall’intreccio di questi legami d’amore. Essi sono perfettamente conformati alla volontà di Dio, dunque posseggono stabilmente «gli stessi sentimenti che furono di Cristo» (Fil 2,5). E come Cristo non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio (cfr. Fil 2,6), ecco che essi non ritengono per se stessi la felicità di cui godono: all’eterna lode che essi rivolgono a Dio uniscono la loro continua preghiera per noi. Non cessano, peraltro, di offrire i propri meriti acquisiti in terra a nostro favore, meriti che rimangono eternamente presenti a Dio3, da loro supplicato perché conceda a noi le grazie e benedizioni necessarie alla nostra eterna salute. Per questo a noi è data la certezza che la loro preghiera sia più efficace delle nostre opere, e da ciò deriva la confortante promessa che lo stesso santo padre Domenico rivolse morente ai suoi frati: «ch’egli sarebbe stato loro più utile da morto che da vivo»4.
Nella carità che ogni singolo beato ha per noi, si esprime l’amore infinito con cui Dio ci sollecita ad amarlo. Sappiamo che Dio si è servito, nella storia della salvezza, di uomini che facessero da intercessori per il suo popolo, come Mosè. Così Dio manifesta la sua misericordia nella continua supplica che i santi, quali “amici di Dio”, rivolgono a nostro riguardo.
Ecco che, se temiamo di presentarci davanti alla Maestà Divina, soli e con tante miserie e peccati, siamo allora accompagnati da tanti pietosi avvocati. Oppure, se siamo tentati di disperare, l’esempio dei santi ci mostra come nulla sia impossibile alla grazia di Dio, la quale tanto ha operato in loro stessi. I santi, poi, desiderano che essa operi anche in noi.
Se noi difettiamo nella virtù, essi ottengono per noi di conseguire quelle in cui hanno eccelso. Quale meraviglioso bene ci è dato, dunque, in questa felicissima amicizia! E quale tra le più sciocche ingratitudini sarebbe chiudersi ad un così prezioso ausilio offertoci da tanti nostri amici beati!
Uniti per l’eternità
La certezza di questa comunione ci fa intendere, infine, quanto siano vere le parole dell’Apostolo: «La carità non avrà mai fine… Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!» (1Cor 13, 8a. 13). Dio è amore (cfr. 1Gv 4,8), e se la nostra piena realizzazione, ovvero la nostra felicità, è stare in comunione con Lui, tale unione non si realizza se non nella carità. E ciò si traduce per i santi nel volere per gli altri la beatitudine di cui già godono pienamente, attraverso la continua intercessione.
Questa carità da parte dei santi non si esercita unicamente verso noi ancora pellegrini sulla terra, ma anche verso tutti i concittadini della Gerusalemme del Cielo, come dice ancora l’Aquinate: «Trovarsi insieme a tutti i buoni sarà una compagnia massimamente piacevole, perché ciascuno avrà così tutti i beni in comune a tutti i loro e là ciascuno amerà l’altro come se stesso e godrà di quello altrui come del proprio bene. E ciò farà sì che, aumentando la gioia e la felicità di uno, aumenti la felicità di tutti»5. È proprio dell’amicizia non solo volere il bene dell’altro, ma gioire del bene che già egli possiede, come se veramente fosse proprio. Perciò possiamo dire che lo splendore di cui i santi sono rivestiti per opera della grazia è per noi speranza di poter partecipare di ciò che è causa in loro di tanta esultanza, ed essi a loro volta parteciperanno della nostra.
Queste riflessioni ci fanno comprendere come veramente sia festosa quell’adunanza di tante schiere beate, di cui parla l’autore ispirato della lettera inizialmente citata. Infatti, già ora ci è concesso di prendere parte a questo celeste convito, in particolare ogni volta che ci accostiamo all’unico altare, ove Cristo ci associa già ora alla liturgia del cielo.
Avvenga anche per noi di poter sperimentare la dolcezza della divina amicizia nella costante compagnia dei suoi santi, coltivando questo legame nel ricordarci di loro e nel rivolgerci a loro nella nostra preghiera.
1 Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1993, pp. 217-220.
2 TOMMASO D’AQUINO, Commento al Simbolo degli Apostoli, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2012, trad. it. PIETRO LIPPINI O.P., p. 100.
3 Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1993, p. 256.
4 P. PIETRO LIPPINI O.P., San Domenico visto dai suoi contemporanei, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1983, p. 102.
4 TOMMASO D’AQUINO, Commento al Simbolo degli Apostoli, op. cit., p. 116.