I due cardinali

Non vi sono molti uomini proverbiali su questa terra, persone che nonostante tutta la loro complessità si possano riassumere in una frase. Sono quel genere di uomini che hanno vissuto per qualcosa o, ancor meglio, per Qualcuno e lo hanno fatto sino alla fine; sono quel genere di uomini che lasciano un po’ più pallida la terra all’atto di partire. È stato così per il Cardinal Giacomo Biffi ed è così per il suo successore, il Cardinale Carlo Caffarra.

Ma ciò che certamente rimane è il Cristo cui hanno prestato, anzi donato, il loro volto, la loro voce, la loro carne. Perché cos’altro potrebbe essere il Battesimo e poi il sacramento dell’Ordine, se non la perpetuazione dell’Incarnazione? Così siamo anche noi e così dobbiamo ricomprendere la luce della nostra esistenza, perché questo ci è stato rivelato, che siamo luce del mondo [Cfr. Mt 5, 14]. Cosa significhi essere la luce, lo hanno insegnato con grandissima profondità sia l’arcivescovo Biffi che Caffarra. Li dico insieme, perché ho sempre vissuto e veduto la radicale continuità che intesse il gesto del loro magistero.

L’assoluta libertà del cristiano

Il Card. Giacomo BiffiBiffi incarnava il suo motto episcopale e così anche Caffarra. Il primo aveva compreso tenacemente che ubi fides ibi libertas, così la libertà di pensiero, la libertà di parola, la libertà di scelta erano tutte fondate sul pensiero di Cristo, sulla Parola di Cristo, sull’estrema scelta di un Dio che dà la vita per l’uomo. Perché la libertà non consiste nella possibilità di fare o dire tutto ciò che si vuole, ma in una ragione per cui non si possa fare più altrimenti.

L’uomo giusto non è colui che fa la giustizia perché ne ha voglia, ma perché non reputa nulla di così bello e vero da potersi considerare un’opzione rilevante alla giustizia. Di qui nasce una libertà che non è più in balia del potente di turno e della prepotenza dei ‘grandi’ di questo mondo; una libertà che non si vende al primo ricatto, perché si è già totalmente donata a qualcosa che tutto trascende. Una libertà, dunque, che per essere totale si fonda su un atto di Fede.

Il vero primato della misericordia è primato di Cristo

È su questa linea che bisogna leggere la figura del Cardinale Carlo Caffarra, il cui motto continua ora più che mai ad essere urgente: Sola misericordia tua. È una frase rivolta a Cristo, una frase che grida l’unica sorgente autentica del perdono, di fronte alla quale ogni altra forma di benevolenza più che compassione è compromesso. Ma se vi è una cosa che l’insegnamento dell’Arcivescovo di Bologna ha sempre ribadito con chiarezza è che bisogna odiare il peccato per amare il peccatore, come bisogna detestare la malattia per poter ricercare il bene del malato.

Stemma e motto episcopali del card. Caffarra "sola misericordia tua"
Stemma e motto episcopali del card. Caffarra

Quale sia la malattia più grande dell’uomo odierno, lo aveva già scorto il pensiero di Chesterton: essa non è di natura morale, benché la crisi morale ne sia un doloroso sintomo, ma di natura intellettuale. Il peccato originale non è stato disobbedire a Dio, divorare cupidamente il frutto proibito (questa è piuttosto la conseguenza): è stato quello di farsi uguali a Lui, ma senza di Lui. Ecco la colpa di Adamo: il primo vero atto di ateismo nella storia.

È da questa essenziale consapevolezza che la grande libertà di Caffarra lo ha indotto a rivolgere duri ammonimenti alla città di Bologna, al suo abbruttimento. Ed è stata la medesima libertà che lo ha indotto a sottoscrivere i dubia: egli sapeva che la prima misericordia che si possa restituire ad un mondo che ha perduto il lume della ragione per surrogarlo con una tecnica volontaristica, è solo la verità. Essi, perciò, non sono riserve sul Pontefice: chi come i due cardinali di Bologna sono stati strenui difensori del primato petrino? La più bella definizione che si potrebbe dare è quella di un predicatore domenicano: “Il dubbio è la gelosia del vero” [p. Giuseppe Barzaghi op, L’originario, esd, Bologna 2015 pp. 85 e 88], il suo travaglio critico per raggiungerlo.

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fr. Pietro Zauli
Chi sono? In verità non ne so molto più di voi. Del resto, vivo anche per scoprirlo. Ma giustamente chi legge questo genere di presentazioni, si attende una sfagiolata di dati anagrafici. Essia! Sono nato all’Ospedale Maggiore di Bologna quel glorioso 9 settembre del 1994 (glorioso per ovvie ragioni). Chi non mi ha mai veduto senza barba, ipotizza che mi trassero dal ventre di mia madre proprio tirandomi dalla barba… inquietante, ma non smentirò questa leggenda. Frattanto in questi 25 anni di vita ho frequentato il liceo scientifico Malpighi, mi sono appassionato a Tolkien, alla Filosofia, alla Poesia medioevale e novecentesca, infine alla cinematografia, su cui amo diffondermi in raccolte meditazioni crepuscolari. Cosa ho compreso saldamente? Ad una sola vita, un solo modo per viverla. Per questo appena conseguita la maggiore età, ho fatto domanda di entrare nell’Ordine dei Frati Predicatori. Attualmente mi nutro di studi di San Tommaso, di spiritualità e di metafisica (sto affrontando un densissimo filosofo Polacco, Przywara … la pronunciabilità del nome è direttamente proporzionale alla sua chiarezza). Per contattare l'autore: fr.pietro@osservatoredomenicano.it

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