Che cos’è la preghiera?

La preghiera è un argomento molto vasto e complesso, una realtà che, andando oltre l’orizzonte sensibile, l’uomo riesce con difficoltà a definire. Tutte le religioni hanno cercato di approfondire questa pratica misteriosa ma vitale, un atto attraverso il quale il credente si relaziona al divino. Come un uomo, per comunicare con un altro individuo, utilizza il linguaggio così da esternare le sue intenzioni ed i suoi sentimenti, così per rivolgersi a Dio il credente si serve di parole e gesti capaci di esprimere i suoi desideri e pensieri.

In questo breve articolo cercheremo di tracciare gli elementi fondamentali della preghiera cristiana; ci faremo aiutare dalla Somma Teologica, opera dove san Tommaso, oltre al suo personale contributo teologico, offre anche un riassunto del ricco patrimonio spirituale che i Padri della Chiesa ci hanno lasciato.

Nella Questione 83 della II-II, in cui analizza la preghiera, innanzitutto troviamo l’affermazione di sant’Isidoro di Siviglia dove si dice che «pregare equivale a parlare»1; vi si aggiunge la definizione di sant’Agostino d’Ippona secondo il quale «la preghiera è una domanda»2 ed infine il contributo di san Giovanni Damasceno, ripreso anche dal Catechismo della Chiesa Cattolica, il quale asserisce che «la preghiera è l’elevazione dell’anima a Dio o la domanda a Dio di beni convenienti»3.

L’unione di queste tre definizioni fornisce già una risposta sintetica alla nostra indagine e permette al Doctor Communis di esplicare in che senso la preghiera è un atto dell’intelletto e della volontà. È un atto della ragione in quanto il soggetto orante deve avere una minima conoscenza e consapevolezza delle richieste che sta rivolgendo all’Altissimo, del significato delle parole che sta pronunciando e della realtà soprannaturale che esse indicano; è anche un atto dell’appetito intellettivo in quanto è la volontà «che muove la ragione verso il proprio fine»4.

La preghiera è un atto della volontà mossa dalla carità: «Poiché nella preghiera si deve chiedere specialmente la nostra unione con Dio, secondo le parole del Sal 26 [4]: Una cosa sola ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita»5.

In poche parole, la preghiera è un atto che coinvolge tutto l’uomo partendo dalla sua essenza, cioè dall’anima, la quale, mossa e permeata dalla Grazia, si rivolge a Dio attraverso le sue facoltà spirituali, cioè l’intelletto e la volontà. Poiché l’intelletto si soddisfa conoscendo il vero e la volontà si appaga portandosi sul bene, e come sappiamo Dio è sia Verità sia Sommo Bene, ne consegue che tanto più l’uomo conosce e ama Dio, tanto più raggiunge la sua perfezione, la vera gioia e l’autentica pace, avendo ricevuto dall’Altissimo la piena soddisfazione delle sue facoltà più alte.

Come ci ricorda l’enciclica Fides et ratio del 1998: «L’intelletto deve porsi in ricerca di ciò che ama: più ama, più desidera conoscere. Chi vive per la verità è proteso verso una forma di conoscenza che si infiamma sempre più di amore per ciò che conosce»6.

Dunque la preghiera è un atto che unisce il nostro essere a quello di Dio; da ciò consegue che anche ogni atto di carità, poiché ci unisce a Dio, è preghiera. Quindi, come siamo chiamati ad amare tutti gli uomini, anche i nemici, così siamo chiamati a pregare per tutti, anche per i nostri avversari. Questo è un elemento fondamentale dell’insegnamento del Maestro: «Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5, 44-45).

Pregare per i nemici? E le distrazioni nella preghiera?

Pregare per i nostri nemici non è facile ma Dio ci dona la Grazia di poter compiere questo sforzo; per giunta abbiamo anche l’aiuto dei nostri fratelli nella fede che ci hanno preceduto in Paradiso: «Quanto più grande è la carità dei santi del paradiso, tanto più essi pregano per i viatori che possono essere aiutati con la preghiera; e più sono uniti a Dio, più sono efficaci le loro preghiere. Infatti l’ordine divino dell’universo esige che l’eccellenza degli esseri superiori ridondi sugli inferiori, come la luce del sole che si diffonde nell’aria»7.

Soffermiamoci ora su una domanda piuttosto comune: se durante la preghiera l’attenzione viene meno, essa è completamente inutile? Tommaso, seguendo l’insegnamento dei maestri di vita spirituale, risponde dicendo che non dobbiamo preoccuparci; la preghiera è efficace anche se involontariamente durante il suo svolgimento la concentrazione è venuta meno. La cosa necessaria, che non deve mancare per rendere la preghiera meritoria ed efficace, è l’intenzione con cui la iniziamo8, fermo restando l’imperativo a fare di tutto per mantenere desta l’attenzione.

Pregare senza interruzione

Un’altra questione interessante è capire in che senso la preghiera debba essere continua. Nel Nuovo Testamento vi sono riferimenti espliciti «sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai» (Lc 18, 1). Non solo Gesù nella parabola della vedova importuna, riportata dal Vangelo secondo Luca (Lc 18, 1-8), anche san Paolo accoratamente esorta: «Siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie: questa infatti è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi» (1Ts 5,16-18). Da questa asserzione si desume anzitutto che la preghiera deve essere continua nel senso che l’uomo continuamente deve avere un atteggiamento interiore di gratitudine verso Dio; esso è sostanzialmente un semplice e fiducioso slancio del cuore, una disposizione permanente dell’affetto, un effetto della presenza dolce e soave dello Spirito Santo in noi che non richiede alcuno sforzo della ragione e cessa solo con il peccato mortale.

Il Doctor Angelicus, ossia san Tommaso d’Aquino, in continuità con il pensiero di sant’Agostino, spiega che obbedire al comando del Signore di pregare sempre non significa che concretamente dobbiamo trascorrere tutto l’arco della giornata recitando delle preghiere, cosa che sarebbe assurda dati i lavori che l’uomo è chiamato a svolgere. La preghiera deve essere continua nel senso che deve essere continua la sua causa: «La causa della preghiera è il desiderio mosso dalla carità, dal quale essa deve scaturire. E questo desiderio in noi deve essere continuo, o in atto oppure virtualmente: infatti la virtualità perdura in tutto quello che facciamo mossi dalla carità; d’altra parte dobbiamo fare tutto a gloria di Dio, come è detto in 1 Cor 10»9.

Dunque pregare continuamente significa fare la volontà di Dio in tutte le nostre azioni quotidiane mantenendo una continua comunione con Cristo; in questo modo metteremo in pratica l’insegnamento del Maestro che dice: «Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7,21). Tra le Grazie mistiche più grandi c’è quella di essere costantemente uniti a Cristo durante tutta la giornata. Questo avviene quando la divina volontà plasma a suo piacimento la volontà umana in modo da rendere ogni atto del credente gradito a Dio.

Ovviamente però il fedele deve trovare dei momenti durante la giornata in cui coltivare il suo rapporto con Dio attraverso concreti atti di preghiera. La Santa Messa, vissuta tanto nelle festività quando, ove possibile, anche nei giorni feriali, è certamente la più alta e perfetta forma di preghiera. Ad essa i Papi hanno aggiunto la raccomandazione di altre forme d’orazione, come per esempio la recita quotidiana del santo rosario. Il metodo ideato dai monaci per tenere desto l’amore e il desiderio verso Dio era invece quello di utilizzare frequentemente brevissime giaculatorie10 anche durante il lavoro quotidiano.

Frutti della preghiera

Oltre al conforto spirituale, la preghiera ottiene altri due effetti: essa ha «la virtù di meritare e quella di impetrare»11. Ha la capacità di meritare in quanto procede dalla Grazia di Dio e dalle virtù teologali, specie dalla Carità. La preghiera è innanzitutto un dono di Dio, tanto che le persone iniziano a pregare quando fanno esperienza della misericordia del Padre, la sola in grado di sanare le ferite dell’uomo. È dall’orazione impetrata dalla Grazia che deriva la Grazia: «La preghiera fatta senza la grazia santificante non è meritoria, come non lo è neppure alcun atto virtuoso»12. Poi ricordiamoci che l’orazione, come qualsiasi atto virtuoso, ha la capacità di meritare «in quanto procede dalla radice della carità, il cui oggetto proprio è il bene eterno, del quale meritiamo la fruizione»13. Inoltre sono indispensabili la fede, perché dobbiamo credere nel Dio rivelato da Cristo, e la speranza perché dobbiamo sperare di poter ottenere da lui ciò che domandiamo14.

Ricordiamoci poi che la preghiera dell’uomo viene esaudita quando è conforme alla volontà di Dio, cioè quando vengono chiesti beni, spirituali o materiali, necessari ed utili alla salvezza con pietà e perseveranza. Per esempio, san Paolo non venne esaudito quando chiese di essere liberato dalle tentazioni carnali, perché esse di per sé non sono peccato; senza l’assenso volontario della persona, i morsi delle tentazioni non sono di ostacolo al conseguimento del fine ultimo. Oppure può succedere che quando preghiamo per la guarigione di un ammalato, quest’ultimo non venga guarito; la nostra preghiera però non è certo rimasta inascoltata e magari gli ha dato la Grazia di accettare con pazienza la propria sofferenza ed offrirla a Dio per la conversione dei peccatori, come Cristo accolse la propria per la salvezza degli uomini.

«Se invece quanto viene chiesto è utile alla beatitudine di chi prega, come elemento indispensabile per la sua salvezza, allora uno lo merita non soltanto pregando, ma anche facendo altre opere buone»15.

Infine ricordiamoci che la nostra orazione deve sgorgare da un cuore umile e pieno di gratitudine verso la Santissima Trinità. Dobbiamo essere consapevoli che la nostra preghiera non cambia le immutabili disposizioni divine ma al contrario, se autentica, adegua l’uomo all’eterno disegno di Dio e lo dispone «ad avere fiducia in lui, e a riconoscere che egli è la causa dei nostri beni»16.

 

1 S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae (STh) II-II, q. 83, a. 1.

2 STh II-II, q. 83, a. 1.

3 CCC 2259.

4STh II-II, q. 83, a. 1.

5STh II-II, q. 83, a. 1.

6  Giovanni Paolo II, Fides et ratio. Lettera ai vescovi della Chiesa Cattolica circa i rapporti tra la fede e la ragione, 14.9.1998, n. 42, in EE 8/2458.

7 STh II-II, q. 83, a. 11.

8 Cf. STh II-II, q. 83, a. 12.

9 STh II-II, q. 83, a. 14.

10 Cf. STh II-II, q. 83, a. 14.

11STh II-II, q. 83, a. 15.

12 STh II-II, q. 83, a. 15.

13 STh II-II, q. 83, a. 15.

14 Cf. STh II-II, q. 83, a. 15.

15 STh II-II, q. 83, a. 15.

16 STh II-II, q. 83, a. 2.

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Fr. Damiano Andrini
Sono nato a Crema il 12 luglio 1991. Ho iniziato a farmi domande serie sulla fede e sulla mia vocazione intorno ai 19 anni, una volta finite le scuole superiori. Queste domande mi portarono ad approfondire i contenuti della fede cristiana, iniziai a leggere personalmente i vangeli e successivamente, come mi consigliò un mio amico, lessi anche il Catechismo della Chiesa cattolica. Inoltre incominciai a frequentare le iniziative della parrocchia, e fu proprio qui che, durante gli incontri di catechismo per gli adulti tenuti dal viceparroco, sentii per le prime volte i nomi di san Tommaso d’Aquino e di santa Caterina da Siena, nomi che suscitarono in me un forte interesse di approfondire il loro insegnamento. Piano piano, continuavo a sentire in me sempre più intenso il desiderio di diventare religioso: fu così che, una volta avuti i contatti per il percorso di discernimento vocazionale nell’Ordine, intrapresi un percorso che mi ha portato ad essere un frate dell’Ordine dei Predicatori. Ho emesso i voti semplici il 15 settembre 2019.