Non sapremo mai, purtroppo, se Jean Mercier avrebbe potuto essere l’erede di Giovannino Guareschi. A soli 54 anni ha detto addio al mondo dopo essere stato a lungo malato. Fra le cose che ci ha lasciato, segnaliamo un prezioso libro. “Il signor parroco ha dato di matto” è la vicenda, narrata con leggera ironia, ma anche con un realismo tagliente, di un parroco di campagna, che si trova disarmato di fronte alle difficoltà del ministero sacerdotale, di fronte alle difficoltà di conciliare i rapporti con il vescovo, gestire le tensioni che si creano in una comunità parrocchiale, in cui un parroco può sentirsi tremendamente solo, pur essendo letteralmente circondato, al punto che per molti parroci oggi, è anche difficile trovare il tempo per la propria preghiera personale, come se non venisse riconosciuto loro, non solo la necessità del loro tempo, ma fosse frainteso il loro ruolo, non più pastori, ma in qualche modo dei parafulmini.
In questo disagio, gioca un ruolo importante, l’orgoglio, che non risparmia neanche il nostro parroco, che accende, in parrocchia, liti per motivi futili, screzi causati dall’invidia e dall’incapacità di avere uno sguardo misericordioso, anche e soprattutto, per chi sembra non averne bisogno, come un sacerdote, per esempio.
È una cosa che tocca molto profondamente la nostra vita, è la ferita del peccato originale, che a volte ci porta a vedere il buono che c’è negli altri, come una deprivazione per noi, senza renderci conto che il buono negli altri è soprattutto anche per noi.
E lo racconta alla perfezione don Beniamino con la metafora degli argini dei fiumi che, se non vengono curati, non resistono alle piene. “Da parte mia, – confessa don Beniamino ad una giornalista – credo di non pregare abbastanza, e questo perché sono venuto meno ai miei appuntamenti di preghiera che ho interrotto […] Quando non si fa manutenzione, gli argini si crepano, non reggono quando arrivano tempesta e inondazione. Per questo voglio concentrarmi sul mio ministero di prete, sulla sostanza delle cose”.
A scatenare le tempeste possono essere i complicati rapporti con il suo vescovo, sentito sempre meno amico e vicino, con la responsabile del catechismo, che vorrebbe imporre un suo programma di stampo post sessantottino, con la comunità parrocchiale che, almeno in parte, si ribella alla sola idea che per le prime comunioni, ci sia una liturgia penitenziale aperta anche ai genitori e che si ricordi quali sono le conseguenze e l’importanza delle promesse battesimali o, peggio ancora, quella del sacramento della confessione, per poter essere veramente in comunione e in grazia, non solo per quell’ora scarsa della santa messa domenicale, ma per tutta la settimana.
In tutto questo bailamme, don Beniamino si trova nella situazione di sbagliare, qualunque cosa faccia: certo, come gli dice il suo confessore, a volte potrebbe essere un po’ meno spigoloso, un po’ meno autoritario, potrebbe ascoltare e accogliere di più (ha un bel caratterino il nostro parroco!). Non è facile avere a che fare con persone che custodiscono così bene le loro ferite da impedirgli di guarire, come una parrocchiana dai trascorsi molto infelici, ma a volte questo atteggiamento nasconde alla vista le ferite degli altri, di cui si vedono così distintamente colpe e difetti.
Alla fine, don Beniamino non resiste più e decide di fuggire: prende il necessario per celebrare la messa e pensa di scomparire. E lo fa murandosi in una piccola baracca al limitare del giardino della casa parrocchiale. Se il suo desiderio è stato di quello di essere, almeno per un po’, fuori dal mondo, anche questo progetto fallirà. In un primo tempo don Beniamino si illude che basti questo per essere “solo” un prete, ma presto si accorgerà di quanto ciò sia illusorio. Il crollo della baracca, durante il tentativo di liberarlo, lo renderà ancora più debole, ma la Provvidenza troverà comunque il modo di fargli ritrovare, se non proprio la serenità, almeno la direzione di marcia.
Fra i tanti pregi di questo libro, quello che mi pare più importante è il richiamo ad uno sguardo misericordioso e giusto, non complice, non accusatore, che la fede in Cristo Signore ci suggerisce e di cui, tutti noi, abbiamo bisogno.