Se il Signore non costruisce la casa, / invano vi faticano i costruttori. / Se il Signore non custodisce la città / invano veglia il custode. / Invano vi alzate di buon mattino, / tardi andate a riposare / e mangiate pane di sudore: / il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno.
(Sal 126,1-2)
La moneta del tempo
1. I primi due versetti di questo salmo affrescano due quadri temporali: vi è il costruire, opera eminentemente diurna, e il vegliare, opera eminentemente notturna. Di nuovo vi è l’alzarsi di buon mattino, quindi la menzione del giorno incipiente, e l’attardarsi fino a sera, di nuovo la menzione della notte.
2. Abbiamo dunque in entrambi i quadri la posizione degli estremi dell’unità temporale più classica, il giorno. Il fatto che ci siano ribaditi due volte, cioè che per due volte ci troviamo a considerare il lavoro umano dal giorno alla notte, ci dice che questa unità è più di una semplice unità, è una pars pro toto, cioè un modo per dire tutto il tempo attraverso una sua parte.
3. E l’evidenza che offre la riflessione del salmista sembra questa: tutto il tempo è occupato dall’agire umano. Tutto sommato è qualcosa che è estremamente affine al nostro modo di pensare, della nostra cultura così eminentemente frenetica. Siamo come persuasi che abbiamo buttato via quel tempo che non abbiamo speso, facendo qualcosa, occupandoci in qualcosa.
4. Vi è una qualche saggezza in questo, perché il tempo è una moneta che non si accumula, non spenderlo non è risparmiarlo, ma è già perderlo: una moneta il cui ammontare totale ci è del tutto sconosciuto. Anche questo è un dato che deve essere considerato.
5. Mi colpì un episodio: una volta chiesero a una persona della mia età, che compiva gli anni, quanti ne facesse. Lui rispose: «Ventisei». Gli dissero giocosamente: «Pochissimi…» e lui rispose: «Finché non sappiamo il totale, né pochi, né molti». Mi fece riflettere: la verità è che possiamo dire con certezza solo del tempo che è stato, non di quanto ce ne rimanga. Cosa che dovrebbe far molto meditare i perditempo del proprio e dell’altrui.
Un agire insolito
6. Ma il punto è che noi siamo convinti che il fare sia la chiave del ben spendere il tempo che possediamo: è così? A leggere questo salmo pare che Dio non sia del medesimo avviso. Il salmo ambienta in ciascun quadro un agire senza Dio e nell’ultimo aggiunge un non-agire che rimane con Dio. E il salmista che è un teologo e un fine provocatore, quasi facendo eco a tutta l’antica teologia di Qoeleth, dice che gli sforzi del primo sono vani. I non-sforzi del secondo al contrario sono estremamente fruttuosi, perché senza spesa ha ottenuto ciò che all’altro è costato un giorno intero della sua vita, un giorno prezioso, un giorno che non tornerà indietro.
7. Interessante, sembra contraddire curiosamente il detto popolare del chi dorme non piglia pesci, perché tale amico di Dio non si cura di alzarsi di buon mattino, di attardarsi nella fatica lavorativa e ha comunque il suo pane. È dunque falso il detto? Il fatto che l’esperienza lo confermi sfacciatamente impedisce ad un uomo di buon senso di negarlo. Allora, se il detto contraddice la Scrittura e il detto è vero, per forza di ragione noi dovremmo dire che la Scrittura ha sbagliato. Ma prima di dar torto a Dio troppo facilmente forse dovremmo ricordare il celebre insegnamento di Paolo: «Chi non vuol lavorare neppure mangi» (2Ts 3,10). Dio di certo non incoraggia i fannulloni… È dunque un non-agire non in sé, ma agli occhi delle persone che si affannano nel mondo: qual è la sua natura?
8. È la Liturgia delle Ore della festa della Beata Maria Vergine del Rosario, nella sapienza plurisecolare dell’Ordine domenicano, a suggerirci la soluzione al nostro enigma. Nel comporre le varie pagine del Vespro1 associa l’attesa pre-pentecostale degli Apostoli a questa lettura: «Entrati in città salirono al piano superiore dove abitavano. C’erano Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo di Alfeo e Simone lo Zelota e Giuda di Giacomo. Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e i fratelli di lui» (At 1,13-14).
9. La menzione dell’immagine della casa e della città compare, guarda caso, solo nel nostro salmo e in questa lettura lungo la liturgia del Vespro della festa della Beata Maria Vergine del Rosario. Che i teologi che la pensarono volessero suggerire una connessione, direi che è evidente, soprattutto se si nota il dettaglio dell’elenco. L’evangelista specifica l’elenco degli apostoli disponendoli non con un’unica coordinazione per asindeto (cioè con l’uso della virgola: Tizio, Caio, Sempronio ecc…), ma coordina per asindeto delle coppie (Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea) con eccezione degli ultimi nomi che sono disposti a tre… Scatta la curiosa connessione con un celebre passo evangelico: «Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20). È dunque evidente il suggerimento di sottofondo: l’assemblea del Cenacolo ha ben più due o tre riuniti in Cristo, è dunque pregna della Presenza del Signore. Cosa stanno compiendo? «Erano assidui nella preghiera».
Il subbuglio nei cieli
10. Ecco allora cos’è questo non-agire che pure produce frutto: è l’apparente non far nulla di chi si abbandona alla preghiera, rimane statico col corpo, fermo al proprio posto, ad occhi chiusi nel segreto del suo cuore, concentrato, pare un “non far nulla”, quasi un dormire, come un mare che non ha un refolo di vento…
11. Tutt’altro, chi vive la preghiera – non dall’esterno ma dal di dentro di questa esperienza – vede nitidamente la differenza. Il richiamo interiore di Dio ha un’intensità del tutto superiore: «Un abisso chiama l’abisso al fragore delle tue cascate; / tutti i tuoi flutti e le tue onde / sopra di me sono passati» (Sal 41,8). Anche i frutti del suo atto di fermarsi a pregare non hanno nulla a che vedere con l’ozio: dalla preghiera ha attinto energia, un’energia che non avrebbe guadagnato facendosi una bella dormita o distendendosi con un libro, non è un’energia psichica, perché questa al contrario la spende nel concentrarsi, nell’entrare in dialogo interiore, eppure trova in sé una solidità più alta, una motivazione in più per agire, una risolutezza più ferma nelle scelte, ma, come è scritto negli Atti, bisogna salire al piano superiore per scoprirla.
12. Così, agli occhi indaffarati del mondo chi prega sembra un mare piatto e la sua calma: calma piatta, bonaccia, nullafacenza. Quando un cristiano prega, appare di certo un mare immobile, ma la verità è che i cieli sono in subbuglio per Lui e l’estensione della sua forza è l’estensione della Forza di Dio. Per questo chi ha conquistato alla sua esistenza una vita di preghiera sa che chi non ha perso tempo per Dio, ha semplicemente perso tempo.
1 Cfr. Supplemento della Liturgia delle Ore secondo il calendario proprio dei Frati Predicatori delle provincie italiane, Province Domenicane d’Italia, San Salvatore Monferrato (AL) 1999, pp. 753-754.