Due anni fa mi trovavo ancora in noviziato, ed ero nel bel mezzo di un percorso tortuoso e intricato di approfondimento interiore della mia chiamata all’Ordine. Mi sembra ironico che proprio in questo “noviziato non desiderato”1 sia riaffiorato in me il ricordo di quei mesi di discernimento, proprio in questo periodo di clausura per tutti, in lotta contro un nemico quasi invisibile.

Su cosa riflettevo? Scontato a dirsi, sulla preghiera. La preghiera è qualcosa di connaturale, di totalizzante, di costitutivo del cuore dell’uomo, ineliminabile e inseparabile dalla sua esistenza. Proviamo a pensarci: tutta la storia della Salvezza è impregnata di preghiera, e una preghiera di Dio, con Dio, a Dio. Ne è stupenda espressione il Salterio, gaudium di Sant’Agostino, che san Tommaso, ma non solo lui, presenta come sintesi di tutta la Scrittura:

«La materia [del Salterio] è universale: poiché mentre i singoli libri della Scrittura canonica contengono materie specifiche, questo libro possiede quella di tutta la teologia: e questo è quello che afferma Dionigi nel III libro De Caelesti Hierarchia: la sacra Scrittura delle odi divine, ossia i Salmi, è intesa a cantare tutte le opere sacre e divine. Quindi, la materia è espressa nel fatto che egli dice: in ogni opera, poiché tratta di ogni opera di Dio. Esiste tuttavia una quadruplice opera di Dio: […] Creazione, […] Governo, […] Riparazione, […] Glorificazione. […] Questo è il motivo per cui più spesso il Salterio è utilizzato nella Chiesa, perché esso contiene tutta la Scrittura [tr. nostra]»2.

Di fronte a qualsiasi difficoltà, di fronte all’imprevisto, alla tentazione, all’inganno, l’unico “strumento” adeguato è spesso proprio la preghiera, che a sua volta nell’incontro con l’uomo interiore genera l’unica, vera e definitiva battaglia che valga la pena combattere:

«I fratelli chiesero al padre Agatone: “Padre, nella vita spirituale quale virtù richiede maggiore fatica?”. Dice loro: “Perdonatemi, ma penso non vi sia fatica così grande come pregare Dio. Infatti, quando l’uomo vuole pregare, i nemici cercano di impedirlo, ben sapendo che da nulla sono così ostacolati come dalla preghiera. Qualsiasi opera l’uomo intraprenda, se persevera in essa, possederà la quiete. La preghiera invece richiede lotta fino all’ultimo respiro”»3.

La preghiera, lungi dal ridursi a mera pratica esteriore, è un vero e proprio evento, un evento che coglie alla sprovvista, una presa di coscienza, una sorgente di vita. Più che ridursi ad una parte della vita, la preghiera sembra vita essa stessa. È qualcosa che ci caratterizza fin dalla nascita, è il grido che siamo, un grido verso l’Alto. Il compito che essa affida alla nostra ragione, alla nostra intelligenza, è quello di scendere nel nostro cuore, nel fondo della nostra anima, e lì trovare Colui da cui e per cui siamo fatti.

Ci accorgiamo che la misura, i tempi e i luoghi di questa avventura che è la preghiera non possono che essere strettamente personali, e, se è vero che quidquid recipitur ad modum recipientis recipitur4, allora ci stupisce sapere che Dio “si adatta” al nostro modo di pregare perché, in fondo, lo causa Egli stesso, creandoci e graziandoci.
Il silenzio e la solitudine esteriori a cui siamo chiamati, quasi costretti, dal dramma che ci circonda, rivelano quella tensione interiore tra consolazione e desolazione che ci caratterizza. Ogni città è deserta, e questo ci sconvolge, ma ricordiamoci che proprio il deserto è stato, ed è, luogo privilegiato di Rivelazione.

Personalmente, allora come oggi, sto scoprendo e riscoprendo che il nostro tempo è Cristo. Questa consapevolezza non può che ridescrivere ogni priorità, soprattutto nel caso di una chiamata alla vita consacrata. Tutte le altre cose passano in secondo piano, perché «queste cose sono ombra di quelle future, ma la realtà è di Cristo»5.

Quanto è difficile, però, vegliare e pregare di fronte alle distrazioni della vita, da cui nemmeno il chiostro, o la ristrettezza di leggi d’emergenza, ci proteggono! La tentazione del confronto, le piccole invidie, il timore di essere dimenticati, il timore di non essere approvati, le ansie sul futuro, la difficoltà ad accettare il limite o l’ipocrisia altrui, le umiliazioni, le calunnie, le difficoltà economiche, gli impegni… Ma vorrei rispondere con una provocazione che un ragazzo morto a soli 24 anni ha lanciato al mondo, testimoniando con la sua vita che non esiste circostanza, obiezione, difficoltà, malattia, età, dolore, che ci impedisca di brillare d’Eternità, ed è ciò che auguro accada ad ognuno di noi:

«Carissimo,

Ogni giorno più comprendo qual Grazia sia esser Cattolici. Poveri disgraziati quelli che non hanno una Fede: vivere senza una Fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere in una lotta continua la Verità non è vivere ma è vivacchiare. Noi non dobbiamo mai vivacchiare ma vivere perché anche attraverso ogni disillusione dobbiamo ricordarci che siamo gli unici che possediamo la Verità, abbiamo una Fede da sostenere, una Speranza da raggiungere, la nostra Patria. E perciò bando ad ogni malinconia che vi può essere solo quando si perde la Fede. I dolori umani ci toccano ma se essi sono visti sotto la luce della Religione e quindi della rassegnazione non sono nocivi ma salutari perché purificano l’Anima delle piccole ma inevitabili macchie di cui noi uomini per la nostra cattiva natura spesse volte ci macchiamo.

In questa Quaresima santa in alto i Cuori e sempre avanti per il trionfo del regno di Cristo nella società.

Saluti cordiali in G.C.

Fra Girolamo»6


1 Il noviziato è un tempo di particolare verifica e discernimento in cui, negli ordini religiosi, ci si “separa” dal mondo per andare a fondo della propria chiamata a seguire il Signore. È un tempo di silenzio, ritiro, preghiera, rinuncia, clausura, per sperimentare con maggiore chiarezza la Presenza e il Progetto di Dio sulla propria vita. Ci sono circostanze in cui siamo maggiormente costretti a stare in contatto con noi stessi, e questa circostanza di epidemia di Coronavirus è paradossalmente una di quelle; tuttavia questa situazione così stretta, come quella del noviziato, può ricordarci che ogni tanto è doveroso e opportuno ritirarsi in se stessi, nel caso della vita quotidiana, per scoprire nel fondo della propria anima la Presenza vivificante di Gesù Cristo.

2 «Materia est universalis: quia cum singuli libri canonicae Scripturae speciales materias habeant, hic liber generalem habet totius theologiae: et hoc est quod dicit Dionysius 3 Lib. Caelest. Hierar.: divinarum odarum, idest Psalmorum, sacram Scripturam intendere, est, sacras et divinas operationes universas decantare. Unde signatur materia in hoc quod dicit: in omni opere, quia de omni opere Dei tractat. Est autem quadruplex opus Dei: […] creationis […]. Gubernationis […]. Reparationis […]. Glorificationis […]. Et haec est ratio, quare magis frequentatur Psalterium in Ecclesia, quia continet totam Scripturam», Tommaso d’Aquino (s.), In psalmos Davidis expositio, proemium.

3 Vita e detti dei padri del deserto, Città Nuova, Roma 2005, 114.

4 Adagio caro alla scolastica: tutto ciò che è ricevuto è ricevuto secondo la capacità del ricevente. Cfr. Tommaso d’Aquino (s.), La Somma Teologica, I, q. 75, a. 5, trad. it. Frati Domenicani, ESD, Bologna 2014, p. 812.

5 Col 2,17.

6 Frassati P.G., lettera del 27 febbraio 1925 all’amico Isidoro Bonini, pubblicata in R. Spiazzi (a cura di), Beato Pier Giorgio Frassati terziario domenicano. Ricordi – testimonianze – studi, Bologna 20013. Per approfondire la figura del Beato Pier Giorgio Frassati: Il fascino di vivere.


Riconoscimenti per le immagini: per la copertina, foto di Aaron Burden su Unsplash.

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fr. Pier Giorgio Galassi
Chi sono io? Se è vero che gli altri possono talvolta descriverci meglio di come ci definiremmo noi, vi lascio una definizione sintetica di un amico ed ex collega: "tu sei un fruitore di bellezza"... Che significa? Semplice. In tutto quello che ho vissuto finora, dallo studio maldestro della teologia alle immeritate Grazie nel lavoro come professore, dal calore della mia famiglia fino al colore delle tante amicizie, una cosa sola mi è sempre stata chiara: tutta questa Bellezza mi chiama da sempre, e ho scoperto che è solo andando più in fondo - non da solo, ecco perché c'è la Chiesa - che posso trovarla e sempre goderne, per poi annunciarLa agli altri, perché sappiate che «La cinta esterna del Cristianesimo è un rigido presidio di abnegazioni etiche e di preti professionali; ma dentro questo presidio inumano troverete la vecchia vita umana che danza come i fanciulli e beve vino come gli uomini» (G. K. Chesterton). Ecco perché mi son fatto domenicano... Per contattare l'autore: fr.piergiorgio@osservatoredomenicano.it

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