È inutile che ce lo nascondiamo: nella preghiera del cristiano medio la maggior parte delle frasi e delle espressioni che pronuncia sono catalogate nel grande calderone delle ‘belle parole’. Aromatizzate con un pizzico di positività hanno una sola regola: suonano bene? Sì? Allora dille che a Gesù piacciono!
Mi viene in mente che in una parrocchia, di cui tacerò il nome, si sentì improvvisa l’esigenza di dare una ventata di freschezza allo stridulo gruppo del rosario del post-pisolino delle quattro… Età media: 80. Come fare? Basta con le vecchie litanie lauretane, facciamo delle litanie creative, ognuno dica la sua. Insomma il trionfo della spontaneità, della vitalità e soprattutto della libertà dall’appannaggio ampolloso della tradizione. Mo’ si alza un’entusiasta signora che tremula fissa gl’occhi alla cartapesta seicentesca della Vergine Madre e in un trasporto fra il mistico ed il profetico dice: “Santa Maria fiore affettuoso tutto profumoso” e il parroco: “Come prego?” E tutti: “Prega per noi…”
Ed è di fronte a questi esiti della creatività odierna che forse è opportuno fare un passo indietro verso quella tradizione che per la sua intensità è spesso e volentieri un passo avanti. Certamente, finché tutta la ricchezza di quanto ci è tramandato rimane irriflessa, risulteranno sempre pesanti le formule antiche. Ma se ci soffermassimmo sul loro autentico valore, scopriremmo che, ad esempio, in ogni titolo lauretano vi è un tesoro nascosto in bella vista. Per iniziare insieme questa riscoperta vorrei partire da un’invocazione che capita sempre a fagiolo nel mese di maggio dedicato alla Madonna: Santa Maria Regina del Santo Rosario.
Se usciamo un secondo dalla logica delle belle parole e iniziamo a riflettere sul contenuto di quanto pronunziamo, possiamo immediatamente renderci conto di come questo sia un titolo curioso o quanto meno problematico. Noi tutti, infatti, sappiamo benissimo che uno è re, se è re di un regno, posto che un re di nulla, semplicemente non è re. Ma il Rosario non è un regno, piuttosto un oggetto o al massimo una pia pratica. Dunque in che senso la Vergine è Regina del Rosario?
In effetti vi è una seconda possibilità con cui siamo soliti intendere la parola re: re di qualcosa è chi eccelle in quella cosa, un po’ come se dicessimo che Dante è il re dei poeti, perché è il migliore poeta. Insomma se uno è re di una qualche arte, questo significa che la padroneggia benissimo. In effetti questa visione sembra soddisfare la nostra ricerca quanto al padroneggiare, tuttavia rimane improponibile: non vorremmo scandalizzare nessuno, ma Maria non recita il Santo Rosario. Essa ci accompagna, ci conduce attraverso le meditazioni dei Misteri dell’immedesimazione in Cristo, ma, con buona pace di molti, Maria non ha mai detto un’Ave Maria. In effetti il Rosario è rivolto a lei, non avrebbe molto senso che si pregasse da sola.
Credo, dunque, che una soluzione possibile sia questa: il Rosario non è ciò su cui Maria regna, ma ciò con cui regna. Attraverso di esso, infatti, si diffonde il Regno.