Lo specchio delle Indie

Lo scopo di questi due brevi articoli è di ricercare nel passato un modello che permetta ai cristiani di vivere serenamente il rapporto fra la fede e la politica. Non mentiamoci: il servo fedele di Gesù Cristo non può, a prescindere dalla sua epoca, non essere una pietra d’inciampo per chiunque voglia porre l’Arca di Dio all’ombra dei propri interessi mondani. Ecco perché, oggi come sempre, abbiamo bisogno di figure che ci consentano di sentire il nostro “no” indignato non come un’eco lontana ma come un grido di ribellione. Il confratello che voglio presentarvi non è santo né beato, tuttavia penso che il suo esempio potrebbe mettere molti sulla buona strada.

La sorpresa dell’abisso

Bartolomé de Las Casas nacque a Siviglia nel 14841; figlio di un commerciante, venne presto a contatto con le meraviglie del Nuovo Mondo che la Spagna iniziava in quegli anni a proporre al Vecchio Continente. Nel 1502, già sacerdote, partì per Santo Domingo al seguito del padre2 e venne in contatto con un sistema schiavista che prendeva il nome di encomienda. Elaborato dal governatore Ovando, questo prevedeva la suddivisione delle popolazioni indigene fra i diversi proprietari terrieri di modo che potessero essere utilizzate come manodopera a bassissimo costo per le piantagioni e le miniere; ufficialmente l’encomendero si assumeva il compito di educare tali popolazioni alla fede cattolica e, attraverso il loro lavoro, di occidentalizzare le loro condizioni di vita; il sistema tuttavia operava drammatiche frammentazioni delle comunità indigene, anche a livello familiare, e consentiva di fatto trattamenti disumani sui nativi stessi i quali venivano spesso sfruttati fino alla morte. Las Casas, che inizialmente fu un encomendero, iniziò presto a vedere l’incompatibilità con la fede cattolica di tale sistema e finì per rigettarlo completamente la IV domenica d’Avvento del 1511 quando, nella cattedrale di Santo Domingo, ascoltò assieme alle autorità spagnole lì convenute l’infuocata omelia pronunciata dal domenicano fra Antonio de Montesinos e firmata dai suoi confratelli di missione3. Il religioso non solo condannava lo sfruttamento spagnolo, ma invitava tutti gli encomenderos ad abbandonarlo per poter ottenere l’assoluzione confessionale. La presa di coscienza della portata morale di un sistema di sfruttamento prima passivamente accettato venne consolidata nel 1513 quando Las Casas prese parte alla campagna di pacificazione di Cuba assieme al capitano Narvàez: in quell’occasione le atrocità commesse dagli spagnoli a Caonao gli tolsero ogni dubbio sulla legittimità della conquista4.

Las Casas trovò da quel momento in poi nell’Ordine dei Predicatori un fondamentale alleato in una lotta che si proponeva di scardinare non solo un sistema di sfruttamento economico, ma anche la base concettuale sulla quale esso si fondava. Per questo, dopo alcuni anni nei quali accompagnò le iniziative dell’Ordine con il suo ministero sacerdotale, fatta la professione religiosa presso gli stessi frati Predicatori nel 1523, trascorse un periodo di silenzio approfondendo i suoi studi teologici e filosofici5.

Questione di metodo

L’azione di Las Casas si mosse su due direttrici ben precise: da un lato sostenne che gli indios, in quanto creati da Dio, avevano il pieno diritto di possedere le proprie terre, sulle quali quindi la Spagna non poteva esercitare alcun controllo senza una loro approvazione; dall’altro, la presenza militare spagnola non poteva giustificarsi grazie alle necessità dell’evangelizzazione, poiché questa era ostacolata invece che agevolata dall’uso delle armi6. Quest’azione, che vide coinvolto l’intero Ordine dei Predicatori, e non solo, presso il papato e la Corona spagnola, ebbe il suo coronamento in due importanti avvenimenti: il 2 maggio del 1537, dopo l’accordo con il governatore del Guatemala Maldonado, con l’istituzione della missione di Vera Paz nella regione del Tuzùlutlan; con l’emanazione nel 1542 delle Leggi Nuove da parte di Carlo V7. Mentre la missione aveva lo scopo di evangelizzare pacificamente un territorio notoriamente ostile, le Leyes Nuevas intendevano abolire il sistema delle encomiendas gradualmente da tutti i possedimenti spagnoli. Entrambe queste iniziative incontrarono alterni successi e furono volta per volta ostacolate da numerose difficoltà, tuttavia non è questa la sede per analizzarle nel dettaglio. Ciò che mi preme sottolineare è che Las Casas, prima come semplice frate e poi come vescovo8, fu sempre sulla breccia per difendere e migliorare le conquiste umane delle quali viveva l’irrinunciabile legame con la fede. Se da un lato non ebbe timore di vivere sulla propria pelle sia la missione che l’ostilità spagnola, lottando con tutte le armi che la sua posizione gli concedeva9, dall’altro non esitò a passare lunghissimi periodi della sua vita presso la corte allo scopo di difendere le proprie posizioni dalla volubile etica dei sovrani10. Questa sua versatilità, assieme ad una vena polemica non indifferente e ad un’indiscutibile carisma, gli permisero di essere non l’autore di un cambiamento, ma l’uomo chiave di un movimento di risveglio morale che se ebbe nell’Ordine dei Predicatori il suo cuore, non s’identificò unicamente con esso.

 

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1 fr. Cantù Francesca, Bartolomé de Las Casas e i primi Frati Predicatori in America, in a cura di Festa G. – Rainini M., L’Ordine dei Predicatori I domenicani storia, figure e istituzioni (1216 – 2016), Editori Laterza, Bari 2016, p. 181.

2 Cfr. ibidem.

3 Cfr. ibidem, pp. 181-182.

4 Cfr. Cioffari Gerardo, Domenicani nella storia vol. II, Centro Studi Nicolaiani, Bari 2011, p. 27.

5 Cfr. Cantù, Bartolomé de Las Casas e i primi Frati Predicatori in America, pp. 184-185.

6 L’elaborazione e la difesa di queste idee ebbe un insostituibile supporto da parte del domenicano fra Tommaso de Vio, detto il Gaetano, Maestro dell’Ordine agli inizi del XVI secolo e grande commentatore di San Tommaso: fu soprattutto grazie alla sua azione, congiunta a quella di Las Casas e di altri, che nel 1537 papa Paolo III, con la Sublimis Deus, dichiarò gli indios non solo pienamente capaci di accogliere in libertà, e quindi senz’armi, la fede, ma anche legittimi proprietari dei loro regni. Cfr. ibidem, pp. 185-187.

7 Cfr. ibidem, p. 186 e p. 189.

8 Nel 1543 venne nominato vescovo del Chiapas; cfr. ibidem, p. 190.

9 Il 20 marzo del 1545, in Quaresima, Las Casas vietò ai sacerdoti della sua diocesi di assolvere gli encomenderos se prima non avessero rinunziato alle rispettive encomiendas; cfr. ibidem, p. 192.

10 Partì per la Spagna l’ultima volta nel 1550 e vi trascorse gli ultimi sedici anni della sua vita; cfr. ibidem, p. 193 e p. 197.


Riconoscimenti per le immagini. Per la copertina, rielaborazione dalla foto di Alejandro Linares Garcia: “Fra Bartolomé de las Casas, mentre converte una famiglia azteca”, opera di Miguel Noreña (1843-1894), realizzata nel 1865, Museo Nazionale d’Arte, Mexico City.

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fr. Giuseppe Filippini
Quando il Signore mi venne a cercare, la mia mente vagava confusa nei caldi spazi dell’inedia, talmente carica di nulla da non poter portare altro con sé. Il mio corpo invece si preparava ad un indefinito inverno nella città di Ancona, gioiello del medio Adriatico (si fa per dire). Nella patria del pesce e del “mosciolo”, per un leggiadro scherzo della Provvidenza, sono nato quasi trentadue anni fa con una sentita inimicizia fra me e qualunque carne marina. La chiamata del Signore mi vide studente in storia ed appassionato consumatore di storie: racconti di tutti i tipi e narrati da aedi di tutte le arti. Ora che lo Spirito mi ha indirizzato nella famiglia di San Domenico ho posto questo mio nulla nelle mani della Vergine Maria e del caro Castigliano e chiedo loro quotidianamente di mostrarmi in ogni storia, vera o immaginaria, la traccia del Divino che lì soggiace. Ora che sto a Bologna studio come studiando rendere omaggio a Dio. Per contattare l'autore: fr.giuseppe@osservatoredomenicano.it

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