Gli occhi di Maria
1. In un documento del suo fecondissimo magistero, San Giovanni Paolo II ha consegnato all’intelligenza dei fedeli un’intuizione oserei dire mistica sul Rosario: «Quando recita il Rosario, la comunità cristiana si sintonizza col ricordo e con lo sguardo di Maria» (Rosarium virginis Mariae, n. 11). Non è una frase da sottovalutare: gli occhi di chi prega il Rosario sono uniti agli occhi di Maria, sono connessi al suo ricordo, formano un tutt’uno con il suo sguardo. Non tanto perché vediamo lo stesso oggetto, che pure non è poco, ma perché in qualche modo guardiamo allo stesso modo lo stesso oggetto.
2. Infatti, non è sufficiente l’oggetto: anche i demoni attestano che Gesù Cristo è il Figlio di Dio: «Che cosa abbiamo noi in comune con te, Figlio di Dio? Sei venuto qui prima del tempo a tormentarci?» (Mt 8,29). Al contrario l’angelo che annunziò il Natale disse: «Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore» (Lc 2,10-11). Entrambi vedono la stessa cosa: l’Avvento di Cristo. Ma lo vedono al contrario: i diavoli vivono con terrore ciò che gli Angeli proclamano nell’esultanza. Questi ultimi dicono: «Non temete», per impedire alla paura di frenare la Gioia che annunziano. Gli altri non possono che temere, perché hanno rifiutato il calore di quella Gioia.
L’alta montagna
3. Per questo costelliamo di Ave Maria la nostra meditazione sul Signore, perché è il modo con cui supplichiamo che la Stella Maris ci illumini nel navigare il denso mare misterico della vita di Cristo. Il punto è: dove si verifica questa sintonizzazione? Se, infatti, i santi e il Magistero ne parlano, accade. Sembra più facile, paradossalmente, imitare Cristo che Maria… Leggere delle azioni di Gesù attraverso la luminosa pagina dei Vangeli ci permette di guardare: abbiamo qualcosa che sappiamo vero e che in un qualche modo possiamo emulare. Di come Maria, però, vedesse concretamente suo Figlio non ne abbiamo traccia nella Bibbia.
4. Qualcosa, però, la possiamo indurre: anzitutto sappiamo che Maria è «riconosciuta quale sovreminente e del tutto singolare membro della Chiesa, figura ed eccellentissimo modello per essa nella fede e nella carità; e la Chiesa cattolica, istruita dallo Spirito Santo, con affetto di pietà filiale la venera come madre amatissima» (Lumen Gentium, 53). La visione dal punto più alto di una montagna mostrerà in modo suggestivo cose in più, ma mai cose diverse da quelle che si è potuto scorgere lungo tutta la salita: chi crede ciò che crede la Chiesa in via, in un certo qual modo vede già ciò che vede la Chiesa in Patria e quindi anche Maria1.
5. Ma questa visione non differisce da quella di tutti i santi, i quali godono tutti di stare a faccia a faccia con il Signore della Gloria. È visione in un qualche modo esatta dell’oggetto, perché è la visione universale che la Chiesa ha di esso. So che Maria non vede cose diverse dalla Chiesa, quindi da quest’ultima apprendo cosa Maria sta guardando e in senso generico come lo sta guardando, cioè secondo il modo che è comune a tutti i santi. Maria esprime un’eccellenza maggiore di quella di tutti gli altri.
Più che un esempio
6. Dove avviene e in che cosa consiste allora questa sintonizzazione di cui parla Giovanni Paolo II? Il punto è che l’esempio in senso pieno implica una coesistenza attiva di chi imita con chi viene imitato. È la legge elementare di ogni saggia imitazione: prima di ripetere bisogna guardare (e guardare attentamente!), per questo in molte discipline l’esempio avviene in presenza del maestro.
7. Se dunque il Magistero ci dice che Maria è effettivamente esempio, ciò significa una cosa sola: Maria deve farsi realmente presente, perché noi possiamo imitare il suo atto di contemplazione senza averla mai vista. I cristiani, del resto, non imitano figure assenti: il nostro rapporto con l’esempio dei santi non è remoto, astratto, a meno che il frequente disertare la preghiera non ce lo abbia reso tale (noi sentiamo lontane le persone che frequentiamo poco o trattiamo distrattamente).
8. Tuttavia e per fortuna la nostra distrazione non le fa cessare di esistere: ricominciare proprio da Maria potrebbe essere una bella occasione per rigustare la concretezza della comunione dei santi.
9. Coloro che abitano i Cieli interagiscono in modo celeste, il che non vieta – soprattutto a Maria che è viva in anima e corpo – di interagire fisicamente con noi, in forza dell’Onnipotenza di Dio, ma usualmente interagiscono con ciò che di più celeste esiste in noi: l’anima, attraverso un ora mite, ora impellente suggerire al cuore intuizioni e azioni che coinvolgano più intimamente Cristo nella nostra vita.
10. Pensiamoci bene: avere un esempio che cosa significa? Imitare Gesù Cristo significa vestirsi con una toga cucita tutta di un pezzo? Adoperare l’unico mestiere della falegnameria? Evidentemente no, evidentemente vi è un aspetto essenziale dell’azione che si trova unito, potremmo dire incarnato ad aspetti circostanziali. Noi non mangiamo sdraiati su divanetti come gli antichi, ma benediciamo la tavola comunque, perché riconosciamo che l’atto fa parte essenzialmente dei gesti di Gesù che possiamo imitare, mentre la postura no.
11. L’esempio, quindi, è tanto più intenso, quanto più rende evidente nel nostro contesto ciò che essenzialmente è bene compiere. In questo la presenza di un maestro è utilissima: mi permette di avere sotto gli occhi ciò che devo compiere, me lo rende estremamente vivido ed evidente. È dunque più di un esempio ciò la cui chiarezza ci toglie ogni dubbio nell’agire e, se non ci toglie ogni dubbio, ci fa tuttavia agire al meglio.
12. In questo si concretizza l’imitazione di Maria, non in senso stretto, ma secondo la sostanza dello scopo dell’esempio: fare come ci suggerisce è già fare come farebbe. Nei santi, infatti, non esiste alcuno iato fra il bene che conoscono si debba compiere e il bene che compirebbero. Così, immergendoci nella preghiera, meditando i misteri, rivolgendoci a Maria e a Cristo in Maria, l’anima è come se si rendesse permeabile al consiglio di Dio e dei Beati, si rendesse disponibile ad accoglierlo e il Dio, che grida a Israele: «Ascoltami!» (cfr. Dt 6,4), non attende altro.
13. La serietà con cui Cristo prende la nostra preghiera, con cui desidera dare gloria ai suoi più intimi amici, ai suoi santi, ci garantisce che ci farà avere ciò che chiediamo tramite Colei a cui chiediamo: così il modo con cui Maria è più che esempio, è consigliandoci quasi dall’interno del cuore, dialogando con ciò che di più nobile vi è nell’uomo, la sua anima profonda, ossia il suo intelletto e la sua affettività spirituali.
L’altro rosario
14. E non è difficile sapere che avvenga così: si deve guardare alla vita. Chi prega abitualmente, si accorge che gli eventi della sua vita sono carichi di significato. Si accorge che quei misteri che riguardano la Vita di Cristo sono il telaio, mutatis mutandis, con cui Dio costruisce la sua beatitudine umana, si accorge, cioè, che Cristo «pur essendo di natura divina, / non considerò un tesoro geloso / la sua uguaglianza con Dio» (Fil 2,6) e che quei misteri di gioia e di nascita, di dolore e di saggezza, di risurrezione e di gloria accadono a noi. Si forma così, accanto al Rosario di Cristo, un altro rosario, il rosario dell’associazione della nostra vita a Cristo:
«I grandi misteri della redenzione, infatti, proposti alla […] contemplazione, col mettere sotto i loro occhi i fulgidi esempi di Gesù e Maria, […] porteranno, […] a conoscenza dei piccoli le principali verità della fede, facendo quasi spontaneamente sbocciare nelle loro anime innocenti la carità verso l’amorevolissimo Redentore, mentre essi, dietro il buon esempio dei loro genitori genuflessi davanti alla maestà di Dio, fin dai teneri anni impareranno quanto sia grande il valore della preghiera recitata in comune»2.
15. È bellissima questa riflessione di Pio XII nell’illustrare questa prodigiosa grazia che è il Rosario: questo suggerimento verso il bene e il contenuto misterico profondo della vita non è frutto, come abbiamo detto, di uno sforzo, nemmeno di un processo, ma l’evidenza di Cristo e il più forte desiderio di Lui insorgono nell’anima spontaneamente, al punto che quasi solo a posteriori ci accorgiamo di ciò che è accaduto: ci siamo presi del tempo, abbiamo messo un po’ di Cristo nella nostra giornata, ma nell’ingresso di Cristo nella nostra vita, si nasconde l’ingresso della nostra vita in quella di Dio, nell’accadere del Paradiso.
1 «La Fede è in qualche modo la pregustazione di quella conoscenza che ci farà beati nella vita futura, per cui dice l’Apostolo: “La fede è sostanza delle cose sperate”, quasi che essa cominci a far sussistere in noi le cose che dobbiamo sperare, vale a dire la futura beatitudine»; Tommaso d’Aquino, Compendio di teologia I, c. 2, n. 3 (a cura di Agostino Selva), UTET, Torino 2018, p. 35.
2 Pio XII, Ingruentium malorum, n. 880 in Enchiridion delle Encicliche, vol. 6.