Vite andate avanti

Alcuni anni fa il Padre mi ha riaccolto in casa sua dopo che per molto tempo avevo dilapidato i suoi doni. Anche a me, come al figlio della parabola1, Egli rese un onore ed una grazia la cui grandezza riverberava proprio nella mia miseria: mi chiamò a servirlo nella consacrazione religiosa. Come potete immaginare, mi trovai non tanto nella necessità, quanto nella ferma volontà di dedicare la parte migliore del mio tempo alla preghiera, poiché cosa si può fare di fronte ad un così grande dono se non celebrarne il benefattore?

Quando venne il momento però, mi scoprii goffo ed impacciato: non riuscivo cioè ad esprimere quel rapporto con Dio che sentivo irrobustirsi nell’intimità del mio cuore. Mi resi conto che la difficoltà che incontravo era dettata dal divario fra le abilità di preghiera che possedevo e le esigenze che dovevano essere espresse. Quando infatti avevo abbandonato la casa del Padre, ero poco più che un bambino, abituato ancora a lodare il Signore con la bianca voce dell’anima infantile; quelle sonorità spirituali non erano più adatte alle grazie che l’uomo voleva celebrare, tanto che spesso mi trovavo costretto al mutismo.

Anche se per motivi differenti, credo che questa disparità fra il canto interiore e la voce necessaria ad esprimerlo sia un’esperienza meno rara di quanto si creda. Questo piccolo scritto, redatto non da un teologo ma solo da un figlio rifocillato da un Padre Misericordioso, si prefigge quindi lo scopo di aiutare quelle voci infantili a crescere sulle note di vite che sono andate avanti.

La preghiera dell’Angelico

San Tommaso d’Aquino, Dottore della Chiesa e frate Predicatore del XIII secolo, affronta la questione della preghiera nella sezione della Somma Teologica2 dedicata alla virtù della giustizia. Parte di questa è infatti la virtù della religione che, prevedendo il dare a Dio ciò che gli spetta in obbedienza e culto, comprende anche la preghiera. Qui il santo pone una prima ed importantissima distinzione, ossia quella fra preghiera comune e preghiera individuale. Con il primo termine egli intende l’orazione pubblica e liturgica della Chiesa, mentre con il secondo fa riferimento a tutte quelle modalità di relazione che il singolo credente intesse con Dio. L’articolo in questione3 ha come oggetto la necessità o meno dell’elemento vocale; questo viene presentato come indispensabile nella preghiera comune, per una semplice questione comunicativa, ma opzionale, pur se consigliato, in quella privata. I singoli credenti infatti devono servirsi «[…] delle parole e degli altri segni nella misura in cui servono ad eccitare i sentimenti interni»4; ciò implica che «[…] se lo spirito ne viene distratto, o comunque ostacolato, allora essi vanno tralasciati»5.

San Tommaso quindi, per la preghiera individuale, afferma che le specifiche condizioni della singola anima possono rendere necessario il silenzio, ossia un tipo di orazione puramente mentale. In ogni caso, l’elemento fondamentale è che la forma assunta aiuti a mantenere viva l’attenzione dell’orante. Tommaso, nell’articolo successivo6, specifica il discorso affermando che la mancanza di concentrazione non toglie alla preghiera né il merito né la sua capacità impetratoria, ma esclusivamente la possibilità data all’anima di trarne il suo nutrimento spirituale.

Già da queste parole noi principianti possiamo trarre alcune utili conclusioni: per prima cosa, la scelta tra forma vocale e mentale della preghiera non si fonda su parametri oggettivi, ma solo sulla specifica utilità per il singolo. Questo implica non solo una certa libertà nell’esplorare la propria interiorità, ma anche la possibilità di variare abitudini consolidate qualora sopravvenisse una diversa disposizione. Secondariamente, la possibile necessità dell’orazione mentale ci porta a doverne considerare alcune forme.

La meditazione

Il testo di san Tommaso sembra riferirsi all’orazione mentale solo come ad una versione silenziosa della normale orazione vocale. Ciò di cui parla l’Aquinate infatti è la maggiore o minore utilità per l’orante dell’elemento sonoro, senza fare alcun riferimento a specifici metodi legati alle due forme. Tuttavia è innegabile che nel momento in cui iniziamo a tacere, tutte le potenzialità della mente emergono spingendoci ad approfondire la questione.

Oltre alla possibilità di applicare il pensiero al Signore come oggetto di considerazione, l’agilità e la versatilità della mente permettono al fedele di scorgere anche un’opzione nuova, ossia la meditazione. Per comprenderla, ci viene in aiuto un altro domenicano, fra Antonio Royo Marín, morto nel 2005 ed autore di un testo dal titolo Teologia della perfezione cristiana7. Qui egli, cercando di descrivere la meditazione, afferma che è «[…]: l’applicazione ragionata della mente ad una verità soprannaturale per averne una convinzione sempre più profonda e quindi amarla e praticarla con l’aiuto della grazia»8. Si comprende quindi che si volge alla Verità Divina attraverso un processo discorsivo proprio della ragione che, lungi dall’essere fine a se stesso, mira ad una conoscenza ben intronizzata e quindi amabile ed applicabile concretamente9.

Comprendo che noi neofiti possiamo rimanere perplessi e spaventati da una proposta simile: la parola stessa “meditazione” possiede infatti una gravità che ci sembra lontana dalle nostre forze. La realtà è che si tratta di qualcosa che, in altri campi, facciamo da sempre senza accorgercene: è infatti semplicemente il trarre concettualmente le conclusioni dalle premesse a noi note attraverso un ragionamento. Questo porta non tanto a nuove nozioni, quanto alla comprensione di tutta l’estensione, concettuale e pratica, di quelle possedute. In ambito spirituale è un modo mirabile di aprire la porta a Dio, di concederGli una presenza viva anche in quegli ambiti di vita dai quali Lo escludiamo non per cattiveria ma per semplice pigrizia mentale.

I metodi di meditazione cristiana sono molti e numerose le tradizioni che li hanno diversamente sviluppati. Anche in questo caso penso che la scelta sia personale, tanto che non mi sento di consigliarvene alcuno10; posso solo dirvi, per concludere, che se decideste di prendervi del tempo stabilmente per la meditazione, a prescindere dal metodo usato, ricordate che il fine è quello non di perfezionare quell’istante lasciandolo isolato in se stesso, ma di permettergli di espandersi facendo di tutta la giornata una meditazione su Dio. Solo così torneremo a quell’orazione che san Tommaso sembra dare per acquisita e che rende la meditazione stessa indistinta dalla preghiera11.


Riconoscimenti per l’immagine: Guercino, Parabola del figliol prodigo, Kunsthistorisches Museum Wien, Gemäldegalerie, Vienna. Foto di Lluís Ribes Mateu.

1 Lc 15,11-32.

2 La Somma Teologica è sicuramente la più nota opera di san Tommaso. Scritta in momenti diversi della sua vita, era stata progettata per essere un manuale di studio, capace di presentare i diversi argomenti secondo un ordine ed una chiarezza precisi. L’opera è divisa in tre Parti, la seconda delle quali a sua volta proposta in due sezioni.

3 Cfr. san Tommaso d’Aquino, Somma Teologica (a cura dei Frati Domenicani), ESD, Bologna 2014, II-II, q. 83, a. 12, resp.

4 Cfr. ibidem.

5 Cfr. ibidem.

6 Cfr. Somma Teologica, II-II, q. 83, a. 13, resp.

7 Cfr. Antonio Royo Marín, Teologia della perfezione cristiana (trad. G. Pettinati, S. Pignotti, A. Girlanda), Edizioni San Paolo, Milano 2003.

8 Cfr. Teologia della perfezione cristiana (ed. cit.), p. 784.

9 Cfr. ivi, pp. 784-785.

10 Per una lista dei più noti ed una rapida esposizione di alcuni di essi, cfr. ivi, pp. 788-793.

11 Cfr. ivi, p. 800.

 

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fr. Giuseppe Filippini
Quando il Signore mi venne a cercare, la mia mente vagava confusa nei caldi spazi dell’inedia, talmente carica di nulla da non poter portare altro con sé. Il mio corpo invece si preparava ad un indefinito inverno nella città di Ancona, gioiello del medio Adriatico (si fa per dire). Nella patria del pesce e del “mosciolo”, per un leggiadro scherzo della Provvidenza, sono nato quasi trentadue anni fa con una sentita inimicizia fra me e qualunque carne marina. La chiamata del Signore mi vide studente in storia ed appassionato consumatore di storie: racconti di tutti i tipi e narrati da aedi di tutte le arti. Ora che lo Spirito mi ha indirizzato nella famiglia di San Domenico ho posto questo mio nulla nelle mani della Vergine Maria e del caro Castigliano e chiedo loro quotidianamente di mostrarmi in ogni storia, vera o immaginaria, la traccia del Divino che lì soggiace. Ora che sto a Bologna studio come studiando rendere omaggio a Dio. Per contattare l'autore: fr.giuseppe@osservatoredomenicano.it