«La sapienza aveva aperto la bocca dei muti e aveva sciolto la lingua degli infanti» (Sap 10,21). Teresa, forse senza saperlo, ha un suo metodo esegetico abbastanza preciso, che potremmo denominare il “metodo Maria Maddalena”, metodo che, come abbiamo visto nel primo di questi articoli (per leggere i primi due articoli: Il Vangelo a Lisieux e Come legge teresina?), la santa monaca usava anche nella vita. Lo schema del metodo è questo: 1) martirio, 2) nulla, 3) pace. Vediamolo nel dettaglio.

«Durante l’orazione, i miei desideri mi facevano soffrire un vero martirio: aprii le epistole di san Paolo per cercare una risposta. […] Come Maddalena chinandosi sempre sulla tomba vuota finì per trovare ciò che cercava, così, abbassandomi fino alle profondità del mio nulla, m’innalzai tanto che riuscii a raggiungere il mio scopo. Senza scoraggiarmi, continuai la lettura, e trovai sollievo in questa frase… […] Finalmente avevo trovato il riposo […], la pace, la serenità del navigatore il quale scorge il faro del suo porto. […] Ho trovato il segreto per impadronirmi della tua fiamma! […] L’amore […] bisogna che si abbassi, che si abbassi fino al niente, per trasformare in fuoco questo niente…» (Storia di un’anima, 253-255).

La verità del martirio interiore garantisce dellautenticità della ricerca, la fiducia di trovare la risposta nella Parola di Dio permette di rapportarsi nel modo più fecondo alla Scrittura, labbassamento e laccettazione del silenzio interiore e delloscurità della fede conduce alla purificazione dello sguardo che infine permette di riconoscere tra le parole quel significato profondo che non è altro che il donarsi di Dio stesso.

Lungi dallessere sprovveduta, Teresa ci fornisce anche il fondamento biblico di questo approccio: «Gesù, lo so bene, l’amore si paga soltanto con l’amore, perciò ho cercato, ho trovato sollievo rendendoti amore per amore. “Usate le ricchezze che rendono ingiusti, per farvi degli amici i quali vi riceveranno nei tabernacoli eterni” (Lc 16,9). […] Ricordando la preghiera di Eliseo al padre suo Elia quando osò chiedergli il suo duplice spirito, mi sono presentata dinanzi agli Angeli e ai Santi, e ho detto loro: “Sono la creatura più piccola, conosco la mia miseria e la mia debolezza, […] ma degnatevi di esaudire la mia preghiera; è temeraria, lo so, tuttavia oso chiedervi di ottenermi il vostro duplice amore”» (SA 256). La ricchezza che cè dentro chi si accosta al testo sacro è sempre da purificare, però è il mezzo giusto con cui mercanteggiare la vera sapienza.

Un esempio dellabilità esegetica di Teresa è la seguente: «“Quando farete una festa, non invitate soltanto i vostri parenti e amici, per timore che essi vi invitino a loro volta, e così abbiate ricevuto la vostra ricompensa; ma invitate i poveri, gli zoppi, i paralitici, e sarete felici che essi non possano ricambiarvi, perché il Padre vostro che vede nel segreto ve ne compenserà” (cfr. Lc 14,12-14). Quale festa potrebbe offrire una carmelitana alle sue sorelle se non un’agape spirituale composta di carità amabile e gioiosa? Per me, non ne conosco altra, e voglio imitare san Paolo (cfr. Rm 12,15), il quale si rallegrava con coloro che trovava nella gioia; è vero altresì che piangeva con gli afflitti, e le lacrime debbono esserci qualche volta nella festa che io voglio imbandire, ma sempre cercherò che alla fine quelle lacrime si mutino in gioia, poiché “il Signore ama coloro che danno con gioia” (2Cor 9,7). […] Il Signore […] si è degnato di lasciarmi il ricordo [di un piccolo atto di carità] con un profumo che induce a praticare la carità. Rammento qualche volta alcuni particolari che sono, per l’anima mia, una brezza di primavera. […] Se già nella sofferenza, in mezzo alla lotta, si può vivere un attimo di felicità che supera tutte le gioie della terra, pensando che il buon Dio ci ha sottratti al mondo, che sarà nel Cielo, quando vedremo in letizia e riposo eterni la grazia incomparabile che il Signore ci ha fatta scegliendoci per abitare nella sua casa?» (SA 324-326).

Anche dagli effetti che produce, si può constatare come questo metodo esegetico sia efficace. In primo luogo, stimola interiormente, purificandoli e innalzandoli sempre più, la consapevolezza e il desiderio della necessità dellannuncio: «una sola missione non mi basterebbe, vorrei al tempo stesso annunciare il Vangelo nelle cinque parti del mondo, e fino nelle isole più remote» (SA 251). Anche la lettura dellAntico Testamento viene valorizzata nella sua fecondità, perché siamo capaci di comprendere che lì Dio mostra il suo atteggiamento stabile, svela la sua tattica, il suo punto di vista sulle apparenti contraddizioni della vita delle anime: «Le creature, quali corti pensieri hanno! Quando vedono un’anima più illuminata delle altre, subito ne deducono di essere amate meno di quella, da Gesù, e di non poter essere chiamate alla stessa perfezione. Da quando il Signore non ha più il diritto di usare una delle sue creature per dispensare alle anime, che egli ama, il nutrimento necessario? Al tempo del faraone Dio aveva ancora questo diritto, perché nella Scrittura dice a quel re: “Ti ho elevato apposta per fare splendere in te la mia potenza, affinché venga annunciato il mio Nome sulla terra” (cfr. Es 9,16). I secoli si sono succeduti da quando l’Altissimo pronunciò queste parole, e, dopo, la sua condotta non ha cambiato: sempre si è servito delle sue creature come di strumenti per compiere l’opera sua nelle anime» (SA 304).

E di lei si serve per elevarci a questa commovente esegesi del Cantico dei cantici, con cui ci congediamo da questa serie sulla lettura della Sacra Scrittura nella santa carmelitana: «Madre mia, mi sembra di doverle ancora dare qualche spiegazione riguardo al passo del Cantico dei cantici: “Attirami, noi correremo” (cfr. Ct 1,3). […] “Nessuno – ha detto Gesù – può seguirmi se il Padre mio che mi ha mandato non l’attira” (Gv 6,44). Dopo, […] egli ci insegna che basta bussare perché ci venga aperto, cercare per trovare, e tendere la mano umilmente per ricevere ciò che chiediamo. Egli dice ancora che quanto chiediamo al Padre in suo nome, egli ce lo concede. Per questo senza dubbio lo Spirito Santo, prima della nascita di Gesù, dettò questa preghiera profetica: “Attirami, noi correremo”. Cos’è dunque chiedere di essere attirati se non di unirsi in modo intimo a ciò che capta il cuore? […] Quanto più il fuoco dell’amore infiammerà il mio cuore, quanto più dirò “Attirami”, tanto più le anime che si avvicineranno a me […] correranno anch’esse rapidamente. […] Non è forse dall’orazione che santi come Paolo, Agostino, Giovanni della Croce, Tommaso d’Aquino, Francesco, Domenico, e tanti altri grandi amici di Dio, hanno attinto questa scienza divina la quale meraviglia i geni più grandi? Un saggio ha detto: “Datemi una leva, un punto d’appoggio, ed io solleverò il mondo”. Quello che Archimede non ha potuto ottenere, […] i Santi l’hanno ottenuto pienamente. L’Onnipotente ha dato loro, come punto d’appoggio, sé stesso e sé solo; […] e così essi hanno sollevato il mondo; così lo sollevano i santi della Chiesa militante, e lo solleveranno ancora i santi futuri, fino alla fine del mondo» (SA 338).

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fr. Stefano Prina
Lombardo, nato e cresciuto fra i rami del lago di Como, ha frequentato il liceo classico A. Volta di quella città, percorso comunicazione, dove ha imparato ad amare il greco – è un appassionato lettore dei vangeli nella loro forma originale – e le lingue in genere, non ultimo il proprio dialetto brianzolo. Ha poi recitato, all’età di 19 anni, il suo primo “Addio ai monti” per trasferirsi presso il Seminario ambrosiano di Seveso, ex convento domenicano e luogo in cui Carino da Balsamo col suo falcastro dava la morte a S. Pietro primo martire domenicano. Discernendo poi una chiamata più speciale, è entrato nell’Ordine dei predicatori. Ha emesso la sua prima professione religiosa il 3 settembre 2016. Baccelliere in filosofia, prosegue il suo studio della teologia. Per contattare l'autore: fr.stefano@osservatoredomenicano.it

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