Riprendendo il filo
Dicono che non ci sia due senza tre. Parole sante. Ma per un Vangelo come quello dell’invio dei settantadue forse non basterebbe neanche un tre o un quattro… per ora ci accontentiamo di una seconda meditazione (per leggere la prima clicca qui: Il Regno dei cieli è…).
Ora, ci eravamo detti che il momento in cui Gesù Cristo designa i suoi è lo stesso momento in cui disegna i confini del Regno, i quali non sono staticamente fissati come quelli di una realtà politica qualsiasi, ma presentano una doppia delimitazione: una interna e una esterna.
Il confine interno
Riguardo quella interna ci siamo detti: il Regno non è forse detto anche dei Cieli e non è questo il Paradiso? Ma se i confini del Paradiso seguono i movimenti che come discepolo scelgo di compiere, nella mia vita ci sarà tanto Paradiso quanto io glieNe permetto.
Non è dunque qualcosa di lontano da noi la Vita Eterna, quasi fosse il miraggio sospeso di una speranza futura, perché quei futuri che non iniziano in un qualche presente sono destinati a rimanere tali per sempre. Ma se quel futuro è davvero futuro del mio presente, allora il mio presente dovrà e potrà assomigliargli, nonostante tutto: dovrà averne in sé come la promessa e il presagio. Questo coincide con la vivida e attenta sensazione che tutto ciò che viviamo abbia senso, che la nostra storia prenda forma, assuma un volto radioso, tanto da rendere bellissimi anche i suoi lineamenti più dolorosi. Perché neppure il mio dolore sfugge ad un orizzonte di senso, ad una storia meravigliosa.
Il confine esterno
Ora, non vi è soltanto il confine interno, quello che ci portiamo dentro, cioè quel Cielo che Dio ha sacramentato in noi col Suo Battesimo e che tenta sempre di travalicare ogni nostro confine, per conquistarci integralmente: «“Il regno di Dio è dentro di voi”, dice il Signore […] Cristo verrà in te e ti farà provare le sue consolazioni […]. Cristo è sempre, eternamente lo stesso, appoggio costante e sicuro fino alla fine»1. No, ve ne è un secondo, quel Cielo che, come cristiani, siamo chiamati ad essere per questo mondo.
Qualsiasi uomo dovrebbe poter guardare in faccia un cristiano e vedervi l’orizzonte traforato di azzurri, perché il discepolo di Cristo è già il Regno. Vi è dunque un secondo limite al Paradiso, quello dato dall’indolenza di portarLo, di lasciarLo vedere, di comunicarLo coraggiosamente. Vi dirò che i due confini sono gemelli, uno mutua dall’altro, perché quando una coppa è in se stessa piena, trabocca ineluttabilmente fuori di sé: di rado, davvero di rado, ha paura di portare il Regno chi ha esperienza del Regno, se non per l’amarezza di veder rifiutata ciecamente una Bellezza così grande.
Il numero due
Ma vi è un nuovo aspetto che ci comunica il discorso di Gesù, un nuovo indizio. Era questa la domanda da cui eravamo partiti: che cos’è il Regno? Ora, se il Regno siamo noi in quanto suoi discepoli, da come Cristo chiama i suoi discepoli potremmo intravedere un nuovo aspetto dell’identità del Regno.
Anzitutto dice che «li inviò due a due». Il regno è fatto a coppie. Non è curioso questo? Se uno legge il primo capitolo della Genesi, troverà che per lo più Dio crea le cose a coppie: «In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gn 1,1), «Dio separò la luce dalle tenebre» (Gn 1,4). Poi troviamo che «Dio fece il firmamento e in mezzo le acque per separare le acque dalle acque» (Gn 1,6), separa quindi la terra dal mare (Cfr. Gn 1,9), crea le erbe e gli alberi (Cfr. Gn 11) e i due grandi luminari del giorno e della notte (Cfr. Gn 1,16). Di nuovo, pone in essere gli uccelli del cielo e i pesci del mare (Cfr. Gn 1,22), i rettili, il bestiame e gli animali selvatici (Cfr. Gn 1,25).
E in questo immobile ed esplosivo fiorire dell’essere, nella primavera delle primavere del cosmo, si giunge alla creatura per eccellenza, all’apice, quello per cui, secondo i sapienti di Israele, Dio disse: «Vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gn 1,31). Mi riferisco alla creazione dell’uomo: «“Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza […]”. E Dio creò l’uomo a sua immagine; / a immagine di Dio lo creò: / maschio e femmina li creò» (Gn 1,26.27). Dunque, sembra che tutto ciò che è creato, sia all’insegna del numero due, sicché si potrebbe dire: la coppia è il paradigma della Creazione.
Allora in questo due a due, vi è molto di più di quanto non pensiamo. Se Dio li invia a coppie e la coppia è il numero creativo per eccellenza, sta implicitamente dicendo che il suo chiamarli non è semplicemente un inviarli, ma un farli nuovi e che il Suo Regno è una Nuova Creazione.
Verso una nuova Creazione
Ma non è forse questo il senso del celebre passo paolino: «L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio […] nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,19-21)? E se guardiamo la finale del brano evangelico non troviamo già uno scorcio di questa gloria? Dice, infatti: «I settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome» (Lc 10,16). Anche se non ce ne accorgiamo, sappiamo che questa è la nostra intima realtà, che giace nascosta. Mistero a noi stessi, valiamo molto più di quanto supponiamo, e nemmeno ci accorgiamo di tutto il bene che l’Altissimo compie attraverso di noi.
Tuttavia, questo non ci deve stupire: il Regno assomiglia ad un seme (Cfr. Mc 4,26-32). Ora, in una pianta prima spuntano le radici, che irrorano tutto il nutrimento perché il fusto cresca e getti le prime foglie. Poi sorge il germoglio, ma le radici, che pure sono già presenti, non si vedono. Così, verrà il tempo in cui anche il verde di una vita nuova sgorgherà dal suolo, ma questo è già attivo: «Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1Gv 3,2). Così, nell’essere discepoli si manifesta in noi e attraverso di noi il Regno che è già Regno dei Cieli, cioè di Cieli Nuovi e Terra Nuova, come dice San Pietro: «Secondo la sua promessa noi aspettiamo, nuovi cieli e una terra nuova» (2Pt 3,13).
Questa era la seconda di una serie di tre glosse a Lc 10,1-12.17-20, per leggere la terza ed ultima clicca qui: Il Mistero del Regno.
1 Imitazione di Cristo, II, 1.2, trad. it. di C. Vitali, bur, Milano 1974, pp. 102-103.