Pazienza…
Di rado accade che il Signore ti esaudisca quando te lo aspetti: tendenzialmente, quando te lo aspetti di più è il momento in cui arriva di meno. Primo, perché è il momento in cui, come si suol dire, la ricezione del dono sarebbe troppo “telefonata” e l’Altissimo ha un vividissimo piacere per confezionare sorprese, il che suscita il plauso affascinato dei bambini e tendenzialmente produce una certa irritazione in quel sempre latente fariseismo che si sente, mi si consenta, ancora troppo cresciuto per esserlo davvero. Ma è cosa con cui fare i conti sempre, i teologi la chiamano superbia.
Mi ricordo che quando per la prima volta guardammo in famiglia Ratatouille – magnifico film1 – eravamo tutti accucciati nel divanetto del salotto con saltanti gattini che tra una zuffa e una carezza cercavano di rubare la nostra attenzione dalla – per loro troppo egocentrica – trappola televisiva… ebbene si giunse finalmente all’apoteosi delle ultime battute. Ecco, giunge il cameriere, in lontananza vi è il cuoco che rimane a guardare: «Quale dessert preferisce?» e l’asciutto critico, irraggiando un radioso sorriso sul più pallido del suo viso, esclama al più improbabile genio culinario della storia del cinema (un ratto): «Sorprendimi!». E su una panoramica festosa e parigina, fra le note voluttuose di una canzonetta francese, mia madre si voltò ridente e indicandomi lo schermo mi disse: «Questa è la preghiera migliore che si possa rivolgere a Dio: sorprendimi».
Sarebbe ora stupendo incrociare quel per me intramontato insegnamento sulla vita di preghiera col Padre Nostro, quella che i grandi maestri dicono essere un’orazione “perfettissima”, perché «nella preghiera del Signore non solo vengono domandate tutte le cose che possiamo rettamente desiderare, ma anche nell’ordine in cui vanno desiderate»2. Cosa significa che ognuna delle sue domande è un modo particolare di dire all’Altissimo: “Sorprendimi”? Ma non è questa la sede per parlarne, altrimenti finirei per raccontare un’altra lectio. La verità è che Dio a tempo opportuno raccoglierà le stropicciate domande dell’anima per rispondere cordialmente ad esse e sarà il tempo in cui: “Sorprendimi!” sarà la preghiera più esaudita di tutte.
Tornando sui propri passi… nuove strade
Così, quando mi ricapitò, qualche tempo dopo, di riprendere in mano il testo di Isaia 55: «Come […] la pioggia e la neve / scendono dal cielo e non vi ritornano / senza avere irrigato la terra, / senza averla fecondata e fatta germogliare, / […] così sarà della parola / uscita dalla mia bocca: / non ritornerà a me senza effetto, […] e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata». Mi accorsi che stavo leggendo questo testo alla candela della celebre parabola del seminatore: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. E mentre seminava una parte del seme cadde sulla strada […] Un’altra parte cadde in luogo sassoso […]. Un’altra parte cadde sulle spine […]. Un’altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta» (Mt 13,3-9).
Credo sia stato un prete a suggerirmi di associare le due pagine: frattaglie della memoria di una vecchia omelia. È tutto sommato l’interpretazione più spontanea del passo, la più nota a noi: per chi è fedele, la parola è fedele e a suo tempo porterà frutto, anche se non si ha la sensazione che lo porti immediatamente. Si trova scritto, infatti, che «tutte le volte che uno ascolta la parola del regno» accade come narrato dalla parabola (Mt 13,19) e «tutto dovrà accadere, tutto si realizzerà […], come hanno predetto i profeti d’Israele, che Dio ha inviati; non una delle loro parole cadrà. Ogni cosa capiterà a suo tempo» (Tb 14,4). È dunque la stessa parola divina che nel Vangelo viene seminata come un seme e nel profeta viene seminata come la precipitazione atmosferica. Identico è anche il seminatore: quel Dio che «come polvere sparge la brina, getta come briciole la grandine» (Sal 147,6).
Decifrazione: l’ultima risposta
Ma era la lettura più proporzionata? Sapevo bene, infatti, che non bisogna mai dare per scontato ciò che l’anima presagisce nella preghiera e io avevo presagito che questo canto di Isaia rispondesse ad una mia domanda.
Rilessi con attenzione: mi resi conto che all’interno del testo le parole dell’Altissimo non erano qui paragonate ad alcun seme, ma alla pioggia, e poi alla neve, «perché dia il seme al seminatore / e pane da mangiare» (Is 55,10e-f). Se questa parola prepara al seme, è la parola-seme? Non può esserlo, almeno non immediatamente. Con che cosa andava identificata? L’Altissimo rassicura che essa non ritorna a Lui senza aver operato ciò che Egli desidera. Questa rassicurazione è seguita da un dunque che nella grammatica del periodo ha la funzione di trarre le conclusioni di un discorso: «Voi dunque partirete con gioia / sarete condotti in pace» (Is 55, 12).
Mi ricordai che per gli antichi la gioia è spesso espressa simbolicamente nell’ordine del rigoglio e della fecondità, sicché una si possa intendere in luogo dell’altra: non vi è infatti una gioia vera che non sia feconda ed una fecondità che non sia felice.
Ecco, allora qualcosa che per me è mirabile: se Dio dice che la sua parola è come la pioggia e la neve che non scendono, cioè non partono dal cielo senza restituire la felicità dei frutti e quindi intima ad Israele, il Suo popolo, di partire con gioia, allora Israele è quella stessa parola uscita dalla bocca empirea di Dio, certa di portar frutto, accada quel che accada. Sorse nella mia mente una seconda voce amica: «Voi, che un tempo eravate non-popolo, ora invece siete il popolo di Dio; voi, un tempo esclusi dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia» (1Pt 2,10). Israele siamo noi, quel fruttifero refrigerio di pioggia, quel respiro di vita e di neve.
Ecco, allora, era come se mi fosse detto: «Purché tu agisca in Dio, amico mio, non temere mai di non aver portato frutto ovunque tu sia in ogni cosa che compi. Anche se non ricavi un’immediata soddisfazione o il progresso atteso dopo molti sforzi, non importa. Tu porti frutto. Anche se forse non lo vedrai in questa vita, avrai portato frutto». Vale il detto del saggio: «In tutto ciò che fai abbi fiducia in te stesso / perché anche questo è osservare i comandamenti» (Sir 32,23).
Conclusione
Trepidai di una frizzantina esultanza: Dio risponde, sempre, conducendo nella selva dei significati attraverso sentieri tratteggiati da briciole di pane. Basta lasciarsi attrarre da questa sua onnifraterna compagnia… Di colpo un’ultima domanda: e la precedente lettura? Tutto questo mantecarsi di paesaggi montani, d’inverni e primavere che valore aveva?
In effetti, avrei mai scoperto questa verità che Dio serbava per me, questa profezia sulle fatiche di ogni cristiano, se non avessi frequentato fedelmente la Scrittura? E così senza che me accorgessi, nutrirmi della Rivelazione aveva dato il frutto della risposta che in quel momento più attendevo: cioè che in Dio l’uomo non può non portare frutto.
E così chiusi la Scrittura e sorrisi.
Per leggere anche la prima glossa a Isaia 55,10-12 clicca qui: Il frutto e la neve – I.
1 Film d’animazione del 2007 prodotto dalla Pixar e diretto da Brad Bird e Jan Pinkava.
2 San Tommaso d’Aquino, La Somma Teologica, II-II, q. 83, art. 9, resp, trad. it. Frati Domenicani, esd, Bologna 2014, p. 802.
Riconoscimenti per le immagini: per la copertina, elaborazione della foto “Hanging out” di Natalia Medd.