Una tremenda domanda
Ci sono giorni in cui, nell’entusiasta corsa a capofitto della vita, qualcosa di noi, così, di colpo, si ferma. E ci strattona, d’improvviso, la veste: è come se una parte di noi, un non so che d’intimo, di prezioso (da proteggere) fissasse il suo sguardo nel nostro, ancora inconsapevole, e dicesse: “Ne vale la pena? Hai investito tempo, energie, speranze: funzionerà? Oppure alla fine con le lagrime agli occhi ci diremo: «Tutto… per niente…»”. Il tempo non torna indietro: all’inizio pare se ne abbia un’infinità, poi in una manciata di giorni e tentativi la sabbia della clessidra sale inesorabile alla gola.
Una voce amica
Fu in un giorno come quelli, quando l’ultimo tratto di fatica sembrava un’erta ghiaiosa, dove ad ogni passo il piede scende coi sassi scivolosi, che incontrai una vecchia voce, una promessa fatta all’ombra di secoli antichi:
«Come […] la pioggia e la neve / scendono dal cielo e non vi ritornano / senza avere irrigato la terra, / senza averla fecondata e fatta germogliare, / perché dia il seme al seminatore / e pane da mangiare / così sarà della parola / uscita dalla mia bocca: / non ritornerà a me senza effetto, / senza aver operato ciò che desidero / e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata. / Voi dunque partirete con gioia, / sarete condotti in pace. / I monti e i colli davanti a voi / eromperanno in grida di gioia / e tutti gli alberi dei campi batteranno le mani» (Is 55,10-12)
Ne rimasi colpito. Quella parola aveva qualcosa da dirmi, la sentivo aggirare le mura del cuore, come s’aggira il vento intorno alle vecchie case, cercando uno spiffero per cui passare. Ma cosa aveva da dirmi?
Per scoprirlo era necessario che partissi – senza preconcetti, certo – da quello che già sapevo, come insegnano a compiere i maestri: «Non sono le stesse le cose che sono conoscibili per noi e quelle che lo sono in senso assoluto […] noi giungiamo dalle cose che sono più note a noi alle cose che sono più note per natura»1. È come un giallo: gli indizi sono tutto ciò che conosciamo per primo, ma non si spiegano davvero fin quando non abbiamo compreso chi è l’assassino, che è quello che all’inizio conosciamo meno. Ma proprio in questo sta la soluzione di un enigma: essa è ciò che spiega tutti gli indizi.
Decifrazioni: la pioggia
Questo il primo indizio: la parola uscita dalla bocca di Dio. Sembra un’auto-dichiarazione della Scrittura stessa, quasi dicesse: “Sono stata mandata a bussare alla tua porta, aprimi! Se mi lascerai entrare in questa casa, non ti lascerò immutato”. Del resto, non è forse la Scrittura la parola uscita dalla sua bocca, parola dalla forza penetrante e metamorfica? Per essa la trama di pietra di un cuore può tornare ad essere fibra di carne (cfr. Ger 31,33 con Ez 11,19-20).
Dopo tutto, vi era una corrispondenza armonica e arcana tra l’immagine della neve, delle piogge e la lettura della Rivelazione: riandando alla mia esperienza, davvero non trovai una parola di cui potessi dire: “In assoluto, inefficace”; dall’altro, non tutte lo furono allo stesso modo e nello stesso tempo. Il che doveva essere normale nella sua stranezza: quelle cose che tendono ad avvenire sempre uguali sono regolarità naturali, quasi meccaniche, necessitate. La variazione imprevedibile, invece, è indice di libertà: la Scrittura è una parola viva, perché vivo è Colui che la pronuncia.
E così si collezionavano nella mia mente momenti in cui nell’immediatezza mi sentivo ristorato da una frase o da un episodio: nell’atto stesso in cui leggevo, sentivo una profonda e gioiosa consonanza interiore. Era tutto riassumibile in un sintagma: per me. Questa parola oggi è detta per me. La premura di Dio, la Sua cura, la gratitudine… davvero la Scrittura è come pioggia: giunge, purifica il terreno, lo impasta di vita rigogliosa, resuscita i germogli ancora sepolti nei loro sepolcri di seme, infonde una calda speranza, sensi nuovi fioriscono sulle diramazioni dei pensieri.
Decifrazioni: la neve
Sono momenti provvidi. Con ciò, gli incontri con il testo sacro non sono sempre così partecipati e primaverili: molti furono più freddi; sembra quasi che non una delle parole in fila sia convenuta sulla pagina per dirti qualcosa che sfugga all’ordinario. Molte stanno lì, in cerchio fra loro, “scambiandosi fra loro”, attorno ai falò di scene antiche, arrostendo saporiti bocconi (come in quelle feste di amici, dove un tuo amico, amico di un amico di un amico che dava una festa, ti ha invitato senza essere poi venuto… pessimo soggetto).
Forse che Cristo non era venuto? Forse il mio animo era un po’ freddo, forse distratto, forse no, ma l’incontro era decisamente più invernale… Oppure, Cristo era venuto eccome, ma di nascosto. Del resto, chi cammina sulle acque può non lasciare tracce sulla neve… La neve, giusto, la neve: la pioggia dell’inverno non è forse la neve? Essa si accumula sui picchi alpestri, là dove i monti rivestono l’ombra di altre montagne. Costituisce i ghiacciai perenni che attendono i tepori più estivi di un sole che ne distilli le acque.
Quante parole della Scrittura udite un giorno esplosero poi in un altro tra curiose e pittoresche epifanie? «I monti e i colli davanti a voi / eromperanno in grida di gioia / e tutti gli alberi dei campi batteranno le mani». Ora capisco come agisce la Sua parola anche quando sembra inefficace: come nevi che pazientemente cumulate nel grembo dei crepacci, prima o poi, nei giorni del disgelo, si scioglieranno fra nastri d’impetuose cascate a irrigare le valli, finché ad esse non si accorra come cercatori d’oro coi setacci in mano e i calzoni raggomitolati sui ginocchi, in cerca di pietre che lucano al sole.
Ecco, dunque, il frutto della prima e complessiva decifrazione del brano: qualunque cosa accada, quindi, la Sua Parola sarà sempre efficace, confidando che la sua riuscita non dipende dal fatto che ce ne accorgiamo: a noi è chiesto solo di leggere con attenzione, con sacro rispetto, di lasciare agire il testo sacro, di essergli fedeli, di crederlo: «La sua comprensione derivi non tanto dalle spiegazioni, quanto piuttosto dalla luce a lui concessa da Dio. Inoltre, non legga velocemente, ma consideri con diligenza ogni parola, e creda fermamente che tutto ciò che legge è verissimo, in quanto proviene da colui che non può errare»2.
Conclusione?
Ma io ero arrivato alla Scrittura con una domanda anteriore. Questi pensieri vi rispondevano? Mai dare per scontato ciò che l’anima presagisce nella preghiera e io avevo presagito che questo canto di Isaia rispondesse alla mia domanda.
Se è vero che la Scrittura è un dialogo che Dio instaura con l’uomo, spesso il Suo modo di risponderci è libero, non esattamente prevedibile. Da che ho potuto avere qualche esperienza del Signore, pare proprio che Egli ami partire “dalla Genesi” o “da principio”, il che non guasta nulla alla Sua puntualità, quanto piuttosto svela la nostra scarsa pazienza. In ogni caso, le domande che suscita la Rivelazione le appartengono; Cristo risponde sempre agli interrogativi che semina: solo il tempo svelerà i suoi tesori.
Per leggere la seconda parte di questa glossa a Isaia 55,10-12 clicca qui: Il frutto e la neve – II.
1 San Tommaso d’Aquino op, Commento alla Fisica di Aristotele, Lib. I, Lec. 1, n. 7, cur. B. Mondin, ESD, Bologna 2007, p. 51.
2 P. Girolamo Savonarola op, Esposizione del Pater Noster, cur. p. T. S. Centi op, ESD, Bologna 1994, pp. 14-15.
Riconoscimenti per le immagini: per la copertina, foto “Sunset and Showers” di Tim Haynes.