Al cuore della Creazione
«Non potrei chiamare Dio chi è stato di due o tre mesi»1: questa frase viene attribuita a Nestorio2. È l’esatto contrario di quello che vale per noi. Noi possiamo – dobbiamo! – definire un bambino di due o tre mesi «Dio» perché è accaduto esattamente così; è un Fatto. Fondarci su questa certezza può darci speranza, pace e un Orizzonte più ampio – l’unico veramente adeguato – in cui rileggere la vita e la fede nostra e di chi ci è caro. Proviamo a far caso ai bambini: loro possono insegnarci – magari senza saperlo! – qual è il modo adeguato di stare di fronte alla realtà, ossia lo stupore di chi la vede come un Dono. Noi siamo immersi in un Dono: la Creazione, che ci precede e ci contiene: cominciamo a vederci immersi in questo grande Mistero che ci avvolge e sapremo qualcosa in più sul Natale, e quindi su Dio:
«Può darsi che il sole sorga regolarmente perché non è mai stanco di sorgere. La sua routine può essere dovuta non a una mancanza, ma a un eccesso di vitalità. Ciò che intendo dire lo si può vedere, per esempio, nei bambini quando fanno un gioco o uno sport che li appassiona particolarmente. Un bambino che sgambetta ritmicamente, lo fa non per mancanza, ma per sovrabbondanza di vitalità. I bambini hanno una vitalità esuberante e sono pieni d’istintività e di entusiasmo: per questo motivo vogliono sempre ripetere e non cambiare ciò che fanno. Dicono ogni volta: “Fallo ancora”, e l’adulto lo ripete fino allo sfinimento. Perché i grandi non sono abbastanza forti per godere della monotonia, ma forse Dio lo è. Può darsi che ogni mattina Dio dica: “Fallo ancora” al sole e ogni sera dica: “Fallo ancora” alla luna. Forse non è un’automatica necessità a rendere le margherite tutte uguali, forse Dio crea ogni margherita separatamente, ma non si stanca mai di farlo. Probabilmente possiede in eterno lo stesso entusiasmo dell’infanzia; noi siamo invecchiati perché abbiamo peccato e nostro Padre è più giovane di noi»3.
Al cuore della Storia
Quando sentiamo san Paolo affermare che «Cristo Gesù […] pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso»4, spesso ci concentriamo sullo svuotamento del Figlio di Dio come se fosse un atto istantaneo, rischiando di dimenticare che, di fatto, tutta la vita di Cristo è stata un sacrificio; e il sacrificio che fa da sfondo a tutto questo è l’assunzione della natura umana, limitata nel tempo e nello spazio: in un certo senso, Dio “sceglie di attendere”. San Giovanni Paolo II ci ricorda che
«L’incarnazione del Figlio di Dio permette di vedere attuata la sintesi definitiva che la mente umana, partendo da sé, non avrebbe neppure potuto immaginare: l’Eterno entra nel tempo, il Tutto si nasconde nel frammento, Dio assume il volto dell’uomo»5.
Questo ci consente di ridare il valore giusto al tempo: tempo come attesa, tempo come tendere verso Dio, insomma attendere un Avvento… Questo insegnamento risulta indispensabile ed urgente proprio in un’epoca come la nostra in cui il tempo è saturo ma non pieno, attraversato ma non vissuto. Significa forse che dobbiamo farci tutti monaci o frati? No di certo, ad ognuno la sua vocazione! Piuttosto, dobbiamo iniziare a vivere intensamente quello che facciamo già, quello che ci accade ora, non preoccupandoci dei fuochi di paglia rivoluzionari, ma del Fuoco vivo che non smette di ardere:
«Sono bastati invece pochi anni a un Napoleone o a un Hitler per rivoluzionare la propria epoca. Ma, allo stesso modo, non sono stati necessari che pochi anni affinché la loro opera fosse annientata. “Il tempo non risparmia quanto è stato fatto senza di lui”, ha detto Jacques Bainville. Dio, che è il signore del tempo, avrebbe potuto manifestarsi istantaneamente in tutto il fulgore della sua gloria. Se non l’ha fatto, se ha scelto l’umiltà e l’oscurità, è perché ha voluto darci l’esempio delle virtù dell’attesa e della pazienza. Per mostrarci che le riuscite più rapide e più visibili sono votate al nulla se non sono preparate da una lenta e segreta incubazione. È il lungo e invisibile lavorio delle radici e della linfa a permettere all’albero di portare frutto… Questa è la lezione che emerge dalla festa di Natale: l’esempio dell’uomo-Dio ci invita a coltivare le realtà interiori, che maturano nel silenzio e nel segreto, senza le quali tutti i successi temporali non sono che apparenze brillanti e fuggitive, dei fuochi di paglia che s’accendono e si estinguono in un sol colpo»6.
Al cuore di Dio e di noi stessi
Lo scopo dell’Incarnazione, raccontato ogni anno nella Solennità del Natale, è riportarci a Dio, Fondamento della nostra esistenza e della nostra storia. A conforto di questa grande speranza – tornare a Dio – c’è una straordinaria storia di santità e verità che la nostra amata Chiesa, sposa di Cristo, quotidianamente ci testimonia. Dio si fa uomo per ricondurre l’uomo a Lui: «Il Verbo si fece uomo e il Figlio di Dio si fece Figlio dell’uomo, affinché l’uomo, mescolandosi a Dio e ricevendo l’adozione filiale, diventi figlio di Dio»7.
Non solo: nel qui ed ora che viviamo quotidianamente, il Signore Gesù, che ci conosce più profondamente di quanto possa conoscerci un amico o possiamo conoscerci noi stessi, ci rivela chi siamo veramente, ossia dei mendicanti che bramano Salvezza e Verità; la nascita di quel Bambino ci porta all’origine della nostra storia, dove forse non ci siamo mai addentrati veramente. Cristo ci sprona ad una totale conversione che ci porti ad incontrare – o riscoprire – quella Bellezza che era già lì sulla soglia, anzi nel profondo del nostro cuore:
«Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me, e non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te, gustai e ho fame e sete; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace»8.
Buon Natale!
1 Evagrio di Epifania, Storia ecclesiastica, Testi patristici, Città Nuova, Roma 1998, 40. La frase è attribuita a Nestorio da Evagrio Scolastico, storico siriaco originario di Epifania e vissuto tra il 536 e il 594.
2 Patriarca di Costantinopoli (dal 428 al 431) ed eresiarca siro.
3 Chesterton G.K., Ortodossia, Lindau, Torino 2010, p. 83.
4 Fil 2,5-7.
5 Giovanni Paolo II (s.), Lettera enciclica Fides et Ratio ai vescovi della Chiesa cattolica circa i rapporti tra fede e ragione, Città del Vaticano, 14 settembre 1998, n. 12.
6 Thibon G., La lezione di Natale, 23 dicembre 1976, Titolo originale La leçon de Noël, «Itinéraires», n. 211, marzo 1977, cfr. http://unacasasullaroccia.com/2014/12/23/la-lezione-di-natale/ (consultato in data 17 novembre 2019).
7 Ireneo di Lione (s.), Adversus Haereses, 3, 19, 1, in Contro le eresie e altri scritti, Jaca Book, Milano 19972, 278.
8 Agostino di Ippona (s.), Confessioni, l. X, c. 27, p. 38.
Riconoscimenti per le immagini: per la copertina, dettaglio della Crocefissione di Matthias Grünewald, foto di Jean Louis Mazieres.