Nella “prima puntata” (clicca qui per leggerla) di questo articolo, ci eravamo posti queste domande: “Se la scienza sperimentale costituisce il criterio unico e ultimo di verità e significanza, la fede detiene ancora un valore e un senso? Se le scienze empiriche riguardano la sfera della ragione probante, credere non è allora frutto di un atteggiamento di adesione irrazionale, e irragionevole, a quelle che in fondo possono essere nient’altro che pie favole? Inoltre, se la tecnica, sulla base delle conoscenze scientifiche, è in grado di fornire strumenti capaci di soddisfare ogni esigenza pratica della vita dell’uomo, a che serve poi volgersi ad una presunta realtà divina trascendente?”, concentrandoci in particolare sulle prime due, sotto l’aspetto della fede umana considerata nei suoi aspetti generali. In quest’ultima “puntata” approfondiremo la seconda di esse e tenteremo di portare qualche breve riflessione sulla terza ed ultima, cercando di tirare anche qualche conclusione.
Una Fede irrazionale?
La Fede cristiana è irragionevole?
Abbiamo mostrato nell’articolo precedente che, in generale, la fede è un atto intrinsecamente umano, esercitato in innumerevoli circostanze, e basato su criteri ragionevoli rispetto all’autorevolezza di chi propone l’oggetto da credere ed alla plausibilità della proposta stessa. Ciò, in particolare, varrà dunque anche per la stessa Fede cristiana (la quale tuttavia non è frutto di un atto meramente umano, ma anche, inscindibilmente, dell’azione della grazia).
Anch’essa perciò avrà le sue buone ragioni. Prestare assenso a verità sovrarazionali non necessariamente è contro la ragione, né privo di ragioni. In questo caso l’autorevolezza sopraddetta è quella di Dio. Egli stesso rivela le verità da credersi – rivelandosi! – nella storia. Oltre a ciò, Egli ha voluto che agli aiuti interiori dello Spirito Santo si accompagnassero anche prove esteriori della Sua rivelazione[1]. Innanzitutto, proponendo all’uomo due serie di verità riguardo alle cose divine; infatti, “alcune superano ogni capacità della ragione umana: come, p. es., l’unità e trinità di Dio, altre invece possono essere raggiunte dalla ragione naturale: che Dio esiste, p. es., che è uno, ed altre consimili”[2].
E ancora, dal punto di vista della ragionevolezza, relativamente alla testimonianza dei discepoli riguardo la risurrezione di Cristo, alla corrispondenza con le profezie dell’Antico Testamento, alla subitanea ed estesa diffusione delle prime comunità cristiane, in modo pacifico e ad opera di uomini indòtti, alla stabilità della Chiesa nel tempo, al contenuto della Buona Novella, ai segni compiuti da Cristo, e dai santi in suo nome, e così via. A ben vedere, nulla di ciò contraddice la ragione, casomai la interroga e la stimola.
Mechanè
Se la tecnica soddisfa (e soddisferà sempre più) le esigenze materiali dell’uomo, a che scopo “occuparsi” di Dio?
La tecnica – la realizzazione di strumenti, opere ed infrastrutture derivanti dall’applicazione di un certo bagaglio di conoscenze scientifiche – si presenta come un fattore che permette di modificare la situazione, in cui l’uomo di volta in volta si trova, a proprio vantaggio. Ora, questo di per sé non ha affatto connotazione negativa, poiché lo sviluppo e il miglioramento delle condizioni di vita “orizzontali”, per così dire, dell’uomo sono certamente qualchecosa di utile e positivo.
Questa immagine positiva, però, incomincia a distorcersi nel momento in cui anch’esso viene assunto come possibile mezzo di liberazione dell’uomo dalla sua radicale finitezza (e con essa dal dolore, dalla morte, e così via) presentandosi come escludente ogni altro orizzonte di significato. E da mezzo rischia di diventare fine e da servo, padrone.
C’è da considerare comunque che, aldilà di presentare questa futura liberazione come solamente possibile (una fede!) per coloro i quali avranno la ventura di vederla (ciascuno di noi, nonostante tutto, vive qui ed ora), in quanto esseri finiti in un mondo finito pare contraddittorio ritenere di potersi affrancare da una simile finitezza con dei mezzi a loro volta finiti: per quanto si cerchi di spostarlo innanzi o di guardare altrove, dobbiamo necessariamente fare i conti, prima o poi, con l’invalicabile limite che ci caratterizza, sicuramente in almeno una delle sue molteplici sfaccettature.
Riemerge ancora perciò quello “spazio” esistenziale che mostra inequivocabilmente come la stessa fede religiosa (dunque cristiana in particolare) non possa venire esclusa a priori come vera proposta di salvezza, ed abbia, anche sotto questo punto di vista, le carte in regola per proporsi come libera e valida a chiunque ne voglia considerare il positivissimo contenuto.
Pertanto, lungi dallo svalutare scienza e tecnica, anzi, esaltandole nel loro giusto ruolo quali elementi estremamente positivi al servizio dell’uomo, si vede bene come esse siano affatto e certamente compatibili con la Fede cristiana in particolare, la quale ben si guarda (da un punto di vista strutturale, s’intende) dall’escludere qualsiasi forma di positivo, purché, come si è visto, esso non venga strumentalizzato, non venga elevato ingiustificatamente ad unico termine di significanza del reale.
[1] Cfr. Concilio Vaticano I, Costituzione dogmatica Dei Filius, c. 3.
[2] Tommaso D’Aquino, Somma Contro i Gentili, l. I, c. III, cfr. c. IV.