Chiunque abbia in casa una Bibbia di Gerusalemme è in qualche modo debitore di un grande frate domenicano, Marie Joseph Lagrange, che ai primi del secolo scorso fu un grande innovatore negli studi biblici e fondò l’Ecole Biblique di Gerusalemme. Lagrange, attraversando la tempesta della crisi modernista e proponendo una lettura storico critica della Sacra Scrittura, ha dato un enorme contributo all’avanzamento della conoscenza, in particolare sulla questione dell’autenticità mosaica del Pentateuco e sui vangeli canonici : oltre ai commenti scientifici, il padre Lagrange ci ha anche lasciato una vita di Gesù, in cui il padre domenicano cerca una via di equilibrio fra il modernismo e una lettura eccessivamente devozionistica. La mattinata di studio promossa sul padre Lagrange nell’aula magna della sezione San Domenico della Fter (Facoltà Teologica Emilia Romagna) ci ha permesso di rivolgere qualche domanda al nostro confratello, padre Paolo Garuti, biblista e professore all’Angelicum a Roma e a Gerusalemme.
Qual è l’eredità che il padre Lagrange ci ha lasciato come studioso?
Padre Lagrange sapeva dalla tradizione tomista che ogni senso derivato della scrittura (allegorico, morale, anagogico) si fonda sul senso letterale: non si può prescindere da ciò che il testo dice. Aveva ereditato dal tomismo anche l’ottimismo gnoseologico: non può esistere reale opposizione fra scienza e fede. In anticipo rispetto all’antropologia culturale che si svilupperà decenni dopo, aveva poi compreso che un Libro, scritto millenni prima in una determinata area geografica, non può essere letto veramente che “dal di dentro”. Per questo, dovette distaccarsi dal metodo dei teologi del suo tempo che nella Scrittura cercavano solo dei dicta probantia, per appoggiare le proprie tesi, e dalle correnti razionaliste delle Università europee che, giudicando i testi antichi come miti scaturiti da popoli primitivi, ne rifiutavano ciò che non era puro insegnamento morale. Per questo venne in Terra Santa: etnografia, geografia, archeologia, linguistica divennero gli strumenti del suo metodo.
Quali sono gli elementi ancora attuali del suo insegnamento e del suo metodo?
Oggi forse non è più tanto necessario andare a vivere in Terra Santa, per leggere correttamente la Bibbia, per tradurla in termini accessibili all’umanità d’oggi: possiamo attingere più facilmente alle “fonti” (letterarie, epigrafiche, archeologiche, ecc.). Anzi, la globalizzazione dell’interesse per la Bibbia, pilotata soprattutto da circoli fondamentalisti o da interessi di consumo, rende pericoloso il contatto coi realia. Per restare all’archeologia: quello che la generazione di Lagrange, al tempo degli scavi di H. Schliemann a Troia e a Micene, vedeva sorgere dalla terra ed iniziava a scoprire, a noi è mostrato già impacchettato in prospettive ideologiche non sempre rispettose del metodo scientifico. Di Lagrange, oltre ad alcune sue intuizioni esegetiche ancora condivise dagli studiosi, resta soprattutto l’atteggiamento di fondo: rispetto delle scienze umane, fedeltà alla Chiesa, disponibilità al dialogo sulla base dei realia.
In che modo questo insegnamento è portato avanti dalla scuola che ha fondato?
Lagrange diceva: «Nessun esegeta cattolico può pretendere di sottrarsi al giudizio della Chiesa in campo dogmatico; ma nessuna autorità potrebbe sottrarre le nostre opere, nel loro contenuto scientifico, al giudizio delle persone competenti, né impedire che tale verdetto sia utilizzato contro la Chiesa, se rileva una insufficienza reale». Questo atteggiamento resta quello dell’École biblique, che, oltre ai titoli propri, può conferire anche il Dottorato canonico in Scienze Bibliche. Finito il tempo dei pionieri, oggi l’esegesi biblica, l’archeologia del vicino Oriente, la storia delle religioni e la teologia sono materie praticate dalle più svariate istituzioni afferenti a diverse confessioni o religioni. Spesso, i risultati sono sconcertanti. Quello più evidente è il cosiddetto fondamentalismo: creando scorciatoie ideologiche aggancia a un testo del passato scelte politiche o settarie, visioni apocalittiche o fortune economiche. Un po’ come faceva il Fascismo con Virgilio ed Orazio.
Oggi quali sono le più interessanti prospettive negli studi esegetici?
Fare “esegesi” è estrarre (exegéomai) dal testo il suo significato e tradurlo (hermenéia) il linguaggi e termini comprensibili oggi. Per l’esegeta cattolico è un impegno ecclesiale. Sui due fronti, le moderne scienze della comunicazione (anche se non si crede al dogma postmoderno che tutto è comunicazione), possono essere di grande utilità. I testi religiosi antichi sono stati spesso prodotti e sempre trasmessi per indurre una convinzione: hanno quindi uno spessore retorico. La loro traduzione e riproposizione oggi avviene in una rete di comunicazioni che ha i suoi strumenti e i suoi limiti. Il lavoro è sempre lo stesso: bisogna sapere cosa c’era prima di un testo, cosa diceva quel testo, come ci è pervenuto quel testo, cosa dice oggi lo stesso testo. Si affinano gli strumenti, soprattutto nella conoscenza dell’anthropos produttore e portatore del testo. Per quanto mi riguarda, lo studio comparato delle culture mediterranee antiche ha molto da dire.
Molte persone sono in difficoltà nell’affrontare la lettura della Bibbia, può dare qualche consiglio per avvicinare un testo, allo stesso tempo, così noto ma altrettanto poco compreso?
Qualche idea. 1) Non chiedere a una sola pagina della Bibbia di dire tutto su tutto: già la Liturgia ci insegna a ascoltare certi testi da seduti e altri in piedi. Ogni pagina va “collocata”. 2) Non correre subito al «cosa mi dice questa pagina?» Dio parla a un popolo, non a narcisi individualisti. Per questo, la domanda corretta è «questa pagina, cosa dice su Dio alla sua Chiesa?» 3) Per chi vuole approfondire, ci sono fin troppi strumenti. Ottimi i dizionari biblici: aiutano a capire il biblicese. Non aver paura della fatica. «Ma Gesù ha parlato ai bambini … ». Verissimo, ma non col libro del Siracide. 4) Diffidare dei predicatori che dicono cosa davvero dice la Bibbia, magari contestando la lettura ecclesiale. È la porta del fondamentalismo. 5) Sapere che si hanno in mano traduzioni, spesso volutamente “orientate”. Soprattutto quelli liturgiche: servono a pregare, non a studiare il testo. Per capirlo davvero, meglio una Bibbia con delle buone note e delle buone introduzioni. La Bibbia di Gerusalemme, ad esempio, frutto dell’École.