Abbiamo chiesto al prof. Massimo Roncoroni, già professore di filosofia e storia della filosofia, nonché laico domenicano, di parlarci della figura di Gustavo Bontadini; presentiamo ora, infine, la terza ed ultima di questa serie di tre interviste a tema (clicca qui per leggere le precedenti: Gustavo Bontadini, tra fede e filosofia e Gustavo Bontadini e la metafisica).
I testi
Nella scorsa intervista ci eravamo chiesti quali fossero, tra gli altri, i filosofi prediletti da Bontadini. Stesso tema, ma passando a Bontadini stesso: è possibile dire anche qualcosa circa i testi più significativi della sua produzione?
Il più geniale è forse Saggio di una metafisica dell’esperienza, rielaborazione della sua tesi di laurea. Lavoro che gli costò non poco in energia psicofisica sino ad esaurirlo. Inoltre, fatti bene sono i suoi Studi di filosofia moderna: lavorava bene anche in storia della filosofia mediante una filosofia nella storia capace di coniugare storia e teoresi, critica ed esegesi. Altri testi importanti di Bontadini sono Dal problematicismo alla metafisica e Conversazioni di metafisica, in due volumi stupendi nei quali ha raggiunto un livello stilistico notevolissimo. Sapeva celiare con gusto e cordiale umorismo… anche con Severino. Il riferimento è qui in particolare a “Sozein ta phainomena” (1964) nel secondo volume di Conversazioni di metafisica dove le critiche di Bontadini a Severino “assumono – nota Melchiorre – una consistenza insuperabile”.
Fra l’altro, Bontadini sapeva anche essere molto ironico, no?
Sì, per esempio con Piero Faggiotto; una volta Bontadini mi dice: «Sai una cosa? Io con Faggiotto, devo confessarti che… non mi ricordo più quale fosse il punto di contesa. E poi non mi ricordo più bene che cosa abbiamo concluso!». In realtà si trattava del principio di ragion sufficiente, ma codesta notazione è per dire che era molto ironico, mai sarcastico, cordialmente portato all’ironia e mai dimentico dell’auto-ironia. Per esempio diceva di sé: «Io sono il più grande filosofo del mondo, europeo, italiano, lombardo, milanese, di via Stradella 2… qui non mi pare che di filosofi non ce ne siano altri!» (Risata).
Ritornando ai libri: dicevamo, le “Conversazioni di metafisica”, e gli ultimi saggi raccolti in “Metafisica e deellenizzazione”?
Riguardo alla de/ellenizzazione, Bontadini la dice: non ellenizzazione del Cristianesimo, ma cristianizzazione dell’ellenismo. Anche qui salta fuori Giustino. Tra parentesi, Bontadini diceva che in teologia lui sapeva solo bene, avendolo pensato e capito, il catechismo di san Pio X. La cosa gli bastava. Ha ragione, anch’io lo ricordo come un testo fondamentale: il primo incontro con la metafisica, come nota anche E. Gilson. In Metafisica e deellenizzazione compare uno dei suoi ultimi scritti “Per una teoria del fondamento”, nel quale alcuni vedono la “svolta infelice” severiniana di Bontadini, consistente nella semantizzazione univocista dell’essere, onde qualsiasi ente è eterno nel suo non poter non essere. Anch’io ne ho parlato diverse volte con Bontadini, anche perché tutti gli dicevamo: «come mai non fa come il suo amico e maestro Piero Martinetti il quale ha scritto un “Breviario di metafisica”, perché lei non fa altrettanto?»1.
Siamo curiosi: come mai rinunciò a questa idea?
Lui così mi ha risposto: «Ma io… tutto sommato… tale breviario pensavo fosse proprio “Per una teoria del fondamento”. Tuttavia troppi amici mi contestano quanto ho scritto, e io non me la sento di mettermi qui a contraddirli adesso, perché molte volte possono avere ragione», diceva, «per cui… basta! Quello che ho fatto ho fatto». Vale a dire è l’ultimo testo, per alcuni approdo felice, per altri svolta infelice. Dunque fu lui stesso a non volerlo più riprendere, poiché diceva tra l’altro: «Ormai sono vicino al vedere come stanno le cose in realtà!».
L’ultima parte della vita e il tema della cristologia
Dunque a quel punto decise di smettere di scrivere?
Questa è una cosa importante. Perché ad un certo punto ha detto “basta”. Io ho l’impressione che desiderasse morire. Nel senso che mi diceva spesso: «Senti un po’: la maggior parte delle persone che conoscevo sono morte, la Cattolica… va come va, e non vince più nemmeno l’Inter… che cosa sto al mondo a fare?». Allora gli replicavo: «Però intanto vince il Milan». E lui: «Beh, è la seconda squadra di Milano, va bene, d’accordo, però… troppo poco!». In concreto si stava affidando solo a Gesù Cristo. Negli ultimi momenti, mi diceva: «Oramai sono vicino a vedere che cosa c’è di vero in quello che ho pensato». Circa il breviario di metafisica riteneva fossero troppe le aporie che gli erano state fatte notare, per riuscire ad avere ancora la forza di di risolverle, ci siamo?
Chiaro. A questo punto, si potrebbe avanzare un’ipotesi su quali aspetti della speculazione bontadiniana avrebbero invece necessitato di maggiore approfondimento?
Posto che il problema sia contraddizione sì, contraddizione no del divenire, allora, io ritengo che il divenire almeno in un punto sia contraddittorio. Proprio quello che dicevamo prima (nella precedente intervista), “più uno meno uno” uguale a “più uno” per intervento creativo. Tuttavia, riguardo i punti bisognosi di maggiore approfondimento, ritengo sviluppata poco l’idea dell’esistenza di Dio in quanto non solo Creatore, ma anche Redentore. Nei temi trattati da Bontadini, infatti, il “catechismo” era più teologico che cristologico. La cristologia, storicamente, nella Chiesa è riemersa con quel signore lì [indica un quadretto con foto appeso alla parete], con Papa Wojtyła. È lui che nella prima enciclica, la Redemptor hominis, indica Cristo: “centro del cosmo e della storia”. Se si dovesse scegliere un tema come manifesto del suo pontificato, direi proprio il cristo/centrismo. Certo, esso era presente in modo eminente anche in Paolo VI, ma, direbbe Biffi [il cardinale Giacomo Biffi], che la svolta antropologica è stato per primo Gesù Cristo a farla! Comunque, se c’è una cosa sulla quale ha puntato Wojtyła è stato proprio questo: “Cristo centro del cosmo e della storia”. E tutto il suo pontificato rispondeva a questa consapevolezza.
E in Bontadini in nessun modo si possono rilevare temi affini a questo?
Dicevo prima che Bontadini è più teologico che cristologico. Però, il senso del “Christus Totus” ce l’aveva eccome anche lui. Tant’è vero che, per esempio, tra i santi aveva una predilezione per San Francesco d’Assisi, poiché S. Francesco è l’“alter Christus”. A livello spirituale, la tematica di Gesù Cristo gli era molto chiara. Ecco, forse non l’ha sviluppata molto a livello teoretico. D’altra parte non si può chiedere a uno di far tutto! Se no sarebbe San Tommaso!
Concludendo?
Ricapitolando, nel divenire ha sviluppato poco il rapporto tra Creazione e Redenzione. Diciamo, lo ha solo toccato di sfuggita, e poi si è concentrato sull’affermazione di Dio creatore. Tuttavia, al di là di queste considerazioni, sono tanti gli spunti nei quali parla di Gesù Cristo. Ripeto, era una sensibilità non ancora diffusa nella Chiesa post/tridentina. Paolo VI, anche lui è cristo/centrico, eccome! Però in nessuna enciclica è stato così esplicito come papa Wojtyła. Da questo punto di vista, forse anche più di Ratzinger.
1 In una interessante chiosa, il prof. Roncoroni ci spiega: «Ecco un altro pensatore di cui non si parla quasi mai, molto importante invece per Bontadini, per l’ispirazione eleatica del suo pensiero animato dalla logica dell’Unità. In genere si parla di Gentile, ma non di Martinetti e del suo fondamento/postulato eleatico. Non a caso nel capitolo sulla conoscenza razionale de l’“Introduzione alla metafisica” di Martinetti è presente in esergo il manifesto parmenideo: “la stessa cosa è pensare ed essere”».
Riconoscimenti per le immagini: per la copertina, foto di Gustavo Bontadini tratta dal libro “Studi sull’idealismo”, Vita e Pensiero Editrice.