Quel Coro che unisce
Quando arriva la primavera e il Sole inizia a sorgere e levarsi presto rispetto all’inverno, nell’entrare in Chiesa la mattina, rimango sempre sopraffatto dalla bellezza che il nostro Coro cinquecentesco promana, illuminato dalla delicata luce del Sole che filtra dai finestroni barocchi dell’abside. Gli intarsi sapientemente fuoriusciti dalle mani del mio confratello Damiano Zambelli, sembrano quasi prendere vita animando la storia della Salvezza che con tanta maestria rappresentano e non è raro che al termine della Messa mi fermi lì, qualche instante, per pregare, completamente sopraffatto da quel singolare dono della bontà di Dio.
Mi ha sempre incuriosito un particolare di questa straordinaria opera d’arte: i pannelli rappresentano l’Antico e il Nuovo Testamento, dalla Creazione del mondo fino alla Pentecoste, eppure il Nuovo Testamento non termina con la Pentecoste, anzi! L’episodio dell’Effusione dello Spirito Santo sulla Chiesa nascente è collocato appena all’inizio degli Atti degli Apostoli. Che Fra’ Damiano si sia sbagliato? Personalmente non credo, anzi, sono persuaso che avesse le idee molto chiare e che immaginando le generazioni e generazioni di frati che come me, oggi, si sarebbero sedute a contemplare i divini Misteri su quegli scranni mirabilmente decorati, volesse lasciare un messaggio ben preciso: che quel Fuoco santo vi invada ogni giorno nella preghiera, perché possiate poi custodirlo e diffonderlo!
Alla luce dell’Annunciazione
Sì, se il Sole illuminando il Coro, lo avvolge come in un manto di divina bellezza, ci ricorda però anche che altro non è se non legno secco, e quasi spontaneamente dovrebbero risuonarci nel cuore le parole del Signore: «che avverrà del legno secco?» (Lc 22,31). Il rischio di essere infecondi è sempre alle porte, ed è un rischio serio che può essere sottovalutato. Troppo spesso, nella banalizzazione della vita che rischia di sopraffarci, rimaniamo fermi, come dei legni secchi, impedendo così all’azione vitale della Grazia di Dio di trasformarci in quei tralci viventi che portano frutto per la Vita eterna (cfr. Gv 15,1-10). Senza frutto, senza vita! Possibile all’uomo, impossibile a Dio! La nostra arida infecondità, stretta dalla Parola del divino Creatore anche quasi materialmente dalle braccia di quel Coro, è esposta integralmente alla luce dell’Amore trasformante di Dio, come è accaduto a Maria il giorno dell’Annunciazione, giorno in cui, tradizionalmente, si fa risalire l’arrivo dei nostri primi confratelli presso questo convento, in Bologna, oramai ottocento anni fa.
Maria è l’icona di quel legno sempre verde eppure continuamente arso dalla Grazia! “Com’è possibile? non conosco uomo!” risponde la Vergine all’Arcangelo Gabriele che le recava l’Annuncio. Quell’apparente mancanza di fecondità carnale di cui Maria è preoccupata, quella povertà che quasi allarmata sottopone all’esame di Gabriele non diventano altro che lo strumento attraverso cui Dio rinnova le sue meraviglie permettendo ciò che mai avrebbe potuto aspettarsi: il dono del proprio Unigenito Figlio che nel suo Grembo integro e santo, fiorito e rigoglioso come il Giardino di Eden, diventa un piccolo uomo. Ed ecco che allora ogni giorno è come se ci facesse visita l’Arcangelo Gabriele e ci domandasse, nel silenzio della vita che siamo chiamati a custodire in convento: “permetti al Verbo di Dio di incarnarsi in te?”.
La professione del nostro sì alla chiamata di Dio, sarà autentica solo se permetteremo a Cristo di unirci a lui come tralci viventi, di divenire per questo mondo che tanto necessita di Lui, espressione vivente e concreta del suo volto, arsi da quella stessa “sublime inquietudine di San Domenico”, perché possiamo continuare a proclamare fino agli estremi confini della terra il Vangelo di pace e di misericordia.