Prima di tutto, questa parola si adatta perfettamente al mio caso. Infatti, nel mio dialetto “vâ-cânz” vuol dire “va a Canzo”, nome del mio paese, dove in effetti mi sono recato per trascorrere il Natale con la mia famiglia. Ma non è questo il punto. Durante queste feste, abbiamo messo al centro le nostre relazioni fondamentali, abbiamo dedicato finalmente l’attenzione che merita alla dimensione contemplativa della nostra vita, abbiamo gustato la gioia. Ora, noi tutti stiamo vivendo il difficile momento del ritorno alla routine dello studio, del lavoro, dei mille impegni, ma sappiamo bene che il ricordo di ciò che abbiamo percepito in queste feste sarà forza, ispirazione e senso per ciò che quotidianamente faremo. Sulla parola «vacanze» ci porremo una sola domanda: può questa parola, con la sola sua potenza evocatrice tipica delle parole, aiutarci a fare chiarezza su ciò che dobbiamo trattenere di queste vacanze, sull’atteggiamento giusto per non perdere nulla di quelle emozioni ed intuizioni preziose, perché non passino semplicemente come passa una sbornia, ma infondano nelle nostre giornate una luce di gioia, di entusiasmo, di nuova consapevolezza, perché queste feste marchino un progresso stabile nella qualità spirituale della nostra vita?

Cominciamo dall’etimologia. “Vacanza” viene dal latino vacantia, «assenza», a sua volta dal verbo vacare, cioè «mancare», collegato all’aggettivo vacuus, che infatti significa «vuoto». Questo ha il suo calco nell’italiano «vacuo», usato nel senso di “inutile”, “fatuo”. Ma a nessuno sfugge l’analogia tra vacuus e vagus («vago»), due facce della stessa medaglia: l’inconsistenza dell’insensato, dell’imprecisato, dell’indistinto. «Vago», in particolare, pur non essendo un vocabolo dal significato particolarmente lusinghiero, ha avuto la fortuna di assurgere a termine descrittivo del sentimento poetico e dell’amore: vedi la «vaghezza» dei poeti e l’«invaghirsi» degli innamorati. Tuttavia la sua applicazione principale è al moto, a un andare senza meta, in modo imprecisato, casuale: quello che si chiama «vagare».

E come definire l’azione dei Magi, che partono senza sapere in quale luogo verranno condotti, guidati dall’attrazione di una stella e dalla fiducia nei loro colleghi occidentali? E poi, non è stato forse un invaghimento a tirar giù Dio dal cielo? «Ah quanto ti costò l’avermi amato». Vaghezza poetica è quella della stella, che si staglia sulla luce del Giorno del Signore, apparendo e sparendo, come in un sogno. Vaghezza mentale è quella dei pastori appena svegliati dagli angeli: «la gloria del Signore li avvolse di luce; essi furono presi da grande timore» (Lc 2,9). “Insensato” è l’atteggiamento ossessivo di Erode, che riesce a vedere in uno sconosciuto neonato un temibile attentatore; vacuo è il tentativo di ucciderlo. E vago è per i saggi d’Israele il significato della consultazione di Erode, di quella visita inattesa, e del responso che essi stessi hanno dato: “Nascerà a Betlemme di Giudea, perché così è scritto”. Vuoto e frustrante è, infine, il mancato riconoscimento del Messia da parte di molti – assimilabili a buoi randagi o ad asini inebetiti, incapaci di riconoscere il padrone (Cfr Is 1,3). Frustrante, sì, perché il Messia è venuto per essere accolto, la verità si è rivelata per farsi ospitare dalla fede.

Qualcosa, infine, «manca»: ci manca sentire che Dio è con noi. È bastata la prima preoccupazione del lavoro, delle relazioni quotidiane, del tempo che scorre, a smorzare la gioia dell’Emmanuele. Ma, ecco, la porta della capanna è ancora aperta e la stella non si stanca mai di indicare la presenza del Bambino. Vieni: voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo…

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fr. Stefano Prina
Lombardo, nato e cresciuto fra i rami del lago di Como, ha frequentato il liceo classico A. Volta di quella città, percorso comunicazione, dove ha imparato ad amare il greco – è un appassionato lettore dei vangeli nella loro forma originale – e le lingue in genere, non ultimo il proprio dialetto brianzolo. Ha poi recitato, all’età di 19 anni, il suo primo “Addio ai monti” per trasferirsi presso il Seminario ambrosiano di Seveso, ex convento domenicano e luogo in cui Carino da Balsamo col suo falcastro dava la morte a S. Pietro primo martire domenicano. Discernendo poi una chiamata più speciale, è entrato nell’Ordine dei predicatori. Ha emesso la sua prima professione religiosa il 3 settembre 2016. Baccelliere in filosofia, prosegue il suo studio della teologia. Per contattare l'autore: fr.stefano@osservatoredomenicano.it

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