Solo i pazzi non hanno paura1
La paura è una passione talmente naturale che non riusciamo neppure ad immaginarci privi di essa. Coloro che riescono a guardarsi dentro con onestà sanno che è proprio grazie a lei che riusciamo a dare il meglio nelle situazioni di difficoltà o di pericolo; troviamo cioè nel timore un alleato inestimabile senza il quale sarebbe ben difficile giungere alla vittoria.
San Tommaso definisce il timore una passione che ha come oggetto «il male futuro, difficile e a cui non si può resistere»2 e in un altro passo afferma che «il male è concepito proprio come privazione del bene. Quindi quando si fugge il male in quanto è male, lo si sfugge perché priva del bene che l’amore ci fa perseguire»3. Dalle parole dell’Aquinate comprendiamo che la paura ha come fine lo stimolare una reazione tesa alla conservazione di un bene. Ecco che quindi può essere utile comprendere come concepiamo tale risposta oggi.
Utile in tal senso è il riferimento al genere horror, considerato qui nella sua incarnazione cinematografica. La parola deriva dal latino horror/horroris4 e, prima d’indicare, come ci si aspetterebbe, l’orrore e lo spavento, fa riferimento agli effetti visibili di questo: l’agitazione, il rizzarsi dei peli corporei, i brividi e il senso di costernazione. Lo scopo dei film appartenenti a questo genere non è, quindi, quello di provocare una fuga, conseguenza di una reale paura, ma di stimolare solo gli effetti di questa emozione nell’uomo. Un buon film horror racchiuderà in se stesso un’ambiguità di fondo: da un lato vorrà evocare nel pubblico una paura reale senza tuttavia stimolarne l’ultimo naturale esito5 (se gli spettatori fuggissero il film sarebbe un insuccesso); dall’altro deve, per riuscire nel suo intento, conoscere ciò che davvero spaventa gli spettatori. Partendo dalle intuizioni dell’Aquinate comprendiamo che per terrorizzare qualcuno è necessario conoscere ciò che è per lui un bene e che cosa possa ragionevolmente sottrargli quel bene senza che lui possa impedirlo. La finzione cinematografica garantisce quella sicurezza che rende gli stimoli capaci di provocare lo stato d’allerta che il termine latino così bene descrive senza diventare l’incipit di una fuga.
I tre lati del terrore
Se san Tommaso ha ragione e la paura si sperimenta per un male percepito come inevitabile e capace di sottrarre un bene amato, allora un buon film horror, in quanto tale, cela in sé ben tre concetti chiave: il male, il bene e l’inevitabilità.
Ciò che voglio qui proporvi è una lettura diacronica sui modi d’interpretare questi elementi che il cinema di genere ha elaborato nel corso dei decenni. Come film di riferimento ho deciso di considerare due pellicole famose ma ben distanti negli anni: Lo squalo6 e Paranormal Activity7.
In entrambe il bene è ovviamente la vita: sia la pacifica comunità di Amity che la bella coppia vessata dal demonio vedono minacciata la loro stessa sopravvivenza e non qualche bene inferiore o più generico. Il valore di questo bene viene reso maggiormente evidente e coinvolgente attraverso la giustapposizione di normalità e serenità: lo spettatore è portato a vedere in ciò che è minacciato l’archetipo dei suoi stessi desideri più fondamentali, arrivando quindi con più facilità a temerne la perdita.
La concezione del male segna invece la prima divergenza fra le due opere: ne Lo squalo la minaccia è costituita da una potenza naturale che viene presentata come ostacolante il percorso d’affermazione della potenza umana; in Paranormal Activity invece il male è preternaturale8, una forza invisibile ed invincibile che si pone non come un impedimento o una sfida, ma come un limite invalicabile e oppositivo entro il quale, di riflesso, si può leggere anche la stessa natura dell’uomo. La diversità di concezioni ricalca archetipicamente una mutazione che negli anni ha coinvolto l’intero genere. Essa suggerisce un’evoluzione nel rapporto fra l’uomo ed il mondo: a fronte di un’iniziale fiducia nella capacità di dominio con le proprie forze, fa seguito un senso di costernazione e di resa davanti ad un limite che segna la fine di qualsiasi pretesa di onnipotenza.
In questa chiave può essere letta l’inevitabilità: se nell’opera di Spielberg la necessità di affrontare la minaccia porta i protagonisti ad affidarsi alle proprie capacità per ristabilire un dominio sulla natura appena messo in dubbio, nel film di Oren Peli questa si tramuta in ineluttabilità, nella disperazione di chi si vede sopraffatto da potenze sulle quali non può esercitare alcun controllo.
Soli nel buio
Non credo sia un caso che la nostra società abbia identificato i propri invalicabili limiti nell’ambito dell’immateriale. Se perfino il mastodontico squalo bianco descritto da Benchley poteva essere sopraffatto da colui che si pensa signore della materia, l’inesplicabile malvagità del demonio di Paranormal Activity scopre l’immateriale esterno al controllo umano. La potente individualità dell’occidentale contemporaneo arriva a comprendere il male spirituale, il peccato, come un limite invalicabile per le sue sole forze, poiché da un lato troppo radicato ed intrecciato alla sua natura, dall’altro sente e percepisce l’eco di una realtà inquietante che trascende la natura stessa.
Il cinema horror contemporaneo ci descrive un occidente consapevole della sua necessità di salvezza e disperato per l’impossibilità di conseguirla da sé. Come il cieco evangelico9, egli si muove solo nel buio, disperato ed infelice, in attesa di qualcuno che trovandolo lo conduca alla luce.
Di fronte alla disperazione che traspare dai film di questo genere recentemente usciti non si deve scorgere un vuoto spirituale nella società che li ha partoriti, bensì l’accorato e disperato grido d’aiuto che un moribondo dormiente affida ad un etere che immagina vuoto ed oscuro. Tale disperazione racchiude in sé il germe della necessità, quella ricettività nei confronti della Salvezza che, se coltivata dai vedenti, permetterà anche ai ciechi di scorgere il Figlio di Davide che passa nel mondo.
1 Questo titolo di paragrafo cita liberamente il Maggiore Chip Hazard, antagonista del film del 1998 Small Soldiers, diretto dal regista Joe Dante; la frase esatta, nel doppiaggio italiano, è: “Bisogna essere pazzi per non avere paura!”. Nel titolo dell’articolo, invece, i conoscitori del genere avranno notato un rimando al film Alien, di Ridley Scott, uscito nel 1979 in Italia con il sottotitolo “Nello spazio nessuno può sentirti urlare”.
2 Cfr. Tommaso d’Aquino, Somma Teologica I-II q. 41 a. 1, ESD, Bologna 2014.
3 Cfr. Ibidem, q. 42 a. 1.
4 Cfr. Castiglioni L. e Scevola M., Vocabolario della lingua latina, Loescher 2001, p. 566.
5 Le altre reazioni naturali le stimola, non stimola, però, l’ultima, cioè la fuga.
6 Opera del grande Steven Spielberg, il film fu tratto dal mediocre romanzo di Peter Benchley nel 1975; pur essendo adesso considerata una pellicola d’avventura, all’epoca fu concepito e visto come un film horror.
7 Il film fu diretto nel 2007 dal regista Oren Peli ottenendo un successo sproporzionato al bassissimo budget con il quale fu realizzato.
8 Tecnicamente nell’ordine delle cose soprannaturale si dice solo di ciò che pertiene la grazia, preter per ciò che è demonico, cioè di un intervento angelico non mosso dalla grazia, e naturale per tutto ciò che è umano e sub-umano.
9 Cfr. Mc 10, 46-52.