L’equazione del male
Nel 1986 lo scrittore americano Stephen King pubblicò una delle sue opere più famose, capace in qualche maniera d’imporsi come modello stilistico del prolifico artista. Sto parlando di It, uno dei romanzi più corposi e complessi dell’autore, nonché oggetto di ben due adattamenti1. L’opera si pone con decisione all’interno del genere horror e, pur con differenti stili e risultati, i due registi impegnatisi nell’arduo compito della trasposizione l’hanno riproposta proprio facendo di questo elemento il cuore pulsante della narrazione. Sia lo sceneggiato del ’90 sia i due film più recenti fanno leva sulla capacità del romanzo di creare situazioni spaventose e disturbanti, sfruttando la potenza dell’immagine per dare linfa vitale alle efficacissime scene progettate da King.
Tuttavia, pur senza voler né criticare né svilire questa scelta, penso sia giusto soffermarsi un attimo su quegli elementi di complessità che il romanzo propone e che permettono di approfondire la comprensione dell’opera stessa.
Il cuore pulsante del testo è sicuramente la figura di Pennywise. Questo diabolico essere nella narrazione di King sembra esistere su differenti livelli, al punto che il lettore si sente come guidato per mano in un’ascesa che lo conduce dagli specifici crimini della creatura alla considerazione del male nell’economia del cosmo. Dando vita ad una sorta di gerarchia diabolica, costruita tramite i differenti piani d’azione di It, Stephen King presenta, nel piccolo mondo di Derry, una vera e propria economia del negativo capace di unificare esperienze distinte in un’unica equazione del male.
La potenza del male
Il primo di questi livelli è quello degli omicidi. It, infatti, celato dietro il disturbante travestimento del clown Pennywise, si fa vile cacciatore dei piccoli per eccellenza, cioè dei bambini. Questi crimini, tanto orrendi quanto apparentemente insignificanti nell’economia del cosmo, assumono un valore quasi religioso nel romanzo, divenendo segni terribili di un rituale che sembra rigenerare e perpetrare un male dalle proporzioni universali. Il piano più basso, ossia gli specifici omicidi, trova proprio nella sua perversa ritualità il filo conduttore che lo collega alla prospettiva più alta, ossia quella ove il diabolico vorrebbe farsi elemento cosmico. L’esistenza di It, che King presenta come legata indissolubilmente alla potenzialità verso il male insita nel creato, è al contempo fragilmente ancorata all’attualità proprio attraverso singoli, terribili atti. Questa lettura consente di scorgere nella figura di It la rappresentazione di un male che, pur presentandosi come elemento potenziale dualisticamente contrapposto al bene, manifesta tutta la sua contingenza nell’essere attualizzato esclusivamente tramite specifici atti. Ecco che quindi l’autore sembra suggerire una lotta al male non tesa ad eliminarne la possibilità, ma a debellarne l’attualità.
Ciò che tuttavia m’interessa porre in rilievo in questa sede è l’elemento intermedio che collega i due piani e che il romanzo così abilmente delinea. L’attualità del male, infatti, incapace di trovare una necessità che mai possiederà, si contenta di fondarsi su una menzogna che fa apparire detta necessità effettiva proprio a coloro che potrebbero debellarla.
L’inganno del male
L’importanza di questo elemento è rivelata dallo spazio che riceve nel libro, mentre la sua complessità trova riscontro nella difficoltà riscontrata nel renderlo comprensibile e centrale negli adattamenti. Il male, ossia It, costruisce la propria necessità a livello non individuale ma sociale, agendo non sul mondo per ciò che è, ma sul modo in cui viene percepito. King, coerentemente con il modus operandi del suo mostro2, dipinge la grandiosità di un tremendo inganno, tessuto fra le generazioni e teso a distorcere la condivisa concezione dell’esistenza: quel male solo possibile diviene, agli occhi dell’uomo, un elemento necessario. Il diabolico quindi, da massimo elemento di estraneità, inizia ad essere percepito come il drammatico tassello di un paesaggio contro cui è futile opporsi.
Sotto questo aspetto è possibile, secondo me, comprendere anche la dicotomia che King costruisce fra infanzia ed età adulta. Se da un lato i bambini sono ancora in grado di scandalizzarsi di fronte al male, dall’altro gli adulti, convinti della sua necessità, soffrono di una flemmatica rassegnazione, simile a quella che proverebbero di fronte ad un infausto evento naturale. Il loro complice immobilismo deriva dalla colpevole accettazione della malvagità come elemento originario del mondo, di fronte al quale si convive, ma contro cui non si combatte. Proprio sotto questa luce possiamo comprendere come la fanciullezza, lungi dall’essere banalizzata come purezza ingenua, viene presentata e ricercata come autentica capacità di scandalo e quindi, indirettamente, principio di perseguimento di un bene ora concepito come unico originario.
Ritengo personalmente che, senza sopravvalutare la profondità del testo, sia importante soffermarsi su questo concetto anche al di là dell’ambito ermeneutico del racconto. La domanda che tutti dobbiamo farci non è tanto cosa potremmo fare di più per rendere migliore il mondo, quanto in quale misura riusciamo ancora a indignarci per la semplice presenza del male.
È probabile che molti di noi si troverebbero a scorgere, nelle proprie reazioni ad esso, solo un’ira stanca, una rassegnazione già ripiegata sulla sofferenza interiore ed incapace di considerare quell’atto perverso come alieno al mondo stesso. Spesso anche noi finiamo per considerare mostri come Pennywise delle zone d’ombra di un tremendo dipinto, tanto necessarie quanto terribili, senza renderci conto che, proprio a causa dell’inazione che ne deriva, perdiamo di vista lo splendore dell’opera che la macchia deturpa. Difatti nel considerare necessario il male dimentichiamo la necessità del bene e quindi smettiamo non solo di sognarlo, ma anche di perseguirlo.
Riconoscimenti immagine: “Golden Silk Orb” di Ashish Saswadkar sotto licenza Creative commons.
1 Il primo risale al 1990 e venne realizzato per la televisione dal regista Tommy Lee Wallace; il secondo è invece costituito da due film per il cinema usciti rispettivamente nel 2017 e nel 2019 ad opera del regista Seth Grahame-Smith.
2 Una delle possibili, e forse più evidenti, chiavi di lettura della creatura It la vede come simbolo della paura. In quanto tale, il suo agire è caratterizzato dall’uso massiccio di illusioni ed inganni che, dietro ad una forza prorompente, mascherano una sostanziale debolezza. Non a caso King scelse il ragno, predatore schivo e poco incline alla lotta, per rappresentare il suo mostro.