La necessità dell’ombra

Nelle opere che parlano di super eroi, ma non solo, l’eroe e l’antagonista vivono e si definiscono vicendevolmente all’interno di un rapporto di contrarietà reciproca. Tanto più tale opposizione essenziale è netta ed evidente, tanto maggiore sarà la centralità del personaggio negativo nelle vicende dell’eroe. Quando invece tale contrarietà si focalizza su uno specifico elemento, l’antagonista si delineerà come una descrizione implicita dell’eroe stesso.

Questo è il caso del personaggio oggetto di questo articolo: Dru-Zod, comunemente noto come il “Generale Zod”, storico antagonista del più iconico fra i super eroi, cioè Superman. Zod possiede moltissime caratteristiche in comune con l’eroe, a partire dalle sue abilità fisiche fino ad arrivare alle problematiche legate alla sua natura di esule senza patria, ma si distanzia da lui per un elemento fondamentale: il suo rapporto con gli esseri umani. Mentre Superman vive le sue abilità come un servizio che la sua umanità compie grata verso il genere umano, Zod considera l’evidente inferiorità dell’uomo come una valida giustificazione per ignorarne necessità e diritti.

Ovviamente il rapporto fra i personaggi, che qui ho delineato brevemente, ha subito nei decenni moltissime riletture, ma tutte aderenti a questa massima di fondo: Zod è ciò che Superman poteva essere. Queste reinterpretazioni non sono motivate solo dallo scorrere delle generazioni, e dal conseguente mutamento delle impostazioni di fondo dei giovani lettori, ma anche dai differenti bisogni legati alle diverse età. Se infatti i comics nascono per i ragazzi, per i quali una lettura semplice e lineare è sufficiente, ben presto si sono trovati a doversi rapportare con la maturità di quegli stessi appassionati; questa ha richiesto non un cambiamento nel paradigma di fondo, ma un approfondimento del modo in cui un antagonista come Zod definisce la grandezza di un protagonista come Superman.

“Dalla terra, che ho percorso in lungo e in largo”1

Nel 2013 il regista Zack Snyder dirige “L’uomo d’acciaio”, una versione matura e non priva di zone d’ombra della storia delle origini di Superman. Gli sceneggiatori scelgono come antagonista proprio Zod, il quale si trova a dover sostenere l’arduo compito di fornire per antitesi al celebre kriptoniano un’anima all’altezza della profondità di lettura proposta.

Per costruire un buon antagonista è necessario che questi possieda delle valide motivazioni per le sue azioni; difatti, poiché tutti sono convinti di essere nel giusto, anche i malvagi, questo personaggio dovrà leggere la propria vicenda come una personale forma di eroismo. Sintetizzando, si potrebbe dire che se l’eroe è tale per i giusti, il malvagio è eroico per se stesso e per gli empi. Su questa linea il film compone la vicenda di Zod in modo magistrale: lui, un soldato fortemente patriottico, dopo aver cercato con la forza di salvare la sua patria dall’inettitudine dei suoi governanti, subisce una prigionia che lo salva dall’annichilimento del suo popolo. Ciò che solleva dalla disperazione questo patriota senza nazione è la possibilità di ridare al suo popolo un futuro, obiettivo per raggiungere il quale è disposto a tutto. Zod cercherà di ricostruire un mondo ospitale per i resti della sua gente strappandolo ad un’umanità che è più che disposto a sacrificare per questo fine; inutile aggiungere che solo il coraggio di Superman sventerà il suo piano.

A questo punto bisogna fugare un possibile errore: i due personaggi non si contrappongono per la preferenza di una o di un’altra fazione, ma per la natura della rispettiva finalità. Se Zod e Superman fossero avversari solo perché il primo patteggia per i kriptoniani ed il secondo per gli umani, avremmo due personaggi alla pari, con le stesse ragioni alle spalle, fra i quali sceglieremmo solo per affinità. Il punto invece è un altro: se da un lato Zod è mosso da un fine particolare, che egli ha elevato ad universale, ossia il bene della sua gente, Superman è spinto da un fine universale, ossia dalla Carità. Non solo questa virtù pervade tutta la sua esistenza, ma la centralità che essa ha per l’eroe è testimoniata dal fatto che egli mai odia o disprezza il suo retaggio; ciò ci permette di comprendere che Superman si pone al di fuori di una vaga lotta di partito, ponendo l’opposizione con Zod ad un livello più universale.

Una questione di fine

Ma che significa porre la Carità come fine? Nel Vangelo di Matteo Gesù dice: «Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me»2; il Signore vuole qui metterci in guardia dalla tendenza ad elevare beni particolari, per quanto sani e belli come la famiglia, a nostro fine totalizzante. Ora, se il fine ultimo è ciò verso cui si muove tutto il nostro essere, allora porre un particolare come fine ultimo implica porgli il peso di dare un senso alla nostra intera esistenza. Questo tuttavia è un onere che nessun bene particolare può reggere, per il semplice fatto che la finitezza dello stesso frustrerà, prima o poi, la nostra fame d’infinito. Questo è ciò che accade a Zod: avendo preso come fine un bene particolare, ossia la salvezza della sua gente, il Generale non solo riduce il mondo ad una frazione di esso ma, ritenendo tutto il resto privo di valore, si ritrova vuoto quando ne viene privato. Assumere come fine la Carità invece implica vivere ed agire assumendo la prospettiva dell’infinito, poiché Dio stesso è Amore; colui che pone l’amare come fondamento del suo intero essere si trova non a scegliere una parte, ma ad abbracciare l’esistenza nella sua interezza. Ciò non lo rende indifferente al particolare ma, come Superman, gli consente di porlo nella giusta misura e, soprattutto, sempre in relazione a ciò che lo circonda.

Il grido disperato di Zod alla fine del film, di fronte al vuoto che percepisce nella sua esistenza, è un’invocazione che spesso sentiamo nei nostri tempi, ossia quella di coloro che dopo aver circoscritto il mondo si accorgono non solo che non gli basta, ma di non saper dove altro cercare. L’eroismo cui Superman ci chiama è quello di una Carità che «tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta»3.


1 Cfr. Gb 1,7.

2 Cfr. Mt 10,37.

3 Cfr. 1Cor 13,7.

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fr. Giuseppe Filippini
Quando il Signore mi venne a cercare, la mia mente vagava confusa nei caldi spazi dell’inedia, talmente carica di nulla da non poter portare altro con sé. Il mio corpo invece si preparava ad un indefinito inverno nella città di Ancona, gioiello del medio Adriatico (si fa per dire). Nella patria del pesce e del “mosciolo”, per un leggiadro scherzo della Provvidenza, sono nato quasi trentadue anni fa con una sentita inimicizia fra me e qualunque carne marina. La chiamata del Signore mi vide studente in storia ed appassionato consumatore di storie: racconti di tutti i tipi e narrati da aedi di tutte le arti. Ora che lo Spirito mi ha indirizzato nella famiglia di San Domenico ho posto questo mio nulla nelle mani della Vergine Maria e del caro Castigliano e chiedo loro quotidianamente di mostrarmi in ogni storia, vera o immaginaria, la traccia del Divino che lì soggiace. Ora che sto a Bologna studio come studiando rendere omaggio a Dio. Per contattare l'autore: fr.giuseppe@osservatoredomenicano.it

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