La dignità del comico
Men in Black è un film del 1997 diretto da Barry Sonnenfeld e liberamente ispirato alla serie di fumetti The Men in Black. La pellicola vede protagonisti Will Smith e Tommy Lee Jones nei panni di due agenti di un’organizzazione segreta che, preso il primo contatto con gli extraterrestri nel 1961, permette da allora ai rifugiati alieni di vivere in segreto sulla Terra, mascherandosi da umani. I Men in Black (MIB) sono quindi impegnati a sorvegliare questi visitatori, proteggendo da loro la Terra e utilizzando dei neutralizzatori per cancellare la memoria di eventuali testimoni inopportuni, così da mantenere segreto il tutto alla popolazione1. Pur intersecando vari stili cinematografici, il film anzitutto è e rimane primariamente una commedia, e solo leggerlo in questa chiave ne può esaltare la dignità, e l’inusuale attinenza con il sito di uno studentato domenicano:
«Non c’è dubbio che il comico sia un grande dono di Dio e costituisca un fattore significativo, felicitante, nel corso della vita umana. Apprendere la comicità e ridere di essa è un tratto originariamente umano. S. Tommaso dice a ragione che il riso è specificamente umano»2.
È proprio questo il punto, saper scorgere e godere delle occasioni di ilarità può elevare lo spirito: non per niente quando siamo tristi diciamo di essere “abbattuti”, “giù di corda”…
La segretezza dell’altruismo: contro Matrix
Questo film colpisce per intuizioni che certo possono passare inosservate, ma che nondimeno anche in un’opera di mero intrattenimento riescono a stupire. Ad un certo punto, ad esempio, per sventare l’ennesima minaccia aliena, l’unica condizione posta da una razza extraterrestre che minaccia di polverizzare il pianeta è «consegnare una galassia»; ora, questo può certamente apparire come una follia irrealizzabile, tuttavia un singolare e secondario personaggio di questo film ci dà un suggerimento inaspettato: «[Frank il carlino:] Voi umani… quando imparerete che le dimensioni non contano? Solo perché una cosa è importante non è detto che non possa essere molto piccola!»3.
Ancora più pregnante appare il fatto che i Men in Black siano interamente dediti ad una causa discreta e giusta tesa a garantire la sicurezza, l’integrazione, la giustizia, la riservatezza e l’ordine sociale, anche a costo di sacrificare a questo tutta la propria vita e i propri affetti:
«[Agente Z:] Vestirai solamente con abiti approvati dai servizi speciali MIB, ti conformerai all’identità che ti daremo, mangerai dove ti sarà indicato, vivrai dove ti sarà indicato, d’ora in poi non avrai segni di identificazione di alcun genere, non attirerai mai l’attenzione, la tua immagine è plasmata in modo da non lasciare ricordi duraturi nelle persone che incontri. Sei qualcosa di vago, identificabile soltanto come un déjà vu, e cancellato altrettanto rapidamente. Tu non esisti, non sei mai nato, l’anonimato è il tuo nome, il silenzio la tua lingua madre. Tu non fai più parte del sistema, tu sei al di là del sistema, sei al di sopra di esso, sei oltre. Noi siamo quelli, siamo loro, siamo gli uomini in nero, Men in Black!»4.
Leggendo alcuni commenti “impegnati” a questo film ho notato due posizioni ugualmente estreme e parziali, che vorrei sfatare. La prima si fonda sulla segretezza di tutta questa vicenda, totalmente ignota agli occhi dei più, proponendo una lettura del mondo alla Matrix, dualistica e iniziatica, quasi che la verità sia cosa per pochi. La verità invece è cosa per tutti, ma secondo responsabilità diverse, perché in realtà proprio l’enorme sacrificio morale dei Men in Black ci dà istruzioni su quanto sia alto il prezzo da pagare per salvare sé e il prossimo e che proprio tale prezzo implica la rinuncia di sé fino all’anonimato. Perché questo? Non sarebbe opportuno che una questione così importante come l’esistenza degli alieni fosse di dominio pubblico? Anche in questo caso il film ci fornisce un’interessante ermeneutica del rapporto fra maturità individuale e sociale.
«[Agente K:] Allora ragazzo le cose stanno così, in media ci sono circa millecinquecento alieni sul pianeta la maggior parte dei quali a Manhattan. Gente abbastanza onesta che cerca di guadagnarsi da vivere.
[James:] Fanno i tassisti.
[Agente K:] Non tanti quanto diresti. Quasi tutti gli umani non ne hanno idea e non vogliono, né è necessario che lo sappiano; sono felici, convinti di stare al sicuro.
[James:] Perché tanti misteri? La gente è matura, lo accetterebbe…
[Agente K:] Una persona è matura. La gente è un animale ottuso, pauroso e pericoloso, lo sai anche tu. 1500 anni fa tutti sapevano che la terra era il centro dell’universo, cinquecento anni fa tutti sapevano che la terra era piatta, e 15 minuti fa tu sapevi che la gente era sola su questo pianeta… immagina cosa saprai domani…»5.
Il valore della leggerezza: contro chi si prende troppo sul serio
La seconda lettura che vorrei sfatare è quella clericale: la missione salvifica di questi uomini in nero, disposti alla rinuncia di sé fino ad una sorta di “celibato”, ha ricordato a qualcuno la costante battaglia contro le forze del male combattuta dai Catholic Men in Black, ossia i sacerdoti. Ora, le analogie mi sembrano troppo forzate, ma soprattutto appare quasi patetico il pensiero secondo cui per nobilitare un film bisogna clericalizzarlo… È vero, l’opera ha alcuni tratti grotteschi, ridicoli… e quindi? Il cattolico non è dialettico, ma analogico, scorgendo nella realtà non un pendolo tra due opposti estremi, ma una meravigliosa scala di perfezione che porta dritto al Creatore. Vi chiederete quale sia il posto del grottesco, del non-sense in tutto questo? Eccolo:
«Il non-sense in quanto tale è qualcosa di legittimo e positivo. È un arricchimento per colui che di tanto in tanto fa cose senza senso ed è in grado di ridere del non-sense di altri. È una ricchezza per la vita terrena che al mondo ci sia un non-sense di questo tipo. Il non-sense è un opposto specifico del prendersi-sul-serio, come pure di ogni burocraticismo e convenzionalismo. Vi è insito un tipo assai speciale di libertà. È di profondo significato che in passato nelle corti si tenesse un buffone»6.
Il non-sense non è ovviamente dignitoso in se stesso. Nessun elemento della Creazione lo è. Ma è in rapporto all’Alto che lo diventa. Il non-sense smaschera la nostra piccolezza, preso dal verso giusto è il lato ironico dell’umiltà, il sentiero inusuale verso l’unico vero Senso della realtà, e anche l’antidoto a quella falsa serietà che nasconde il ghigno della superbia. Una possibile via di santità? Chi lo sa, ma è certo che non sono stato il primo a ipotizzarlo:
«Una caratteristica dei grandi santi è il loro potere di leggerezza. Gli angeli possono volare perché portano se stessi leggermente. […] L’orgoglio non può sollevarsi alla leggerezza e alla levitazione. L’orgoglio è il trascinarsi di tutte le cose in una facile solennità. […] La serietà non è una virtù. Sarebbe un’eresia, ma un’eresia molto più giudiziosa, dire che la serietà è un vizio. C’è realmente una tendenza o decadenza naturale a prendersi sul serio perché è la cosa più facile a farsi. […] La solennità discende dagli uomini naturalmente; il riso è uno slancio. È facile essere pesanti, difficile essere leggeri. Satana è caduto per la forza di gravità»7.
1 Nella cultura popolare e nelle teorie cospiratorie sugli UFO, i Men in Black sarebbero uomini vestiti in abiti neri che affermano di essere agenti quasi governativi, i quali importunano, minacciano o assassinano testimoni UFO per farli tacere su ciò che hanno visto. Il termine è spesso usato anche per descrivere uomini misteriosi che lavorano per organizzazioni sconosciute, nonché vari rami del governo presumibilmente progettati per proteggere segreti o svolgere altre strane attività.
2 D. von Hildebrand, Estetica, a cura di V. Cicero, Bompiani, Milano 2006, p. 454. Dietrich von Hildebrand è stato un grande filosofo e teologo tedesco del Novecento, lodato e citato da ben tre pontefici, Pio XII, s. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, il primo dei quali lo definì “il Dottore della Chiesa del XX secolo”.
3 Citazione dal film.
4 Citazione dal film.
5 Citazione dal film.
6 D. von Hildebrand, Estetica, p. 460.
7 G.K. Chesterton, Ortodossia, Morcelliana, Brescia 1995, pp. 165-166.