Sono passati oltre millecinquecento anni da quando nell’occidente cristiano le prime torri campanarie fecero la loro comparsa affianco agli edifici di culto. È risaputo: passano i secoli e con essi anche talune consuetudini. Così negli ultimi decenni, progettando l’edificazione di alcune nuove chiese, si è deciso di rinunciare al suono delle campane: inutile retaggio di tempi lontani, finanche fastidioso e irrispettoso della “pluralità”. La nostra basilica, come tante altre, invece è molto fortunata: ha un campanile che funziona benissimo, costruito nel 1313 in stile gotico e alto più di cinquanta metri. La sua bronzea voce non cessa di scandire le ore e i tempi della preghiera, segnalare gli eventi lieti o tristi per tutta la comunità e per i suoi singoli membri, ricordando a tutti che formiamo una sola famiglia e ci raduniamo per manifestare la nostra unità in Cristo. Così le campane ci aiutano a sentirci “Chiesa”, consapevoli che il nostro riunirci non è un evento casuale, ma il risultato di una chiamata.
Il loro suono, se ascoltato attentamente, imprime nel nostro cuore e nella nostra mente la consapevolezza che Dio desidera stare con noi, che egli non è un Signore lontano, irraggiungibile nella sua beatitudine. Ogni volta che una campana suona ci viene allora mostrato il modo con cui Dio agisce in noi e per noi: ci chiama, ci viene a cercare ogni giorno e non si accontenta di proporci un obbiettivo (la beatitudine eterna), ma sostiene in ogni modo il nostro cammino e, molto di più, percorre la strada con noi. Egli, che nella sua misericordia viene incontro a tutti e si lascia trovare da quanti lo cercano non cessa di inviare i suoi discepoli perché il Vangelo sia predicato ad ogni creatura e si estenda in tutto il mondo la gioia del trionfo pasquale. Se saremo capaci di ricordare come ogni nostro passo nella strada della fede abbia il sapore della missione, sentire le campane, anche in lontananza, potrà infondere al nostro cammino, talora faticoso e vacillante, consolazione e rinnovato vigore.
Il loro suono non conosce le nostre fragilità, i nostri limiti, le barriere che non ci è possibile superare. Così anche in quei luoghi, quelle case, quei cuori dove il nostro agire e le nostre parole non riescono ad arrivare i rintocchi, santi ed ostinati, delle campane continuano a tenere viva la chiamata del Signore Gesù: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò» (Mt 11,28). Chissà che a qualcuno non venga in mente, magari dopo tanto tempo, magari per la prima volta, di accettare l’invito e aprirsi a lui con fiducia filiale nella grazia dello Spirito. Questo speriamo e, pronti ad accogliere, per questo preghiamo.