Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: «Stupido», dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: «Pazzo», sarà destinato al fuoco della Geènna.
(Mt 5,21-22)
Innanzitutto Gesù non si accontenta della legge – non uccidere – ma ci vuole portare al cuore della legge che è l’amore: faccio o non faccio qualcosa non perché me lo dice la legge ma perché amo.
Poi Gesù ci riporta alla radice delle cose: l’ira è il principio dell’omicidio perché l’ira porta al disprezzo dell’altro. Il vero omicidio avviene sempre prima dentro di me attraverso i sentimenti che coltivo nei confronti dell’altro.
Il vero primo omicidio è negare all’altro la mia fraternità! Perché l’altro è mio fratello e ucciderlo significa negare questa verità e dunque negare anche la relazione che io ho con lui.
E come si uccide? Innanzitutto mettendo all’altro una maschera, togliendogli la dignità di “persona”; l’altro diventa semplicemente un ostacolo da eliminare. Dunque io uccido l’altro perché lo disprezzo: e alla base del disprezzo sta il fatto che all’altro io metto una maschera sul volto di modo che non lo vedo più come “essere umano” ma vedo solo una maschera da eliminare.
Dunque uccido l’altro non perché sia realmente un nemico ma perché io non riesco più a vederlo per ciò che è veramente, ovvero un fratello.
Allora non si è giusti semplicemente perché non si uccide materialmente. Il comandamento ha un senso molto più ampio ed esige una domanda fondamentale: l’altro che cosa rappresenta per me? Come vedo l’altro? La questione, insomma, sta nel guarire il nostro cuore affinché possiamo vedere l’altro per ciò che è veramente: un fratello.