Uno dei nomi più legati alla Sacra Scrittura, sia riguardo all’Antico che al Nuovo Testamento, è quello di san Girolamo. Questo Padre della Chiesa1 nacque a Stridone, nella penisola balcanica, nel 347 d.C., e fu segretario del papa san Damaso I. Eccelse per la sua grande formazione umanistica e letteraria e la sua santità e austerità di vita. Compì frequenti viaggi in Oriente, conosceva molto bene le lingue più parlate del tempo e l’ebraico biblico. Per questo gli fu commissionata la nuova traduzione delle Scritture che iniziò nel 385, quando si ritirò a Betlemme2.
L’opera di san Girolamo di Stridone
Uno dei criteri fondamentali che Girolamo seguì nella sua opera di traduzione fu la fedeltà alla hebraica veritas, secondo l’espressione con cui lui stesso definiva il testo sacro originale ebraico. In questo senso non volle essere grande innovatore, ma grande fedele del senso originale del testo. Ciò è di gran importanza tenendo conto la confusione di manoscritti e le divergenze tra le varie versioni della Bibbia utilizzate al suo tempo. Ancor di più se teniamo presente che la dottrina dell’ispirazione da Dio è applicata al testo originale biblico e non alle traduzioni.
In base a questo criterio, dunque, Girolamo fece un lavoro di revisione e di traduzione: quanto al Nuovo Testamento fece una revisione dell’antica traduzione latina in uso, correggendo i passi dove il senso era stato alterato; quanto all’Antico Testamento tradusse dai codici usati nella sinagoga di Gerusalemme prima i libri protocanonici3 e poi vi aggiunse i cinque deuterocanonici così com’erano nell’edizione Itala.
Considerando le condizioni del tempo, compresa la maggior difficoltà nel viaggiare e nell’accedere alle biblioteche contenenti i testi originali, san Girolamo fece un lavoro encomiabile, unico, ineguagliabile,difficilmente superabile da un suo contemporaneo: «Tutti si accordano nel celebrare la versione di S. Girolamo come la migliore che abbia prodotto l’antichità. Per la sua vasta cultura filosofica, teologica e storica, la sua perizia nelle lingue orientali, la sua competenza negli studi scritturistici, i suoi viaggi nell’Oriente, e specialmente nella Palestina, e per la santità della sua vita, San Girolamo fu l’uomo provvidenziale per un’opera così grandiosa»4.
Questo grande elogio al lavoro di san Girolamo, però, non è incompatibile col segnalare i limiti propri della sua opera, cioè: l’affrettarsi nella traduzione di alcuni libri veterotestamentari per poca disponibilità di tempo, l’uso di espressioni talvolta oscure il cui senso è difficile da capire e lo scambio tra nomi comuni e nomi propri5.
L’apoteosi della Sacra Vulgata al Concilio di Trento
Ma ricordiamoci che da quando san Girolamo compì il suo magnifico lavoro fino all’invenzione della stampa ci sono ben undici secoli! E ciò significava che, come tutti gli altri testi, era soggetto alle corruzioni e mutamenti propri della copiatura a mano. Nella Chiesa si era ben consapevoli di questo problema e quindi, per tutti questi secoli fino allo sviluppo della stampa, non mancarono mai uomini di lettere che tentarono di riportare allo stato originale le versioni della Vulgata che erano in circolazione (Cassiodoro, Alcuino di York, Teodulfo di Orleans, Lanfranco di Canterbury, Stefano Harding, ecc.6). Con la nascita dell’Università medievale la Vulgata rimase ancora l’edizione di riferimento ed è la versione che pubblicamente veniva citata nelle lezioni e negli studi. Non dimentichiamoci che è anche la Bibbia che il nostro san Tommaso cita a memoria in tutti i suoi scritti, cioè la Biblia Vulgata Parisiensis, riedita dall’Università di Parigi.
Anche se imperfetta è comunque qualcosa di ineguagliabile il fatto che la Vulgata si è imposta come testo biblico di riferimento nella Chiesa latina per tantissimi secoli. Anche arrivati alle soglie dell’epoca della Riforma Luterana e del susseguente Concilio di Trento il primo testo che viene stampato nella nuova tipografia è la Vulgata, chiamata anche Bibbia di Gutenberg. Con ragione, visto l’attacco al canone e alla dottrina dell’interpretazione biblica fatta dall’eresiarca Martin Lutero, il discernimento che la Chiesa fa al Concilio di Trento tra le diverse versioni della Bibbia – dai primi secoli del cristianesimo fino a quel momento – è quello di ritenere la Vulgata di san Girolamo l’edizione più autentica e radicata nel popolo cristiano e che meglio ha resistito il trascorso dei secoli, passando a formar parte della tradizione liturgica, dogmatica, patristica e letteraria della Chiesa. In questo modo il decreto tridentino chiude e sancisce definitivamente il canone biblico7 (discusso recentemente dai protestanti), così come si è conservato nell’edizione della antica Vulgata.
La Vulgata, dunque, funge all’interno della Tradizione da suppositum (sostrato) donde attingere il canone completo delle Scritture. Da qui il Concilio di Trento elenca i libri da ritenere definitivamente ispirati e il criterio che usa è il canone che ci presenta l’edizione di san Girolamo: «Se qualcuno, poi, non accetterà come sacri e canonici questi libri, interi con tutte le loro parti, come si è soliti leggerli nella Chiesa cattolica e come si trovano nell’edizione antica della volgata latina e disprezzerà consapevolmente le predette tradizioni, sia anatema»8.
Da questo breve anatema possiamo capire che le colonne fondamentali che ci mostrano il grande valore della Vulgata sono antichità e continuità. Quando il decreto dice «come si è soliti leggerli… e come si trovano» ci fa capire che nel 1546 questa edizione aveva un uso vivo, ininterrotto; quando parla della “edizione antica della volgata latina” fa riferimento all’anzianità di quest’opera che san Girolamo iniziò a revisionare e tradurre nel 385, vale a dire più di mille anni prima! Ciò significa, al contrario di come si è soliti pensare oggi riguardo alle cose “antiche” o “vecchie”, che la Vulgata aveva dimostrato, come lo fa anche oggi, la sua capacità di resistere al trapasso del tempo e, allo stesso modo, ha visto perire e cadere nell’oblio altre edizioni dei Sacri Libri.
I motivi della “canonizzazione” della Vulgata
Riconosciuto il suo valore antico e vivo possiamo capire l’importanza di “canonizzare” la Vulgata al tempo dell’eresia protestante, in modo tale da renderla “centro di gravità permanente” in ambito biblico e teologico, resistendo così a tutti gli attacchi di Lutero circa la revisione del canone, l’ “espurgazione” dei libri deuterocanonici dai libri vetero e neotestamentari, e le nuove traduzioni fuorvianti.
Comunque sia, per avere maggior conferma, ricordiamo il passo del decreto che canonizza la Vulgata come edizione ufficiale di riferimento: «Lo stesso sacrosanto Sinodo, considerando, inoltre, che la Chiesa di Dio potrebbe ricavare non piccola utilità, se si sapesse quale, fra tutte le edizioni latine dei libri sacri, che sono in uso, debba essere ritenuta autentica, stabilisce e dichiara che questa stessa antica edizione volgata, approvata nella Chiesa dall’uso di tanti secoli, si debba ritenere come autentica nelle pubbliche letture, nelle dispute, nella predicazione e che nessuno osi o presuma respingerla con qualsiasi pretesto»9.
In definitiva il Concilio di Trento semplicemente accoglie e sigilla il valore che lungo i secoli, nonostante i suoi limiti critico-testuali e di traduzione, aveva acquisito l’edizione gerolamina. Anzi, il Concilio riconosce quello che c’è già, cioè quel valore della Vulgata testimoniato dall’uso di tanti secoli.
Addirittura, questo valore si può dire analogo al criterio usato nella demarcazione del canone, cioè al riconoscimento della provvidenzialità con cui i sacri testi furono sempre custoditi e letti nelle chiese cristiane in modo unanime e universale sin dalle origini e con continuità nel tempo. «Fin dall’inizio, i libri ispirati – scritti o meno (Mc e Lc) dagli apostoli – ricevettero l’approvazione apostolica, essendo la Chiesa, dal momento della sua fondazione, gerarchicamente organizzata e con una potestà di governo. Nel fare ciò la Chiesa fu guidata con infallibilità dallo Spirito Santo il quale, dopo aver ispirato gli apostoli affinché proclamassero autenticamente la Rivelazione, l’ha assistita lungo i secoli per conservare, custodire e proclamare il deposito della Rivelazione. Il rapporto fra Scrittura e Tradizione è dunque il nesso che dà fondamento al “criterio di canonicità” nella teologia cattolica e lo distingue dai diversi criteri che imperano nella teologia protestante»10.
Il decreto tridentino conferma questa canonicità dell’edizione Vulgata di fronte alle deviazioni e alla perdita di riferimenti autorevoli da parte dei protestanti. Si presenta perciò come traduzione conservata e diffusa in seno alla Chiesa sin dall’epoca dei Padri e infine come trasmissiva del deposito della fede e della Parola di Dio in modo autentico, senza falsificazione. Ciò non esclude altre eventuali traduzioni che, in certi passi biblici, portino maggior chiarezza riguardo al senso ebraico. Ma in una visione d’insieme e riguardo all’uso tramandato, la Vulgata non perde valore.
1 San Girolamo è uno dei quattro “Dottori Latini”, scrittori ecclesiastici dei primi secoli del cristianesimo, riconosciuti per l’eminenza della loro dottrina e santità, che furono il fondamento teologico sul quale si sviluppò il pensiero cristiano successivo. Gli altri tre sono sant’Ambrogio, sant’Agostino e san Gregorio Magno.
2 Cfr. Michelangelo Tábet, Introduzione generale alla Bibbia, p. 205.
3 I protocanonici sono i libri dell’Antico Testamento che godettero di maggior prestigio e consenso nelle comunità ebraiche e che fin da subito furono ritenuti ispirati.
4 P. Marco Sales, O.P., La Sacra Bibbia commentata, Torino, LICE, 1918, introduzione.
5 Un esempio è la traduzione in Genesi del “giardino dell’Eden”, che san Girolamo traduce per “giardino delle delizie”.
6 Cfr. Ibid.
7 Con. Trid., Decretum de canonicis Scripturis, sess. 4, 8 aprile 1546: «Si quis autem libros ipsos integros cum omnibus suis partibus, prout in Ecclesia catholica legi consueverunt, et in veteri Vulgata latina editione habentur, pro sacris et canonicis non susceperit, et traditiones prædictas sciens et prudens contempserit, anathema sit.»
8 Ibid.
9 Con. Trid., Decretum de editione et usu sacrorum librorum.
10 Michelangelo Tábet, Introduzione generale alla Bibbia, p. 130.