Un celebre scrittore francese, Georges Bernanos, propose di identificare il santo nell’«uomo in grado di far sgorgare dalle profondità del suo essere l’acqua di cui Cristo parlava alla samaritana: chi ne berrà non avrà più sete in eterno»1.

Numerose storie di uomini e donne, di ogni epoca e nazione, si possono sintetizzare in tale illuminante definizione.
La vita del santo o beato nella Chiesa cattolica ci trasmette la profondità del mistero di Cristo. Come la luce riflessa in un prisma, tanto l’inesauribile mistero divino traspare nell’ammirabile santità della vita. Se ne possono osservare i molteplici aspetti, le sfumature cromatiche, le rifrazioni luminose. Mai si arriverà ad una esauriente conoscenza del pubblico e del privato di quell’esistenza giunta a pienezza perché «nascosta con Cristo in Dio» (Col 3,3).

Per un frate domenicano è impossibile non indugiare, rimanendone affascinato, in quell’acqua offerta da Cristo alla samaritana. È aquam sapientiæ (Sir 15,3), è la divina eloquenza originante quella sete di eternità che giace nell’intimo di ogni creatura. Da essa si abbeverano i santi di ogni tempo, diventando a loro volta sorgenti di salvezza per l’umanità. Così San Domenico, nel silenzio e nei gemiti dell’incessante dialogo con il Padre, si faceva eco nel mondo del grido di Cristo: «Chi ha sete venga a me e beva!» (Gv 7,37), suscitando la nostalgia di eternità, gettando le reti per la pesca nel mare di una umanità assetata. Il beato Giordano di Sassonia rimase dolcemente impigliato in quelle reti. Un giorno lui stesso le avrebbe immerse.

Per chi non frequenta la storia dell’Ordine dei Predicatori – indotto da reminiscenze scolastiche – l’associazione tra il nome Giordano e i frati domenicani porta alla mente la controversa figura di Giordano Bruno. Eppure, tra quest’ultimo e il beato tedesco non sono solo i secoli a separarli ma la santità di vita.
Nei cinquant’anni di esistenza terrena, con l’instancabile itineranza della predicazione, Giordano di Sassonia ha presentato l’ideale domenicano come piena attuazione del Vangelo, generando molti alla fede e centinaia di vocazioni.
Nato intorno al 1185 in un piccolo borgo della Germania occidentale, già avviato alla vita ecclesiastica, ventenne si trasferì per studiare all’Università di Parigi dove, dopo poco, insegnò. Conobbe prima San Domenico e successivamente il beato Reginaldo di Orléans. Entrambi ne apprezzarono le doti umane e intellettuali, suscitando in lui, con il loro esempio di vita, il desiderio di farsi frate predicatore.

Come ebbe a ribadire al mondo contemporaneo il Concilio Vaticano II e spesso Benedetto XVI, specialmente nei due anni di catechesi sui santi, «la santità non è altro che la carità pienamente vissuta»2 da ognuno secondo i talenti donati da Dio3. Rifacendosi al pensiero aristotelico, per San Tommaso d’Aquino vi era tale equivalente adesione tra carità e amicizia da definire quest’ultima «quasi un elemento concomitante della beatitudine perfetta»4.
Eppure, risuona stridente l’accusa perennemente attuale ai cristiani e in particolar modo al clero di Charles Péguy, «poiché non sono dell’uomo, credono di essere di Dio. Poiché non amano nessuno, credono di amare Dio»5.
È smentito dalle amicizie sante e senza tempo di coloro che hanno amato gli amici. «Un amico fedele è un rifugio sicuro, chi lo trova, trova un tesoro» (Sir 6,14). Non è forse il tesoro nel campo, la perla preziosa, per cui vale vendere tutto? Non è forse il Signore riflesso nell’amore d’amicizia? Ci risponde Sant’Agostino, «ama l’amico di cuore sincero colui che ama Dio nell’amico: o perché Dio è nell’amico o perché Dio sia nell’amico»6.

Il beato Giordano visse stretti legami, amicizie esemplari, vere, forti, libere. Salde nonostante le distanze, durature seppur assenti mezzi di comunicazione immediata. Sappiamo di due amicizie che furono per Giordano quel «balsamo di vita» (Sir 6,16) di cui parlano le Sacre Scritture.
Giunto a Parigi nel 1209, alloggiò in una pensione con uno studente olandese, Enrico di Maestricht. Condividendo l’impegno universitario e crescendo nella conoscenza, si creò una soave unità di cuori. Grande l’ammirazione per l’amico che «conduceva una vita angelica»7.
Una dolce amicizia fondata sul comune abbeverarsi alla fonte della Parola di Dio e del suo amore. Nel momento in cui la grazia convinse Giordano ad entrare nel giovane Ordine dei Predicatori, si promise di compiere questo passo insieme all’amico della sua anima, Enrico.
Vincendo le iniziali resistenze per il timore di non perseverare nelle austerità della vita in religione, Enrico accolse finalmente l’invito di Giordano. Entrambi convinsero anche un altro studente universitario, Leone; è riprova della diffusività e inclusività propria alle amicizie autentiche.

L’11 febbraio 1220, il giorno delle Ceneri, ricevettero l’abito domenicano nella chiesa parigina di San Giacomo. Bruciante di zelo apostolico, fra Enrico divenne primo priore del convento di Colonia. Il Signore lo chiamò presto a sé nell’ottobre del 1229. Si spense santamente come santamente aveva vissuto, assistito dall’amico fedele. Scrivendo ad una monaca a pochi giorni dalla dipartita di fra Enrico, Giordano confidò: «Quanti lamenti, quante lacrime versate in quel momento in cui non solo un padre così buono abbandonava dei figli tanto amati, ma i figli perdevano il padre. Io, padre di poco valore, ho perso un figlio tanto necessario; lo avevo generato senza dolore, ma non senza dolore l’ho perduto. Non è morto, si è addormentato nel Signore. Questo pensiero mi consola più di quanto non mi senta desolato per la sua perdita»8. In altra lettera, così pregava l’amico perduto, «O fratello mio Gionata, eri così caro. Correndo con ardore e velocità sei giunto in anticipo al grande premio, a ricevere la corona incorruttibile, non nella tarda vecchiaia ma nella fiorente gioventù. Ti lodo dopo la morte, ti elogio ora che tutto è compiuto»9.

Un secondo zampillo d’acqua emergente dalla profondità d’animo di Giordano potette goderlo la beata Diana degli Andalò. Fu per il beato tedesco una grande consolazione.
Anch’essa figlia spirituale di San Domenico, persuasa nell’anima alla consacrazione religiosa dall’incisiva predicazione del beato Reginaldo, dopo non poche tribolazioni fu monaca del monastero bolognese di Sant’Agnese. Ebbe un fitto rapporto epistolare con il beato Giordano: cinquantacinque lettere, conservate dall’Ordine come un prezioso patrimonio di umanità, testimonianza verace della limpidezza e soavità sgorganti dal cuore del Padre comune, San Domenico, di cui Giordano ne declinò splendidamente una spiritualità equilibrata e concreta ancora oggi accessibile a molti.
Infatti, nell’epistolario – di cui sono rimaste soltanto le lettere del beato – si percepisce chiaramente la ricchezza dell’interiorità di Giordano espressa in esortazioni, confidenze, incoraggiamenti, suggerimenti pratici per la vita spirituale e conventuale.

Indaffarato a girare l’Europa per visitare i nuovi conventi e i frati, Giordano vive il profondo distacco dall’affetto più caro. «Carissima, mi sono deciso a scriverti, anche solo brevemente, per rinfrancare un po’ il tuo cuore. Sei tanto entrata nelle fibre più intime del cuore che non posso dimenticarti, anzi. Tanto più spesso ti ricordo perché ho capito che mi ami sinceramente con tutte le forze del tuo cuore. Se è vero che il tuo amore per me provoca più ardentemente il mio verso di te, tocca anche con più forza l’anima mia»10.
Emerge in modo cristallino la comunione profonda del beato con Diana, immersi insieme nell’infinito amore di Cristo in cui si promettono di vivere uniti in cielo, «quello che ti manca per la mia assenza cercalo nel tuo migliore amico: Gesù. Tu puoi vedere Lui più spesso di me, in spirito e verità. Gesù può parlare alla tua anima più efficacemente di Giordano: Lui è la forza che ci unisce. Nell’unione con Lui, il mio spirito forma una sola cosa con il tuo; unita a Lui, tu stai in ogni tempo e su tutte le mie strade, davanti all’anima mia, finché nella vita eterna ci vedremo senza fine»11.

Il 13 febbraio 1237, di ritorno dalla Terra Santa, nei pressi delle coste palestinesi, Giordano affoga in un naufragio con altri due confratelli. Per tutta la vita si inabissò nelle profondità della divina sapienza facendovi sgorgare quell’acqua capace di dissetare d’eterno. Con le armi della grazia, combatté difendendo i suoi frati dalle insidie dell’abisso oscuro abitato dal nemico dell’uomo. Nel buio della sua notte pasquale, sprofondava nello stesso mare da cui, con la predicazione, aveva tratto tante anime alla salvezza. Poiché le «grandi acque non possono spegnere l’amore, né i fiumi travolgerlo» (Ct 8,7), nelle tenebre i sopravvissuti sconvolti videro brillare nel cielo delle croci luminose.
Nel suo lungo cammino di predicatore, Giordano riconobbe la samaritana in migliaia di volti. Senza dubbio, nell’ultimo istante, si abbandonò fiducioso alla morte. La sua vita, offerta tutta per Dio, era l’ultima goccia mancante a quell’acqua di cui chi ne beve non avrà più sete in eterno.


1 G. Bernanos, Discorso alle Piccole suore di Charles de Foucauld, Algeri 1946.

2 Benedetto XVI, Udienza generale, 13 aprile 2011.

3 Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Lumen gentium, 41.

4 San Tommaso D’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q.23, a.1.

5 Citato in R. Cantalamessa, Verginità, edizioni Ancora, Milano 1993, p. 46.

6 Sant’Agostino, Discorsi 336,2.

7 A. Amato, Il fascino della verità. Beato Giordano di Sassonia, edizioni Luigi Parma, Bologna, 1991, p. 15-19.

8 Giordano di Sassonia, Lettera 29 in P. Vanzan, Santità e amicizia, edizioni ESD, Bologna, 1993, p. 107.

9 Ivi, p. 109-110.

10 Ivi, Lettera 22, p. 91.

11 Ivi, Lettera 24, p. 93.

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Fr. Claudio Benvenuti
Sono fra Claudio Benvenuti, veneto per nascita ma di famiglia toscana e campana, sono venuto al mondo nella piccola Mestre nel febbraio del 1994. Diplomato all'Istituto d'Arte di Venezia, dopo qualche anno nel Seminario Patriarcale, ho incontrato il carisma domenicano e me ne sono innamorato. Professo semplice dal febbraio 2019, proseguo entusiasta lo studio della Teologia.

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