Caro lettore,
ti scrivo questa lettera a metà Quaresima che la Chiesa ogni anno ci fa vivere. Innanzitutto quando si parla della “Quaresima” non si sta parlando di una serie di obblighi formali da seguire per raggiungere chissà quale perfezione o per assolvere qualche precetto dettato da una qualche istituzione moralistica; si sta parlando piuttosto di un cammino, un cammino dello spirito per prepararci alla Pasqua, ovvero a quel “passaggio” capitale della nostra vita che ci permette di vivere di quell’Amore che è Dio stesso, l’unico vero amore capace di dare senso pieno a tutta la nostra esistenza e dunque anche alla nostra sofferenza.
Quanta fede o quale fede hai?
La fede non è questione di quantità (quante volte devo pregare, quante volte devo andare in chiesa, ecc…). La fede, quella autentica, è questione di qualità, ovvero il desiderio di vivere non schiacciato e rassegnato alla felicità effimera e insoddisfacente di questo mondo, ma di vivere “ad alta quota”, facendomi portare dalla mano di Dio, facendomi guidare da quell’Amore che mi salva e che addirittura mi fa amare la mia debolezza.
Sì, perché solo una debolezza amata non è più una debolezza ferita ma riconciliata. Dunque non si tratta di un cammino per arrivare a “fare qualcosa” ma si tratta di un camminare per arrivare ad una certa passività nei confronti di Dio. Cosa intendo per passività? Il primo passo dell’amore: accorgersi che si è continuamente amati e incondizionatamente.
L’amore bussa agl’occhi
L’obiettivo, dunque, è lasciarsi amare come Dio ci vuole amare perché Lui veramente sa come si fa ad amare la nostra fragilità; e noi, allo stesso modo, siamo chiamati ad amare la nostra fragilità e quella degli altri. Infatti per comprendere cosa significa amare è necessario prima lasciarsi amare. Ma in fondo “amare” – questa parola tanto inflazionata nel mondo di oggi – che cosa significa veramente? Non significa altro che avere uno sguardo sempre nuovo nei confronti di tutto; essere interiormente illuminati da una luce che non è di questo mondo ma di un altro mondo.
Innanzitutto l’amore passa dallo sguardo. Chi ti ama lo fa perché prima di tutto sei entrato nel suo sguardo, perché riesce a cogliere la tua bellezza. Poi nello sguardo di chi ti ama tu sei unico; non c’è un’altra con la tua stessa identità nella storia.
Dio ti ha voluto nella storia del mondo perché il mondo, senza di te, non sarebbe stato lo stesso; e Lui questo lo ha creduto fino al punto di farti esistere.
Certo, ci saranno e ci saranno state tante altre persone con il tuo stesso nome, ma per quanto riguarda la tua identità personale, il tuo nome è unico ed irripetibile nella storia del mondo. Dio ha scelto per te questo nome affinché tu lo possa realizzare secondo la tua personale identità, affinché tu lo possa realizzare nella singolarità dei tuoi tratti unici ed irripetibili: nei tuoi sorrisi, nei tuoi sguardi, nel tuo modo di parlare, nel tuo modo d’essere…
Dunque potremmo dire che la vera arte dell’ascetismo cristiano non sta nel “fare qualcosa” di speciale, ma nella consapevolezza di essere già speciali per il semplice fatto di esistere; e se esistiamo è perché Qualcuno ci ha pensati, voluti e amati. Dio ti ha voluto nella storia del mondo perché il mondo, senza di te, non sarebbe stato lo stesso; e Lui questo lo ha creduto fino al punto di farti esistere.
Come appartenere a Cristo
Dio non ti pensa e non ti ama in modo astratto, ma concreto: infatti ama ogni tuo sorriso, ogni tua lacrima, ti ama in qualsiasi condizione tu sia, ama tutto ciò che è tuo. Per questo san Paolo dice: “Voi siete di Cristo…” (1Cor 3, 23).
A noi spetta solo una cosa: deciderci per questo amore; e allora risulteremo davvero affascinanti agli occhi di questo mondo perché rifletteremo una luce che non gli appartiene. Ebbene, qual è la conseguenza di questo cammino d’amore? La gioia! Il periodo liturgico della Quaresima ci fa riscoprire il sapore della vera gioia. Non quella gioia superficiale e passeggera, che trova il suo posto tra i tanti frastuoni della nostra vita e così fragile da sbriciolarsi al primo vento di tristezza che ci tocca, ma una gioia profonda, che nasce ed è destinata ad abitare nel profondo del nostro essere, per sempre.
Questa è la gioia di Cristo che la Chiesa ci fa sperimentare attraverso la liturgia: quella gioia talmente profonda che niente e nessuno può arrivare a toccare e a toglierci. La gioia che Cristo ci dona è quell’irriducibile ed inesprimibile fiducia nei confronti di Qualcuno che diventa la nostra pace più intima, quella bellezza tutta interiore a cui non possiamo più rinunciare e che ci riempie gli occhi di meraviglia.
Tu sei stata voluto dall’eternità da Dio, come dono gratuito d’amore, per essere felice, per portare dentro di te questa gioia e diffonderla ad un mondo confuso, gettato nello sconforto e che spesso si priva con le proprie mani di quella luce di cui in fondo non può fare a meno.
Scoprire l’amore di Dio è scoprire la nostra gioia!
fr Filippo