Un’abc, cioè un alfabeto… spontaneamente ci viene in mente qualcosa di banale. Se si vuole imparare una lingua, è scontato che si debba sapere l’alfabeto: è la base! E invece no. Banale non è basilare. La banalità sta in superficie, mentre la base sta in profondità. Anzi, un alfabeto è la profondità stessa della parola. Quando ci insegnano una lingua, la prima nozione sono le sue lettere, perché grazie ad esse possiamo pronunciare qualcosa o quantomeno distinguere dei suoni. In effetti, dovremmo dire che l’abc è proprio quel fattore che salva dalla banalità: una lingua di cui non si capisce nulla, non è molto diversa da un rumore.
In un certo senso anche la Fede è un linguaggio, ciò per cui Dio e l’uomo si intendono, il fondamento di un dialogo. Ma qual è l’alfabeto della fede? Cos’è che ci permette di comporne le frasi e le parole? In questo libretto Biffi risponde brillantemente. Non per rovinare la sorpresa, ma per lui l’alfabeto della fede non sono le buone opere, i buoni propositi, le nostre convinzioni o le nostre conoscenze. L’abc della Fede è una Persona: Cristo, alfa e omega, Principio e Fine di ogni cosa. In una sola parola? Il senso di tutto. È Lui che impedisce all’intera storia di ridursi a quel “racconto / narrato da un idiota, pieno rumore e rabbia, /che non significa nulla” [Shakespeare, Macbeth atto V, scena V]. È una questione di senso. Una vita con o senza Cristo non è uguale. Anzi, potremmo dire che la vita, per Biffi, diviene banale se privata di Cristo.
Conciò, bisogna evitare di cadere in un altro tipo di banalizzazione: nel leggere questo libro, si rischia di guardarlo solo come un breviario di argomenti utili da piccolo apologeta itinerante. Difendere Cristo è qualcosa che esalta, ma c’è l’insidioso pericolo di parere dei piazzisti. Il metodo del cardinale Giacomo Biffi è totalmente diverso. Questa è la sua ‘apologetica’: lui non difende la Fede, ma si lascia difendere dalla Fede. In ogni pagina c’è la sua esperienza, la sua scelta: nel momento in cui propone l’esempio della casa in fiamme (p. 10) – dove da un lato vi sono le scale consumate dal fuoco e dall’altro i pompieri nascosti da una fitta coltre di fumo – descrive il suo ‘salto nel vuoto’.
Quando racconta dei tre crocifissi e afferma: “Siamo liberi di fronte all’atto di fede. Non siamo liberi di schiodarci dalla croce di un’esistenza che non è mai senza pena” (p. 13) racconta la sua esperienza del dolore, un vissuto che scaturisce in qualcosa di straordinario: “Allora il nostro Venerdì Santo sfocerà nella Pasqua di gioia e di gloria” (Ibidem). È a questo modo di annunciare che ci richiama il cardinale Biffi: se, nell’atto in cui predichiamo Cristo, pensiamo di salvare la Fede, smentiamo la Fede. Noi crediamo per essere salvati, è questo che rende affascinante il nostro annunzio.