Condividi

L’esperienza del tempio non è oggi per niente ovvia né scontata! Si entra nei templi e nelle chiese per visite turistiche, per motivi culturali ed artistici, per curiosità, per abitudine…

Le ragioni possono essere le più disparate, finendo così, per un motivo o per l’altro, di smarrirne il contesto, l’habitat naturale, il background, il fine, il motivo, la ragione, il senso!

Per una ricomprensione del nostro entrare ed uscire dal tempio in un’ottica cristiana, ossia per avvicinarci ad esso in una modalità sensata, nonché per coltivare uno sguardo capace di cogliere ciò che significa trovarsi davanti alla sua realtà fisica e monumentale, occorre mettere a fuoco due aspetti importanti che lo connotano: da una parte la sacralità del luogo, dall’altra la santità della presenza di Colui che si trova in esso e che lo istituisce nel suo carattere sacro.

Anche l’etimologia della parola tempio può esserci di aiuto: dal latino templum, la radice è affine al greco τέμενος, «recinto sacro», da τέμνω «tagliare». Un tempio è pertanto fatto di mura che hanno la funzione di distinguere ciò che vi è dentro rispetto a ciò che vi è fuori, custodendo una differenza, una diversità. In tal modo il tempio esiste per essere segno di una realtà Altra, che sfugge alle nostre consuete possibilità di presa e dominio. Si entra nel tempio perché si cerca qualcosa che l’esterno non può darci, esso è un luogo privilegiato in cui si può percepire la presenza dell’Altissimo.

San Paolo ricorda ai cristiani di Corinto che vi è un legame tra l’edificio sacro ed il loro stesso corpo: «O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo» (1 Cor 6,19). Tale legame risulta fondamentale per giungere ad una vera comprensione cristiana del tempio e del corpo. Secondo san Paolo, i cristiani devono riconoscere, in forza del loro battesimo, di avere un corpo che nella sua visibilità e concretezza rimanda alla funzione tipica del tempio, ossia ospitare al suo interno la presenza stessa di Dio.

Il corpo esteriore è come le mura del tempio, mura che, da una parte, fanno da confine e separano nel mentre che uniscono e mettono in contatto, dall’altra, sono ciò che innanzitutto si vede e connota il primo incontro con la presenza di Colui che lì vi abita. La superficie visibile del corpo è ben poca cosa rispetto a ciò che si trova al suo interno, ma al pari delle mura di un tempio è più che adatta per permettere una percezione e comprensione della sua realtà interiore.

Nelle Litanie Lauretane, Maria stessa viene chiamata Tempio dello Spirito Santo. L’originale latino è Vas spirituale, vaso spirituale. Maria è allora vaso, è colei che tiene, che ha in sé qualcosa di spirituale e preziosissimo, essa è dimora, abitazione, tempio dello Spirito Santo. Si vuole asserire così che di fronte a Maria è possibile riconoscere la santità di Colui che la abita spiritualmente e corporalmente nel Figlio incarnato, una presenza che a sua volta santifica la figlia di Sion e la rende tempio di Dio.

Non si va a Maria se non perché mossi dalla ricerca di un Altro, di Dio. Non si prega Maria se non per essere introdotti da lei alla presenza della Santissima Trinità. E Maria è la via più veloce per essere guidati subito alla presenza di Dio, perché ella porta direttamente a Gesù, al Figlio di Dio inviato dal Padre fattosi uomo per la forza dello Spirito Santo.

Guardare Maria, il suo volto immacolato, rivolgersi a lei con la preghiera, significa disporsi a ricevere lo Spirito Santo, che proprio sulle “mura” del suo corpo ridonda ed attende di comunicarsi, conducendo lo sguardo sull’Invisibile, sull’Inaudito, sull’Altissimo, sull’Onnipotente che la abita. Vi è una sacralità delle mura che è il corpo di Maria e vi è una santità della presenza di Dio in lei che lo Spirito Santo porta a riconoscere, per renderne partecipi.

Alla luce di queste considerazioni, possiamo dire che il passaggio tempio-mura-corpo è significativo per giungere ad una adeguata comprensione del tempio, del nostro modo di vederlo, di entrarvi e di uscirvi in un’ottica cristiana, che necessita di essere rinvigorita soprattutto in forza di una rinnovata messa a fuoco del sacro. L’usura del tempo e dell’abitudine, nonché l’addomesticamento dei luoghi e delle realtà dedicate a Dio, possono e devono essere affrontati con vigore dal cristianesimo, perché esso conosce il legame tempio-mura-corpo in tutti i “settori centrali” della sua fede: dal corpo di Cristo agli edifici dedicati al culto, dalle reliquie dei santi alla materia che connota i sacramenti, dalla Chiesa corpo mistico di Cristo all’Eucarestia, dalla Sacra Scrittura alle azioni liturgiche, dai consigli evangelici agli atti di carità…

L’attenzione per le mura e per la superficie visibile del corpo svolge un ruolo significativo: lo spazio che fa da confine, separando e mettendo in contatto, è una mediazione che necessita una cura particolare. Pretendere di poter bypassare il confine sacro per “mettere le mani addosso” ed arrivare dritti all’interiore, all’invisibile, all’inaudito, allo spirituale, allo Spirito, al Santo, all’Onnipotente, significa necessariamente fallire!

Solo chi riconosce i propri limiti di presa di fronte all’alterità oggettiva ed inafferrabile del divino, si dispone ad entrare in relazione con esso ed a ricevere quello che l’Altro può liberamente offrire e donare di sé. E qual è il modo migliore per relazionarsi stando nei propri limiti, se non quello di fare attenzione e sostare sulle “superfici” in cui Lui stesso si lascia “contenere”, mettendosi in gioco nella storia?

Non perderti nessun articolo!

Per restare sempre aggiornato sui nostri articoli, iscriviti alla nostra newsletter (la cadenza è bisettimanale).

Nato a Valenza in provincia di Alessandria nel 1982, ha compiuto gli studi teologici presso la Facoltà Teologica di Milano. Entrato nell’Ordine dei Predicatori, è professo semplice dal 2021. Impegnato nel solco della dialettica tra Tradizione e contemporaneità che la Chiesa sta vivendo, tutt’ora attende agli studi per il Dottorato presso la Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna.