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«È proprio un uomo di gran cuore!»: quando si dice così di una persona, si formula al suo indirizzo davvero un bel complimento.

Avere a cuore, stare a cuore, prendersi a cuore, comunicare cuore a cuore, ringraziamenti di tutto cuore: espressioni che talvolta affiorano sulle nostre labbra, accomunate dal rimando a qualcosa di profondo, intimo, prezioso, nobile.

Questa settimana, il venerdì che segue la seconda domenica dopo Pentecoste o, come si diceva un tempo, il venerdì che segue l’ottava del Corpus Domini, celebriamo la solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù.

A cosa ci riferiamo quando parliamo di Sacro Cuore di Gesù?

Ci riferiamo al mistero d’amore manifestato in Cristo Signore: lui, vero uomo e vero Dio, è segno visibile ed efficace dell’amore del Padre. Lui, in quanto Dio, è amore.

Basta scorrere le litanie del Sacro Cuore per rendersi conto della straordinaria ed ineguagliabile ricchezza della persona di Gesù: il Suo cuore è abisso di ogni virtù, ripieno di ogni tesoro di sapienza e scienza, fornace ardente di carità, pace e riconciliazione nostra.

Certo, in quanto vero uomo, Gesù aveva un vero cuore di carne, un cuore pulsante che non fu risparmiato nel sacrificio della Sua passione. In quel cuore circola il sangue prezioso del Redentore: una sua sola stilla basterebbe a salvare l’universo intero!

Ma al Cuore di Gesù ci riferiamo, senza pretendere di esaurirne il mistero, per indicare il nocciolo più profondo della sua identità e del suo rapporto di misericordia nei confronti dell’umanità bisognosa di redenzione.

Ci vengono in aiuto i brani del Vangelo previsti per i tre cicli liturgici per questa solennità: nell’anno A (che è il ciclo corrente nel 2023) ecco che l’evangelista Matteo ci presenta Gesù “mite e umile di cuore”; Gesù stesso invita a ricorrere a lui nei nostri affanni, perché, riposando sul suo cuore, come Giovanni nell’Ultima Cena, possiamo avere pace duratura, godendo dell’infinita benevolenza di Dio nei nostri confronti.

Nell’anno B invece, l’evangelista Giovanni ci presenta Gesù col costato trafitto da cui sgorgano sangue e acqua, simbolo dei sacramenti di salvezza della Chiesa: nel suo immenso amore per l’umanità, Cristo dona se stesso per noi peccatori e, immeritatamente, ci innalza addirittura oltre gli antichi splendori delle origini del genere umano.

Nell’anno C infine, san Luca ci offre uno scorcio singolare sul Cuore di Gesù: ci presenta Gesù Buon Pastore all’opera e si chiede: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova?» (Lc 15,4) A ben vedere, la risposta più logica sarebbe un sonoro «Nessuno!»; nessun pastore lascerebbe incustodite e per di più nel deserto senza cibo e in preda alle fiere il 99% del gregge! Non s’è mai sentito di un pastore disposto a rischiare una tale ingentissima perdita!

Qui si vede proprio la straordinaria grandezza del cuore di Gesù: egli si dona per noi senza misura, egli svuota se stesso per salvarci, infatti: «Egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome» (Fil 2, 6-9).

Lui è il pastore disposto a compiere follie d’amore per ciascuna delle sue cento pecore; ma, e qui sgorga un potente inno di benedizione dal nostro cuore infermo e meschino, la grandezza del nostro Dio (che è la Santissima Trinità, in se stessa comunione inscindibile e ineffabile d’amore) si palesa in maniera ancor più lampante nei confronti dei più poveri. Nella sua vita terrena, Gesù non si stancò di chiamare a sé con amore i peccatori; ancor oggi Gesù non si stanca di compiere la profezia: «Quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me» (Gv 12,32). Il suo cuore limpido palpita d’amore per ognuno di noi: egli segue con amore il nostro cammino. Se cadiamo, non rimaniamo a terra, perché lui, il Misericordioso, ci tiene per mano (cfr. Sal 37). Se torniamo col cuore contrito a Dio, Egli non ci respingerà: «Un cuore affranto e umiliato tu, o Dio, non disprezzi» (Sal 50, 19).

C’è più festa in cielo – dice Gesù stesso a chiusa e commento della parabola della pecorella smarrita – per un solo peccatore che si converte che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione. I novantanove giusti sono tali perché si sono già convertiti: per ciascuno di loro ha tripudiato il Cielo.

Questa splendida festa del Sacro Cuore di Gesù, donata alla Chiesa intera anche grazie all’opera di san Giovanni Eudes, alle rivelazioni private offerte dal Signore alla santa monaca visitandina Margherita Maria Alacoque (1647-1690) e allo zelo del suo padre spirituale il gesuita san Claudio de la Colombière, ci rammenta la necessità di lasciarci toccare dalla mano sanante del nostro Dio, che manifesta la sua onnipotenza soprattutto nella misericordia e nel perdono1.

Convertiamoci dunque! Corrispondiamo, cuore a cuore, all’invito d’amore di Gesù. Imitiamo l’apostolo san Giovanni, il discepolo prediletto, che nell’ultima suprema notte di Cristo in terra, si adagiò confidenzialmente sul suo cuore colmo d’amore, riposò in sinu Iesu.

A proposito, consultando il testo originale greco, l’adagiarsi di Giovanni giovane apostolo in sinu Iesu, sul cuore di Gesù, ricalca esattamente quello che nel prologo del medesimo vangelo si afferma del Logos (il Verbo, Gesù Cristo) così descritto nel suo rapporto col Padre: «Che è nel seno del Padre, rivolto verso il seno del Padre»2.

Accostiamoci con fiducia al Cuore di Gesù per essere introdotti ancor più pienamente nell’eterna comunione della Santa Trinità.

Cuore Sacratissimo di Gesù, trafitto per i nostri peccati, nostra riconciliazione, nostra pace e risurrezione: abbi pietà di noi!

Gesù, mite e umile di cuore, rendi il cuore nostro simile al Tuo!

 

1 Cfr. Colletta della XXVI Domenica del Tempo Ordinario.

2 Cfr. Vangeli e Atti degli Apostoli interlineare, a cura di Poggi F. e Zappella M., ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 2014, p. 758.

 

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Nato tra le maestose giogaie trentine nel maggio 1996, cresciuto tra i boschi e campi di un grazioso paesino dell’alta Valsugana (sì, quella della canzone degli alpini…), dopo la maturità scientifica, indeciso se entrare in seminario diocesano, si orienta infine alla vita claustrale delle bianche lane. Ha emesso professione semplice nel settembre 2019 e attende ai filosofici studi.