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Entrò di nuovo a Cafarnao, dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la Parola. Si recarono da lui portando un paralitico, sorretto da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Figlio, ti sono perdonati i peccati». Erano seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro: «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?». E subito Gesù, conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate queste cose nel vostro cuore? Che cosa è più facile: dire al paralitico “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire “Alzati, prendi la tua barella e cammina”? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te – disse al paralitico –: alzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua». Quello si alzò e subito presa la sua barella, sotto gli occhi di tutti se ne andò, e tutti si meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!».
(Mc 2,1-12)

Le due facce del male

Chiunque abbia familiarità con le Sacre Scritture, specialmente con l’Antico Testamento, sa bene che nella concezione popolare ebraica, all’epoca di Gesù, si compiva un’indebita e diretta associazione fra male spirituale e male fisico, fra peccato e sofferenza corporale1. Dico indebita perché già la letteratura profetica2 e sapienziale3 avevano, ormai da secoli, messo in discussione un simile pensiero, pur senza riuscire a sradicarlo dal marasma delle credenze popolari. Questa concezione è riassumibile così: il male spirituale, ossia il peccato, viene pensato non come causa remota bensì come causa prossima del male fisico, ossia della malattia e di ogni altra forma di sofferenza mondana. Questo pensiero, pur persistente nel cuore di molte persone, è stato al giorno d’oggi in buona parte superato, grazie al paziente e costante lavoro educativo dei nostri pastori.

Tuttavia la contemporaneità, proprio a causa dell’edonismo culturale che infetta anche il cuore dei cristiani, ha prodotto un altro tipo di errore, opposto nei termini ma simile nella sostanza: la sofferenza fisica è causa di ogni sofferenza spirituale. Questa concezione porta a due conseguenze: da una parte il raggiungimento del benessere del corpo viene percepito come unica via per raggiungere la pace dello spirito; dall’altra il valore morale del male spirituale viene ridotto, se non annullato, proprio perché direttamente dipendente da una sofferenza fisica incolpevole. Vediamo quindi che queste due erronee concezioni del rapporto fra male fisico e male spirituale si fondano sul ricercare nell’una la causa prossima dell’altra.

Il gioioso sofferente

Gesù, in questo brano, risolve entrambi gli errori. Perdonando i peccati del paralitico non solo prima, ma indipendentemente dalla sua guarigione fisica, Egli da un lato prova che il male fisico, nel caso specifico la paralisi, non dipende direttamente da quello morale (altrimenti l’uomo sarebbe guarito conseguentemente al perdono ricevuto); dall’altro dice, a noi contemporanei, che la guarigione spirituale non è conseguenza di quella fisica, tanto che il paralitico, nel suo silenzio, sembra soddisfatto anche solo della remissione delle colpe ricevuta.

Ma se il Signore, con il suo agire, mette in evidenza il fatto che il male fisico, in quanto solo remotamente legato al peccato, può coesistere in questo mondo con la santità, allo stesso tempo pone il lenimento di tale sofferenza corporale sotto la giusta luce. Rifuggendo i due diversi ed opposti atteggiamenti a riguardo, figli delle concezioni sopra esposte, che vedrebbero la sofferenza fisica o come giusta punizione o come, nella sua risoluzione, unico imperativo dell’agire del credente, Gesù ci presenta l’atto lenitivo come testimonianza. Proprio come nel brano il segno miracoloso non è teso a favorire il paralitico, ma a spiegare agli increduli il gesto di perdono, così gli atti caritativi del cristiano non hanno lo scopo primario di risolvere un malessere medico o sociale, ma di testimoniare agli increduli il conforto e la salute che viene dalla fede.

Con ciò non si vuol dire che l’impegno nell’affrontare e risolvere determinate problematiche, sia, per la Chiesa come per il credente, da prendere alla leggera; s’intende solo affermare che il fine ultimo non deve essere un’utopica purificazione dal male fisico, ma una testimonianza di quella carità che guarisce e che, se accolta nel cuore, rende l’uomo sano anche in punto di morte.


1 Cfr. Gv 9,2.

2 Cfr. Ez 18,19-20.

3 Cfr. ad esempio il Libro di Giobbe.

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Quando il Signore mi venne a cercare, la mia mente vagava confusa nei caldi spazi dell’inedia, talmente carica di nulla da non poter portare altro con sé. Il mio corpo invece si preparava ad un indefinito inverno nella città di Ancona, gioiello del medio Adriatico (si fa per dire). Nella patria del pesce e del “mosciolo”, per un leggiadro scherzo della Provvidenza, sono nato quasi trentadue anni fa con una sentita inimicizia fra me e qualunque carne marina. La chiamata del Signore mi vide studente in storia ed appassionato consumatore di storie: racconti di tutti i tipi e narrati da aedi di tutte le arti. Ora che lo Spirito mi ha indirizzato nella famiglia di San Domenico ho posto questo mio nulla nelle mani della Vergine Maria e del caro Castigliano e chiedo loro quotidianamente di mostrarmi in ogni storia, vera o immaginaria, la traccia del Divino che lì soggiace. Ora che sto a Bologna studio come studiando rendere omaggio a Dio. Per contattare l'autore: fr.giuseppe@osservatoredomenicano.it