“A tutti si fa chiaro, infatti, che in una città un posto ci deve essere per tutti: un posto per pregare (la chiesa), un posto per amare (la casa), un posto per lavorare (l’officina), un posto per pensare (la scuola), un posto per guarire (l’ospedale)”.
Al senso comune questa frase di Giorgio La Pira potrebbe suonare come una frase da relegare ad un mondo fatto di utopie che ha l’ideale di una perfezione sociale. In realtà questa frase non appartiene ad un mondo utopico, ma cristiano!
In altri termini, perché non dire: “Il cristianesimo è la realizzazione di ogni utopia”.
La preghiera, infatti, non è una dimensione astratta o privata riservata solo ai quei “guru” che detengono chissà quale potere arcano per entrare in contatto con il divino.
Così come la preghiera non può essere pensata come un “optional” che può esserci o non esserci. La preghiera è una questione che riguarda tutto l’uomo ed ogni uomo. In questo senso, l’uomo ha bisogno di pregare così come ha bisogno di nutrirsi, curarsi, ecc…
L’esigenza del divino non è una questione che proviene da una qualche curiosità che solletica l’interesse di qualche pia persona religiosa che nel 2017 vuole credere ancora nelle favole, bensì si tratta di un’esigenza che si fa viva nell’interiorità dell’uomo e si fa viva nonostante qualsiasi tentativo di soffocarla con la più astuta superficialità o argomentazione contraria.
Del resto solo l’orgoglio più incallito potrebbe accontentarsi di uno sguardo miope sulla realtà piuttosto che fornirsi di lenti più potenti per guardare in profondità!
A questo punto, possiamo ben dire che la preghiera, in definitiva, non è tanto questione di formule da pronunciare tanto per ottenere chissà quale grazia divina, bensì si tratta di una questione di senso. La preghiera è quel dialogo con Qualcuno che mi può svelare il senso di tutto ciò che vivo!
Non ho bisogno di qualcuno che risolva i miei tormenti esistenziali, ma piuttosto di qualcuno che mi possa dire che senso ha il mio tormento affinché possa viverlo nella più realistica consapevolezza che io non sono spettatore passivo di ciò che vivo, bensì protagonista; sono io che decido se lasciarmi scalfire dagli eventi o lasciarmi scalfire da Dio che è superiore a qualsiasi evento che mi possa accadere.
Il cristiano infatti non vive di palliativi illusori sulla realtà, ma vive della realtà stessa perché è solo ciò che esiste che può essere trasfigurato!
Dio si è incarnato proprio per dirci che il mondo – quel mondo che quotidianamente vivo – è lo spazio entro il quale si può realizzare la mia salvezza.
La mia salvezza si realizza nella mia casa, nell’ambiente in cui lavoro, nelle relazioni che intrattengo, negli affetti che coltivo, nelle persone che amo, nella sofferenza che mi colpisce.
Ma per cogliere la salvezza che si nasconde tra le pieghe di un’esistenza, che si dispiega a tratti chiaro-scuri, è necessaria la preghiera, ovvero quella relazione fondamentale che mi permette di vedere come e dove il Signore della storia sta operando per il mio bene.