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Nel pensiero collettivo, purtroppo, esiste una concezione errata del Santo Rosario. Si pensa, cioè, che esso sia una preghiera solo per i santi, per i già perfetti. Beh, non è poi così falso questo pensiero (infatti il Rosario è innegabilmente una preghiera da santi), ma è vero solo in parte.

Una delle promesse della Madonna ad Alano della Rupe, precisamente la sesta, ci aiuta a capire più profondamente la natura di questa pia pratica: “Colui che reciterà devotamente il mio Rosario, meditando i suoi misteri, non sarà oppresso dalla disgrazia. Peccatore, si convertirà; giusto, crescerà in grazia e diverrà degno della vita eterna”.

Mano stringe rosario
“Rosary”, CC BY-NC-ND 2.0, https://flic.kr/p/dgLAn3

Il Rosario non è una preghiera solo per i perfetti! “Peccatore, si convertirà”. Effettivamente, può sembrare un controsenso che un peccatore si metta a recitare il Rosario, ma non è così. E c’è di più: a questa preghiera straordinaria sono persino legate la conversione stessa del peccatore e la santità del giusto che diverrà “degno della vita eterna”. Insomma, il Rosario è una medicina che guarisce i peccatori e rafforza i giusti.

Qual è il segreto di questo ‘farmaco’? O in altre parole, perché è grande Maria? La grandezza della Madonna consiste nell’essere stata disponibile al disegno che Dio aveva su di lei, nell’aver abbracciato senza riserve la volontà del suo Signore. Allora, ciò che noi impariamo a vivere, recitando il Rosario (sia che siamo giusti, sia che siamo peccatori) è l’imitazione di Maria.

Ad ogni Ave Maria riandiamo con la mente (sono le parole dell’angelo che noi pronunciamo) al momento in cui la Madonna ha accettato di diventare la madre di Dio. Così, questa preghiera ripetitiva, come una goccia dopo l’altra, (Ave Maria… Ave Maria… Ave Maria…), scava nella roccia del nostro cuore e lo rende malleabile, più facilitato e pronto ad accettare qualunque cosa Dio ci chieda.

La nostra salvezza è resa possibile da tre “sì”:

  • Il primo è il “sì” di Cristo al Padre che “non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo […] facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2, 6-8). In questo inno cristologico paolino si trovano sia la decisione del Figlio di incarnarsi per salvarci, sia il suo “” nell’Orto del Getsemani: “Padre, […] non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu” (Mc 14, 36);
  • Il secondo “” è quello di Maria all’annuncio dell’angelo: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1, 38);
  • Il terzo è il nostro “” personale, intimo e inderogabile.

I due terzi dell’opera della salvezza sono già compiuti (perciò possiamo stare abbastanza sereni), ma non dimentichiamoci che il nostro apporto è decisivo. Se non pronunciamo il nostro “” possiamo rendere vani i primi due: ovviamente il Sacrificio di Cristo e il fiat mariano sono per sé efficaci, siamo noi che diventiamo impermeabili ad essi. Come diceva giustamente sant’Agostino: “Dio, che ti ha creato senza di te, non può salvarti senza di te[1].

Proprio per questo motivo il Santo Rosario è scuola di conversione per i peccatori e palestra insuperabile di santità per i giusti.

[1] Sant’Agostino di Ippona, Sermone 169, 11, 13.

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Classe 1990. Ho vissuto la mia vita tra i due poli di Rimini e Milano. Mi considero romagnolo ma non chiedetemi di parlare il dialetto. Mi sono laureato in Filosofia all’Università Cattolica di Milano e in seguito ho fatto una breve ma significativa esperienza nel settore HR. Dopo lunghi anni di silenzioso discernimento mi sono lasciato conquistare da Chi mi chiamava fin dal seno materno. Adesso tocca a me protendermi nella corsa, con l’aiuto di San Domenico che mi tiene per mano. Se la musica è linguaggio dell’anima allora sono poliglotta. È vero che degli idoli non si deve pronunciare neanche il nome, ma non si può biasimare chi grida “Forza Valentino Rossi!”.