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Non solo nella novità

Di riletture del Santo Rosario è piena la Chiesa ed aggiungerne un’altra potrebbe sembrare un’operazione priva di senso. Tuttavia, da frate Predicatore penso che questa antica preghiera acquisti una particolare luce proprio se inserita in un’ottica di predicazione, quando cioè diventa mezzo per meditare la propria vita in relazione a Cristo. La proposta che vi faccio non ha né l’arguzia teologica di alcune interpretazioni né l’originalità di altre, ma possiede la virtù di essere il genuino frutto della preghiera di qualcuno che ha vissuto in prima persona la nascita di Cristo in sé e quindi può testimoniarla, e magari delinearne alcune fasi.

Spero quindi che la Santa Vergine Maria possa per te, caro lettore, essere guida ed esempio di sincera conversione come lo è per me che le presto le mie incerte parole.
Devo infine mettervi in guardia: troverete qui solo i primi due misteri non per una qualche forma di selezione o dimenticanza, ma solo per ragioni editoriali. Per il seguito dovrete attendere.

Come folgore balugina

Come spero sia noto il primo mistero della gioia è l’annuncio dell’arcangelo Gabriele a Maria. Nelle rappresentazioni più comuni, la Vergine è spesso ritratta in preghiera, pudicamente sorpresa dell’arrivo del messo celeste; non che ci sia nulla di sbagliato in questo, ma a me ha sempre dato l’impressione che si dipinga la Madonna come una ragazza che in qualche maniera attendeva ciò che le sarebbe successo. Il testo di san Luca e quello di san Matteo invece ci presentano una persona che, per quanto santa in modo unico, si preparava a vivere la sua vita in maniera normalissima. Era fidanzata con un giovane uomo, san Giuseppe appunto, e, come da costume per l’epoca, conviveva con lui castamente prima del vero matrimonio. Forse desiderava avere tanti figli e vivere con suo marito tutta la pace che il Signore le avrebbe concesso. L’arrivo dell’angelo, quindi, non fu il compimento di qualcosa che si aspettava, bensì una proposta tesa a sconvolgere i suoi progetti: ciò che il Messo Celeste le ha veramente chiesto non è un utero ma la donazione a Dio della sua volontà. Quando il Signore, attraverso uno qualunque dei suoi “messi”, bussa nel nostro cuore, non ci chiede un servizio o un qualche tipo di tesseramento, ma la rinuncia all’arbitrarietà del nostro volere in favore di una “nascita” che possa dare nuovo corso alle nostre scelte. Ogni uomo è abituato ad utilizzare la propria volontà per cercare l’unica cosa che davvero gli preme: la felicità. Convertirsi a Cristo significa per prima cosa lasciare che Lui, nascendo in noi, dia una nuova direzione alla nostra esistenza; tale svolta non comporta una rinuncia alla felicità ma il suo raggiungimento attraverso una Via di cui ignoriamo inizialmente lo snodarsi ma che lentamente si disvela al nostro sguardo come la sola davvero efficace.

Se non tocco non vivo

Il primo invito alla conversione, quando accolto, porta ad una reazione abbastanza naturale che Maria ha condiviso con noi: la verifica. La Santa Vergine, appena dato al Signore il suo “sì”, si è subito recata da santa Elisabetta per vedere quella Potenza Divina i cui effetti, pur già presenti, non erano ancora visibili in lei. Non voglio ovviamente insinuare che la Madonna non si fidasse del povero san Gabriele, ma solo che fece la scelta più umana possibile: dare corpo alla svolta. Quando prendiamo una decisione importante, che sentiamo avere in potenza la capacità di cambiarci la vita, per prima cosa le diamo corpo con un segno concreto, con qualcosa che possa vincere la tendenza della nostra volontà a tornare negli argini noti. Ad esempio, una coppia che si fidanza si scambia un anello e lo fa non per mancanza di fiducia nel “sì” dell’altro, ma per “incarnare” quel sublime atto dei loro voleri. Nell’ambito della fede ciò di solito si esplica in due modi, entrambi incarnati dal gesto di Maria: la ricerca di un testimone ed il servizio. Il neo-convertito di solito si rivolge a qualcuno che, avendo maggiore esperienza nella fede, possa testimoniare la validità di quella Via che egli, ancora cieco, scelse. Fidarsi di Dio è sempre un salto nel buio, poiché poco o niente abbiamo che provi la giustezza di una simile scelta1, per cui necessitiamo disperatamente di vedere negli altri quei frutti che ragionevolmente aspettiamo. Non sto parlando di quella gioia da campo estivo, fatta di chitarre e danze attorno agli altari, o di grandi discorsi mistici, ma di una serenità che la figura di santa Elisabetta ben rappresenta: quella di una donna normalissima che, pur nel dubbio e nell’incertezza, è capace di gioire per le benedizioni di cui il Signore l’ha fatta oggetto.

Proprio questa serenità ci dà conforto, poiché sappiamo che il miglior genere di gioia non è quello che esplode in attimi commoventi, lasciando poi solo fumo e rimpianto, ma quello che invece scalda il cuore come una morbida trapunta. Il servizio nasce dalla necessità di concretizzare il cambiamento, che pur si avverte nel cuore, con un qualche gesto che non possa scivolarci via dalle dita. Non è necessario che sia qualcosa di grande o di opprimente alla vista, poiché anche un che di piccolo ha il potere di mutare completamente la nostra prospettiva. Ad esempio, vivere la carità telefonando a quel parente fastidioso che preferiremmo evitare o dedicare dieci minuti della nostra giornata a pregare non per noi stessi ma per qualcuno che ci fa pena, sono tutti piccoli gesti che danno corpo ad un assenso di cui ancora non vediamo i frutti.

Leggi qui la seconda parte dell’articolo: I misteri della conversione: Nascita, Presentazione, Ritrovamento.


1 Ciò non implica che sia arbitraria o irrazionale, né che non sia certa «Non è contrario né alla libertà né all’intelligenza dell’uomo far credito a Dio e aderire alle verità da lui rivelate. […] Nella fede, l’intelligenza e la volontà umane cooperano con la grazia divina. […] “Perché l’ossequio della nostra fede fosse ‘conforme alla ragione’, Dio ha voluto che agli interiori aiuti dello Spirito Santo si accompagnassero anche prove esteriori della sua rivelazione”. Così i miracoli di Cristo e dei santi, le profezie, la diffusione e la santità della Chiesa, la sua fecondità e la sua stabilità “sono segni certissimi della divina rivelazione, adatti ad ogni intelligenza”, sono motivi di credibilità i quali mostrano che l’assenso della fede non è “affatto un cieco moto dello spirito”. […] La fede è certa, più certa di ogni conoscenza umana, perché si fonda sulla Parola stessa di Dio, il quale non può mentire»; Catechismo della Chiesa Cattolica, parte prima, sezione prima, articolo 1, III, nn. 154-157.

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Quando il Signore mi venne a cercare, la mia mente vagava confusa nei caldi spazi dell’inedia, talmente carica di nulla da non poter portare altro con sé. Il mio corpo invece si preparava ad un indefinito inverno nella città di Ancona, gioiello del medio Adriatico (si fa per dire). Nella patria del pesce e del “mosciolo”, per un leggiadro scherzo della Provvidenza, sono nato quasi trentadue anni fa con una sentita inimicizia fra me e qualunque carne marina. La chiamata del Signore mi vide studente in storia ed appassionato consumatore di storie: racconti di tutti i tipi e narrati da aedi di tutte le arti. Ora che lo Spirito mi ha indirizzato nella famiglia di San Domenico ho posto questo mio nulla nelle mani della Vergine Maria e del caro Castigliano e chiedo loro quotidianamente di mostrarmi in ogni storia, vera o immaginaria, la traccia del Divino che lì soggiace. Ora che sto a Bologna studio come studiando rendere omaggio a Dio. Per contattare l'autore: fr.giuseppe@osservatoredomenicano.it