Condividi

Il padre

Ci sono due modi con cui un uomo può cercare di realizzarsi: tramite un’azione e tramite un contesto. La realizzazione per azione implica il definire se stessi attraverso un singolo compito o ruolo, traendo quindi dal ricoprire quel compito o quel ruolo un senso di appagamento continuo che potremmo chiamare “felicità di fondo”. Chi, ad esempio, si realizza in quanto genitore, non solo mira ad esserlo ma si definisce all’interno di quello specifico corpo di azioni; ciò implica che, a prescindere dai singoli momenti di gioia che può vivere o meno, si sentirà appagato ed al suo posto nel mondo solo quando e finché ricoprirà quel ruolo. Il limite di tale scelta è evidente: non solo nessun ruolo, per quanto bello e santo, può definire l’essere umano nella sua totalità diacronicamente, ma non può farlo neppure sincronicamente. Ciò significa che il nostro ipotetico padre non solo non potrà essere o essere stato tale per tutta la sua vita (e ciò porta alla creazione di momenti di inevitabile inappagamento), ma che nel momento in cui lo sarà vedrà una larga parte di sé esclusa da questo stato di felicità di fondo. Si troverà cioè a dover sempre scegliere una piccolissima parte di sé cui dare un senso, trovando tutto il resto non solo inutile ma anche dannoso. Per fare un esempio, il suo desiderare il bene della moglie avrà senso esclusivamente all’interno del buon svolgimento del suo essere padre; se la felicità della consorte dovesse cozzare contro le esigenze di tale ruolo, dovrà essere rifiutato e combattuto a prescindere.

L’artista

Più saggio è chi si realizza non in un’azione ma in un contesto. Costui definisce se stesso attraverso un aspetto stabile della propria umanità. Chi, ad esempio, si realizza nel contesto artistico, non trova appagamento esclusivamente nello svolgere determinate attività di produzione o consumo di arte, ma nell’esprimere in qualunque modo il suo essere “uomo artistico”. Per lui la natura delle singole e specifiche azioni compiute avrà un’importanza solo relativa: l’essere un artista o solo un appassionato di documentari sull’arte sarà importante nell’ottica in cui questi ruoli saranno il giusto prodotto delle sue potenzialità e delle opportunità da lui ottenute. La preoccupazione di questo tipo di persone non è quindi quella di ottenere specifici compiti o ruoli, ma solo di rispondere appieno alle modalità di declinazione del contesto scelto che gli si presentano di volta in volta. Un uomo, ad esempio, con talento artistico ma che non avesse avuto l’occasione di svilupparlo, potrebbe essere appagato come “uomo artistico” nel dipingere a livello amatoriale e nel seguire lo sviluppo dell’arte a lui contemporanea.

Chi si realizza in un contesto supera la difficoltà diacronica, per il semplice fatto che nessuno può impedirgli, nelle forme di volta in volta possibili, di esprimere l’aspetto di sé scelto; tuttavia non risolve quella sincronica poiché, se limitato ad un singolo contesto, come nell’esempio, l’uomo dovrà comunque escludere una parte di sé. Il nostro “uomo artistico” ad esempio, anche se forse sarà meno rigido nel rifiuto rispetto al padre di cui sopra, tuttavia svaluterà tutte le azioni e le opportunità non legate al suo contesto, semplicemente perché non lo appagheranno davvero.

Il cristiano

A ben vedere, la realizzazione per contesto è il massimo cui un essere umano può giungere con le sue forze. Senza una prospettiva di ordine superiore ad aiutarci è impossibile per noi concepire la totalità dell’uomo, accoglierne la completezza e complessità di caratteri; tenderemo a frammentarlo, a ridurlo a qualcosa che la nostra ragione possa masticare e digerire senza troppe difficoltà. Questi limiti non si applicano solo alla concezione dell’altro, ma anche a quella di noi stessi. La sola differenza è quella colpevole condiscendenza che mettiamo, anche senza volerlo, nelle nostre auto-valutazioni.

Per il cristiano invece le cose possono andare in modo differente: attraverso la Rivelazione, egli è chiamato a specchiarsi nello sguardo di Dio, a vedersi come creatura la cui unità è garantita proprio dall’amore che scorge negli occhi del Creatore. Possiamo dire che il cristiano, quello vero, è colui che ha in Dio il suo contesto: si realizza cioè nell’esprimere quella creaturalità che, in rapporto con il Creatore, non lascia fuori nulla di sé. Ecco che quindi il cristiano risolve anche la difficoltà sincronica: ogni parte di sé trova la sua realizzazione in Dio, quindi ogni compito ad essa legato diviene misteriosamente compimento di quel contesto che in un solo Centro nulla esclude.

Ecco che quindi il credente in Cristo non solo vive propriamente, unico al mondo, quella “felicità di fondo” di cui parlavo, ma esperisce anche un’attiva indifferenza verso i compiti cui è chiamato. Non intendo ovviamente affermare che gli sia indifferente fare una cosa piuttosto che un’altra, ma semplicemente dire che essendo ogni azione inserita nel contesto di Dio, l’unica cosa importante è comprendere quel prodotto fra capacità ed opportunità che l’ha generata. Se quindi da un lato il cristiano vive pienamente in Dio l’inserimento della sua totalità nel mondo e nella storia, dall’altro non lascia che i capovolgimenti di questo aspetto intacchino la sua felicità.

Non perderti nessun articolo!

Per restare sempre aggiornato sui nostri articoli, iscriviti alla nostra newsletter (la cadenza è bisettimanale).

Quando il Signore mi venne a cercare, la mia mente vagava confusa nei caldi spazi dell’inedia, talmente carica di nulla da non poter portare altro con sé. Il mio corpo invece si preparava ad un indefinito inverno nella città di Ancona, gioiello del medio Adriatico (si fa per dire). Nella patria del pesce e del “mosciolo”, per un leggiadro scherzo della Provvidenza, sono nato quasi trentadue anni fa con una sentita inimicizia fra me e qualunque carne marina. La chiamata del Signore mi vide studente in storia ed appassionato consumatore di storie: racconti di tutti i tipi e narrati da aedi di tutte le arti. Ora che lo Spirito mi ha indirizzato nella famiglia di San Domenico ho posto questo mio nulla nelle mani della Vergine Maria e del caro Castigliano e chiedo loro quotidianamente di mostrarmi in ogni storia, vera o immaginaria, la traccia del Divino che lì soggiace. Ora che sto a Bologna studio come studiando rendere omaggio a Dio. Per contattare l'autore: fr.giuseppe@osservatoredomenicano.it