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Questi giorni del Triduo Pasquale che ci apprestiamo a vivere sono il cuore pulsante dell’anno liturgico.

Sono i giorni in cui si compie il mistero della nostra salvezza.

I giorni in cui Cristo offre tutto se stesso per noi: ci dona il Suo Corpo e il Suo Sangue, subisce l’infame processo e sale al Calvario, viene confitto in croce e muore alle tre del venerdì pomeriggio. Viene deposto dal patibolo quando cominciano a splendere le suggestive luci del sabato: sabato solenne quel sabato. Era un sabato che veniva a coincidere con la Pasqua ebraica, di data fissa. Sarebbe stato il sabato che avrebbe visto la vera Pasqua: si sarebbe dischiuso alla luce che non tramonta: la risurrezione del Signore Gesù.

Anche noi, nella Veglia Pasquale che squarcia trionfante il silenzio del Sabato Santo vivremo questo mistero di luce, pace, gioia infinita che, al dire del profeta Baruc, ha fatto sussultare di giubilo persino le stelle del firmamento.

Le celebrazioni di questi giorni santissimi sono ricche di simboli e profondamente intessute dalla Parola di Dio. Su tutti, ricordiamoci di Pietro, della sua miseria che lo portò a rinnegare tre volte il Maestro e Signore. Ma ricordiamoci soprattutto di quello sguardo, veloce eppur profondissimo, che Pietro si vide rivolgere da Gesù. Bastò quello sguardo, occhiata di grazia, per far riaffiorare nella mente di Pietro le parole che il Signore gli aveva dette: «In verità io ti dico: questa notte, prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte» (Mt 26,34). E pietro scoppiò in lacrime.

Quel pianto d’amore lo salvò!

Quanto è grande il nostro Dio! Ha voluto venire qui sulla terra e subire il supplizio inflittogli da noi, sue stesse creature. La sua misericordia non ha eguali: il suo amore per ciascuno di noi è una certezza indiscutibile. Ognuno di noi è un po’ Pietro. Lasciamoci sanare dallo sguardo di Gesù che incontriamo sofferente, morto, e vincitore in questo Triduo che comincia e applichiamo a noi stessi l’invito dell’epistola agli Ebrei: «Badate, fratelli, che non si trovi in nessuno di voi un cuore perverso e senza fede che si allontani dal Dio vivente. Esortatevi piuttosto a vicenda ogni giorno, finché dura questo “oggi”, perché nessuno di voi si ostini, sedotto dal peccato. Siamo infatti diventati partecipi di Cristo, a condizione di mantenere salda fino alla fine la fiducia che abbiamo avuto fin dall’inizio» (Eb 3,12-14).

Qualcuno potrebbe risentirsi, forse, per l’immagine che corona questo articoletto: un cimitero di montagna, sotto una cappa nebbiosa, che si sta però man mano schiarendo. Col pieno sole, la valle brillerà: con la risurrezione di Cristo, Sole di giustizia, anche la nostra vita splenderà. In Lui, tutta la vita risorge.

Alla fine, cos’è che temiamo di più, se non la nostra fine? Che cosa ci atterrisce sommamente, se non il pensiero della nostra morte? Che cosa è capace di scuotere tanto la nostra fede quanto l’apice dei dolori, ossia il termine di questo nostro cammino terreno?

Ebbene, la risurrezione di Cristo dissipa queste nebbie, fuga tutti questi timori con grande forza. La risurrezione del Signore è davvero la nostra speranza: alla fin fine è il motivo che ci spinge a perseverare in tutto ciò che facciamo.

Ecco la vera novità, la vera buona notizia per la nostra vita: il buio del peccato e la notte tremenda della morte sono state sopraffatte dal Cristo vittorioso che realizza la profezia di Osea: «O morte sarò la tua morte, o inferno sarò la tua rovina» (cfr. Vulgata: Os 13,14).

Ciò che si legge sui frontoni delle cappelle di tanti cimiteri, Resurgent- risorgeranno, avverrà anche per noi; corrispondiamo con cuore generoso all’offerta d’amore del Signore: lo vedremo subito dopo la morte e alla fine dei tempi risorgeremo per una risurrezione di vita.

La redazione tutta dell’Osservatore domenicano augura a tutti i lettori dei fruttuosi giorni del Triduo e una santa Pasqua facendo proprie le parole che nel 2009 l’allora papa Benedetto XVI rivolse al mondo intero la domenica di Pasqua:

«La risurrezione pertanto non è una teoria, ma una realtà storica rivelata dall’Uomo Gesù Cristo mediante la sua “pasqua”, il suo “passaggio”, che ha aperto una “nuova via” tra la terra e il Cielo (cfr Eb 10,20). Non è un mito né un sogno, non è una visione né un’utopia, non è una favola, ma un evento unico ed irripetibile: Gesù di Nazaret, figlio di Maria, che al tramonto del Venerdì è stato deposto dalla croce e sepolto, ha lasciato vittorioso la tomba. Infatti all’alba del primo giorno dopo il sabato, Pietro e Giovanni hanno trovato la tomba vuota. Maddalena e le altre donne hanno incontrato Gesù risorto; lo hanno riconosciuto anche i due discepoli di Emmaus allo spezzare il pane; il Risorto è apparso agli Apostoli la sera nel Cenacolo e quindi a molti altri discepoli in Galilea.

L’annuncio della risurrezione del Signore illumina le zone buie del mondo in cui viviamo. Mi riferisco particolarmente al materialismo e al nichilismo, a quella visione del mondo che non sa trascendere ciò che è sperimentalmente constatabile, e ripiega sconsolata in un sentimento del nulla che sarebbe il definitivo approdo dell’esistenza umana. È un fatto che se Cristo non fosse risorto, il “vuoto” sarebbe destinato ad avere  il sopravvento. Se togliamo Cristo e la sua risurrezione, non c’è scampo per l’uomo e ogni sua speranza rimane un’illusione. Ma proprio oggi prorompe con vigore l’annuncio della risurrezione del Signore, ed è risposta alla ricorrente domanda degli scettici, riportata anche dal libro di Qoèlet: “C’è forse qualcosa di cui si possa dire: / Ecco, questa è una novità?” (Qo 1,10). Sì, rispondiamo: nel mattino di Pasqua tutto si è rinnovato. “Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello: il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa” (Sequenza pasquale). Questa è la novità! Una novità che cambia l’esistenza di chi l’accoglie, come avvenne nei santi»1.


1 Papa Benedetto XVI, Discorso Urbi et Orbi per la Pasqua 2009, reperibile al seguente link:https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/messages/urbi/documents/hf_ben-xvi_mes_20090412_urbi-easter.html, consultato il 3 aprile 2023.

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Nato tra le maestose giogaie trentine nel maggio 1996, cresciuto tra i boschi e campi di un grazioso paesino dell’alta Valsugana (sì, quella della canzone degli alpini…), dopo la maturità scientifica, indeciso se entrare in seminario diocesano, si orienta infine alla vita claustrale delle bianche lane. Ha emesso professione semplice nel settembre 2019 e attende ai filosofici studi.