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L’offerta del consacrato

La solennità di questa festa ha un significato singolare per noi religiosi – e per la vita consacrata in generale – intimamente consacrati dallo Spirito e offerti a Dio per mezzo di Cristo, con Cristo e in Cristo. La Chiesa gioisce di questo e riconosce a questo giorno un legame significativo ed intrinseco con la risposta decisa e decisiva di amore che abbiamo promesso davanti a Dio nelle mani dei superiori, del rispettivo Ordine o congregazione, oppure del Vescovo.

La nostra gioia di consacrati cresce e lavora in un campo non brullo, bensì fecondo e ameno dove altri prima di noi hanno seminato. Fin dai primi tempi della Chiesa «vi furono uomini e donne che per mezzo della pratica dei consigli evangelici vollero seguire Cristo con maggiore libertà ed imitarlo più da vicino, e condussero, ciascuno a loro modo, una vita consacrata a Dio. Molti di essi, sotto l’impulso dello Spirito Santo, vissero una vita solitaria o fondarono famiglie religiose che la Chiesa con la sua autorità volentieri accolse ed approvò. Cosicché per disegno divino si sviluppò una meravigliosa varietà di comunità religiose […]»1.

E che comunità e a quale grande fatica! Ben si adattano a noi contemporanei le parole di Cristo: «Io vi ho mandati a mietere ciò che voi non avete lavorato; altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro» (Gv 4, 38). Siamo subentrati, in tutta verità ed umiltà, nella fatica sostenuta dai nostri padri e madri fondatori e portiamo avanti quest’opera fruttuosa, faticando anche noi per la crescita della Chiesa nel mondo per l’edificazione del corpo di Cristo (Ef 4,12). Una promessa iniziale che, rivolta particolarmente a chi lascia tutto per seguire Cristo, innesca un senso non banale di speranza umana, bensì alimenta il dono della speranza infusa in noi dalla grazia di Dio nel giorno del battesimo; è una chiamata radicale legata alla promessa della vita eterna: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi» (Mc 10, 21). Ci impegniamo a seguire i passi e la vita di Colui che tutto si offrì a Dio nel Tempio e nella predicazione, Cristo, il quale, «vergine e povero (cfr. Mt 8,20; Lc 9,58), redense e santificò gli uomini con la sua obbedienza spinta fino alla morte di croce»2.

Morti al mondo e nascosti con Cristo in Dio, attendiamo la realizzazione delle promesse di Cristo e soprattutto gioiamo nel vedere quando i campi biondeggiano e il frutto delle nostre opere già si vede nell’orizzonte della fedeltà di Dio. Questo punto di arrivo non sempre è osservabile, benché ci siano momenti in cui ci sembra di avere un abbondante successo nella nostra vita spirituale ed ecclesiale. Per un misterioso disegno della provvidenza di Dio, la vita prende una piega monotona, scade in una vorticosa quotidianità. Che valore ha questa “noia”?

Simeone, il paziente

Papa Francesco, durante la precedente festa della Presentazione del Signore del 2021, ha celebrato la s. Messa in presenza di diversi membri di istituti religiosi. Egli ha fatto un’attenta riflessione durante l’omelia concentrando la sua attenzione sul tema della pazienza. Il passo è questo:

«Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d’Israele; lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore» (Lc 2, 25-26).

Aspettava. Di fronte alla promessa dello Spirito di Dio – quella di vedere con i propri occhi il Messia promesso – egli ha risposto con una fede non minore di quella di Abramo, suo padre. Abramo avrebbe visto una discendenza, Simeone avrebbe visto il Messia stesso. Simeone aspettava. Egli è stato fermo di fronte a Dio e davanti alla sua vita, tutta raccolta in quel verbo preciso: «attendere»; ed attendeva, «con pazienza, il compimento delle promesse del Signore»3.

È un uomo carico di anni, di ferite subite nella sua lunga vita in cui spesso Dio si rendeva presente non in eventi straordinari, ma «nell’apparente monotonia della sua giornata, nel ritmo a volte stancante delle attività, nelle piccole cose che con tenacia e umiltà portava avanti cercando di fare la volontà di Dio»4.

La pazienza di Simeone è stata immensa nel suo lungo cammino e non si è mai logorata dallo scorrere degli anni né si è lasciata «consumare dall’amarezza per il tempo passato o da quella malinconia che emerge quando si giunge al crepuscolo della vita»5. La sua fortezza era temprata dalla tribolazione che, come afferma san Paolo, «produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato»(Rm 5, 4-5).

La pazienza di Dio e la nostra

Il Papa si chiedeva dove possa avere imparato Simeone tanta pazienza, così da trovarla anche noi. La risposta è la preghiera. Egli l’ha ricevuta dalla preghiera e dalla vita del suo popolo, che nel Signore ha sempre riconosciuto «il Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di fedeltà» e che porta pazienza per molti anni (cfr. Ne 9,30).

Simeone, vecchio e carico di anni, a contatto con lo Spirito di Dio, rinnova la sua giovinezza, poiché lo spirito di Dio è eterno e rende saldi i suoi passi sulla via della pace, porta a compimento in lui la sua opera e lo sostiene nella sua fede. Egli è di corteccia spessa e logora, ma il suo durame e il suo midollo sono pieni di linfa vitale.

Quanto poco conto si tiene della preghiera oggi! Eppure quante persone sperano di veder realizzate le loro richieste…dove sono le promesse del Signore? Aspettavamo la pace ma non c’è alcun bene dice il profeta6. Ma in risposta a ciò si bisogna affermare con forza che non si può aspettare che Dio realizzi le sue promesse se noi non gettiamo in Lui la nostra vita, se non lo amiamo e, con uno slancio filiale e fiducioso, non gli diamo la possibilità di realizzare in noi quello che Lui vuole. Ma spesso manca la pazienza perché non siamo in grado resistere alle tribolazioni. Noi, così facendo, non abbiamo un Amore più grande per cui lottare. Lo trascuriamo… C’è da chiedersi: ma lo Spirito Santo è sopra di me? Sono il suo tempio, ma non è che questo tempio l’ho rovinato? Mi interessa ascoltarlo o mi basta che lui ascolti me?

C’è da interrogarsi…anche tra i consacrati, sulla qualità della nostra resilienza. Il Signore è lento nelle sue promesse e in mezzo ad esse passa l’oscurità della storia e le tempeste. E succede che, come dice il Papa: «alla pazienza con cui Dio lavora il terreno della storia, e lavora anche il terreno del nostro cuore, noi opponiamo l’impazienza di chi giudica tutto subito: adesso o mai, adesso, adesso, adesso. E così perdiamo quella virtù, la “piccola” ma la più bella: la speranza. Tanti consacrati e consacrate ho visto che perdono la speranza. Semplicemente per impazienza.[…] Contempliamo la pazienza di Dio e imploriamo la pazienza fiduciosa di Simeone e anche di Anna, perché anche i nostri occhi possano vedere la luce della salvezza e portarla al mondo intero»7.

Il ringraziamento

Rimasto vigilante, pieno di Spirito santo, Simeone scorge in lontananza l’arrivo di Gesù. Simile ad un ulivo centenario, forse curvo su se stesso per la vecchiaia, accoglie nella concavità del suo petto l’Atteso che ha aspettato tutti i minuti della sua lunga nostalgia.

Noi accogliamo Cristo ogni giorno nell’Eucarestia. Questo è motivo di vanto per noi e di aiuto immenso, ma forse trascuriamo un po’ il dono ricevuto. E non arriviamo ai livelli di san Luigi Gonzaga, il quale passava metà della giornata in umile ringraziamento per la comunione ricevuta e l’altra metà nella preparazione orante per quella successiva. Forse è troppo per la resistenza dei nostri nervi e non ci è nemmeno richiesto per la santità, ma almeno portiamo avanti l’opera di Simeone, come quella dei nostri padri fondatori. Subentriamo nel suo lavoro. Egli ha seminato la santa attesa del Signore nella sua vita, noi raccogliamo le spighe della riconoscenza e dell’Eucarestia nella nostra. Simeone ha atteso tutta la vita e poi ha ringraziato alla fine. A noi tocca il felice compito di ringraziare tutta la vita e poi di attendere la felicità eterna. Non è la parte migliore?


1 Papa Paolo VI, Tutti i documenti del Concilio, ed. Massimo, Milano 2012, p. 341.

2 Ibidem.

3 Papa Francesco, Santa Messa con i membri degli Istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica, Omelia del Santo Padre, https://www.vatican.va/content/francesco/it/homilies/2021/documents/papa-francesco_20210202_omelia-vitaconsacrata.pdf, 2/2/2021, Ultima consultazione: 31/1/2022.

4 Ibidem.

5 Ibidem.

6 Cfr. Ger 4, 19.

7 Papa Francesco, cit.

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