La saggezza delle favole

Una volta una donna saggia mi disse che esistono due tipi di persone in grado di pensare che una favola valga solo quanto il divertimento che dona: i bambini, le cui incredibili menti sono tuttavia goffe come uno strumento ancora da rifinire, ed alcuni adulti tristi, sinceramente convinti che la saggezza non sia affare dei semplici. Un giudizio forte, certamente da approfondire, ma tuttavia non distante dalla verità. Chi davvero conosce ed apprezza le favole ed i miti, antichi e moderni, sa che la piacevolezza del racconto non è un ostacolo alla profondità del messaggio, bensì un linguaggio, tanto efficace e vivido da saper comunicare la sapienza anche a coloro che, altrimenti, non avrebbero i mezzi per coglierla.

Io non so se tu, caro lettore, sia fra i piccoli o i grandi, se ciò che ti fa saggio passa attraverso vivide immagini o serrati ragionamenti; la sola cosa che mi è chiara è che queste due vie non si escludono a vicenda, ma anzi s’intersecano: chi infatti fosse in grado di nutrire la ragione con il vivido nettare dell’immaginazione riuscirebbe a cogliere il meglio delle due strade, arrivando ad amare con passione la saggezza stessa.

Gli Incredibili

La favola che vorrei leggere assieme a te non è l’antico vestigio di splendide tradizioni, bensì qualcosa di moderno, profondamente radicato nel presente. Si tratta del lungometraggio animato intitolato The Incredibles, diretto nel 2004 dal regista Brad Bird e prodotto dalla Pixar Animation Studios, compagnia associata alla mastodontica creatura partorita da Walt Disney1. L’opera s’ispira abbondantemente ai fumetti di supereroi editi negli Stati Uniti fra il 1956 ed il 1971 circa, ossia durante la cosiddetta silver age. I personaggi, pur essendo inventati appositamente per il film, non solo rimandano volontariamente ad alcuni noti protagonisti del comics, ma riprendono quella generale atmosfera giocosa e non superficiale che caratterizzò i prodotti di quel periodo2.

La vicenda è già in se stessa tutt’altro che banale: i supereroi, dopo aver sconfitto tutti i propri antagonisti, vengono detronizzati dalla potenza della burocrazia, che li schiaccia sotto il peso di futili cause per danni collaterali. Ridotti a vivere vite ordinarie, questi individui straordinari soffrono nel grigiore delle loro esistenze, aspirando alle grandi imprese del passato. Nel mentre, un geniale inventore, privo di superpoteri ma forte della propria tecnologia, si dà il nome di Syndrome ed elabora un piano malvagio avente un unico fine: eliminare il concetto stesso di supereroe.

Sovrano o servo?

Credo che quanto detto possa bastarti per comprendere il resto dell’articolo. La problematica che attraversa l’intera opera è, a mio parere, una sola: in che modo si può essere incredibili senza schiacciare gli altri? Come può cioè una persona eccezionale vivere questa sua caratteristica senza sminuire implicitamente il prossimo? La risposta più comune è che tutti, in fondo, sono unici, per cui basta evidenziare in ognuno questo carattere individuale per aggirare il problema. Il film stesso tuttavia replica a questa considerazione con una sconsolata constatazione: nel momento in cui tutti fossero considerati egualmente eccezionali, nessuno lo sarebbe più davvero.

Il discorso è più sottile di quanto appaia: affermare che tutti sono incredibili implica sostenere che tutti i talenti sono equivalenti. Ora, considerando quanto è assurda questa affermazione, visto che è evidente come determinate abilità siano più importanti e di valore rispetto ad altre, il solo modo per sostenerla è assumere una prospettiva puramente individualista. Se cioè le mie abilità, per quanto grandi siano, hanno la sola funzione di essere strumento d’esaltazione della mia individualità, allora effettivamente il loro peso oggettivo è ininfluente.

Il film propone un esempio estremamente azzeccato di questo: il protagonista, Robert Parr, alias Mr Incredible, è il più grande supereroe d’America. Una volta privato del costume, è tuttavia ridotto a fare l’agente assicurativo in un grigio ufficio. Essendo un individuo buono e giusto, riesce ad essere un piccolo eroe anche in questo minuscolo ambito. Ora, se l’eccezionalità di Robert fosse mirata esclusivamente ad esaltare la sua individualità, questo eroismo da vita quotidiana dovrebbe bastargli poiché, per quanto piccolo, costituirebbe l’inviolato regno del suo ego. Robert tuttavia è scontento e la sua smania di essere un supereroe diviene, narrativamente parlando, il principio di tutta la vicenda. La ragione di questo suo atteggiamento non può che essere una: la sua prospettiva non è individualista, ma fondata sulla carità. Solo infatti se il talento si fa dono agli altri allora non è indifferente la modalità con cui si esprime; solo se nel servizio del prossimo scorgo la vera natura della grandezza allora è intollerabile ogni indebito abbassamento.

L’uomo è un dono

Quest’ultimo concetto è forse un po’ arduo da comprendere, per cui cercherò di svilupparlo nel modo più chiaro possibile. Per riuscirvi mi servirò dello stesso antagonista della vicenda: Syndrome. Egli possiede due caratteri primari: la genialità e l’aspirazione ad essere un eroe. Potremmo dire che il secondo elemento costituisce la prospettiva nella quale legge il primo: a seconda cioè di ciò che intende per “eroe”, egli applicherà in modo differente il suo genio. Ora, vi sono due modi d’interpretare la figura del supereroe: la prospettiva individualista e quella di carità. La prima scorge in questi personaggi degli individui che cercano di esaltare se stessi esprimendo, ogni volta che possono, la loro eccezionalità. Stando a questa lettura, ciò che distingue Mr Incredible dall’impiegato Robert Parr è solo il tipo di talento utilizzato per riuscire a chiamare se stesso “incredibile”. In un certo senso è quindi indifferente salvare il mondo o vendere una buona polizza assicurativa, poiché ciò che davvero ha importanza è il senso di esaltazione personale ricevuto. La seconda prospettiva invece vede nel supereroe qualcuno che trova la propria grandezza nel darsi all’altro. Ogni suo talento, piccolo o grande che sia, non è solo una differente strada per dirsi individualmente eccezionale, ma una concreta possibilità di compiere il bene di qualcuno. Ecco che quindi, sotto questo punto di vista, non solo non è indifferente il tipo di talento che si possiede, ma non è accettabile contentarsi di una via d’eccezionalità che misconosca le proprie reali capacità.

Syndrome legge l’eroismo sotto la prima prospettiva, per cui non solo non si dà al prossimo, limitandosi a cercare la gloria, ma finisce per credere di poter distruggere i supereroi concedendo a tutti le loro stesse capacità. Egli non comprende cioè, per dirlo in poche parole, che se anche tutti fossero super, non tutti sarebbero eroi, poiché l’eroe è colui che vive se stesso come un dono.

Volendo superare gli angusti limiti della favola in questione posso dirti, caro lettore, che non v’è nulla di più cristiano di questo: concepire se stessi come un dono agli altri. Cristo stesso in moltissime occasioni, principalmente nel sacrificio supremo sulla croce, fonda sulla carità l’autentico senso dell’esistenza, ossia nello scorgere in noi quella potenzialità di bene la cui espressione è fonte di vera grandezza. Non si tratta di una vuota ed individualistica forma di filantropia, che vede nel prossimo uno strumento di esaltazione individuale, ma di una Luce Divina sotto la cui influenza scopriamo la profonda natura del nostro essere nel dono gratuito di un Padre il cui amore è Principio dell’esistenza stessa.

Se ammettiamo questa realtà, allora il problema dal quale siamo partiti non sussiste. Chi è grande, chi ha ricevuto quegli immensi doni che i superpoteri così infantilmente simboleggiano, non è un’ombra minacciosa che incombe sull’individualistica percezione di sé, bensì un umile servo la cui perfezione consiste nel donare tutto ciò che attraverso il dono ha ricevuto. Anche se il film certamente non giunge a scorgere la profonda radice cristica di questa visione dell’uomo, credo che ne colga bene i frutti. Vivere l’eccezionalità come uscita totale da sé non porta ad uno smarrimento dell’io nell’altro, ma ad un fiorire inaspettato della persona. Quando un essere umano, secondo i “poteri” grandi o piccoli che ha ricevuto, fa di sé, con l’aiuto della Grazia, un dono di carità, inizia a vivere quella vita che il Signore vuole da sempre per lui e, così facendo, scopre davvero quella bellezza che altrimenti, da solo, mai avrebbe scorto. In tal modo egli, con serenità, accetta la realtà: Dio non ha creato tutti uguali, ma a tutti ha dato l’occasione d’essere incredibili in quell’Amore che tutto muove ed esalta.


1 Per tutte le informazioni, cf la pagina di Wikipedia Italia Gli Incredibili, consultata il 21/10/2021.

2 In questi anni affondano le origini la maggior parte dei personaggi della Marvel Comics, nonché la versione moderna dei più vecchi eroi della DC Comics. In generale, la vita e la psicologia dei personaggi vengono approfondite ed esplorate al di là delle semplicistiche idealizzazioni del passato, senza tuttavia rinunziare a quella giovanile patina fiabesca capace di porre una rassicurante distinzione fra fumetto e realtà. Per maggiori informazioni, cf la pagina di Wikipedia Italia Silver Age, consultata il 21/10/2021.

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fr. Giuseppe Filippini
Quando il Signore mi venne a cercare, la mia mente vagava confusa nei caldi spazi dell’inedia, talmente carica di nulla da non poter portare altro con sé. Il mio corpo invece si preparava ad un indefinito inverno nella città di Ancona, gioiello del medio Adriatico (si fa per dire). Nella patria del pesce e del “mosciolo”, per un leggiadro scherzo della Provvidenza, sono nato quasi trentadue anni fa con una sentita inimicizia fra me e qualunque carne marina. La chiamata del Signore mi vide studente in storia ed appassionato consumatore di storie: racconti di tutti i tipi e narrati da aedi di tutte le arti. Ora che lo Spirito mi ha indirizzato nella famiglia di San Domenico ho posto questo mio nulla nelle mani della Vergine Maria e del caro Castigliano e chiedo loro quotidianamente di mostrarmi in ogni storia, vera o immaginaria, la traccia del Divino che lì soggiace. Ora che sto a Bologna studio come studiando rendere omaggio a Dio. Per contattare l'autore: fr.giuseppe@osservatoredomenicano.it

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