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1221-2021: si è aperto un anno speciale. Con la solenne celebrazione dell’Epifania del Signore, presieduta dal cardinale arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi, è stato ufficialmente aperto l’anno giubilare in occasione degli ottocento anni dalla nascita al cielo del santo Padre Domenico. Erano presenti anche il Maestro dell’Ordine, fra Gerard Timoner, il priore provinciale, fra Fausto Arici, insieme a molti frati e numerosi amici giunti per condividere questa grande gioia.
Il convento patriarcale di Bologna è un luogo quanto mai significativo, poiché qui san Domenico ha vissuto, ha pregato, ha predicato e proprio qui sono custodite le sue spoglie mortali.

Un giorno di Luce ha aperto e chiuderà questo giubileo, nell’Epifania del 2022. È bello allora inaugurare questo tempo speciale proprio a partire da un inno che ben rivela la straordinaria magnificenza del santo Padre Domenico. In pochi tratti ne viene dipinta la vita: «O luce della Chiesa, maestro di Verità, rosa di pazienza, avorio di castità, tu hai effuso gratuitamente l’acqua della sapienza, predicatore della grazia unisci anche noi ai beati del cielo».

Quest’inno è come uno specchio in cui si vedono riflessi i tratti distintivi di un uomo di Dio, un uomo evangelico, un “bambino” di Dio. È come una finestra di una casa sulla cima di una collina da cui sporgersi ad osservare lo splendido giardino che la circonda: proviamo a salire come Mosè sulla vetta del monte e contemplare in una meraviglia muta la sconfinata bellezza di questo giardino così odoroso, ricco e variopinto.

Guardiamo attentamente i fiori che vi si trovano: tra tutti, proprio nel centro si scorge una rosa bianca, senza spine, così profumata e ricoperta di una rugiada che rende splendenti, quasi trasparenti, i suoi petali. Quante volte questo giardino è stato colpito da tempeste… ma la bellezza della rosa bianca è rimasta immutata; l’agricoltore sapiente che dimora nel giardino, giorno e notte, la protegge con ali impenetrabili. Quando ritorna il sole egli si scosta cosicché la luce la rinvigorisca. Il segreto del giardino però risiede nelle acque sotterranee che lambendo le radici danno la Vita. È un segreto nascosto che mantiene salda la rosa e con essa gli altri fiori. Essa poi è circondata di api, arrivano la mattina attratte dal suo splendore e in una continua danza si posano su di essa, poi volano via. Così passano ore, giorni, anni; è una danza che continua da ottocento anni. Poco dopo ritornano. Ecco, anch’esse, le api, attingono e portano la vita. Fecondano il giardino. Ma guardiamo ancora.

Poco più in là possiamo scorgere una piccola aiuola di fiori bianchi, sono tutti diversi, non ce n’è uno uguale all’altro. Essi risplendono per la purezza che hanno attinto dalla rosa, alcuni sono molto alti, ma mai più della rosa. Altri sono piccoli, così piccoli, che da qui – dalla finestra – quasi non si vedono. Eppure anche loro sono lì, ad abbellire il giardino. No, non stiamo a domandarci perché l’agricoltore abbia voluto che nascessero insieme fiori grandi e piccoli; se ci sembrano disarmonici è perché li guardiamo con i nostri occhi… ma è l’agricoltore ad aver creato il giardino e per lui anche il più minuscolo di quei fiori è così perfetto ai suoi occhi che lo commuove. È come uno specchio per Lui. Anche il più piccolo dei fiori è infatti nato dalla rosa, si è lasciato nutrire dal nettare delle api ed ha messo radici. Ora smettiamo di guardare il singolo fiore, non pensiamo a quale altro fiore sarebbe forse stato migliore di quello presente: forse un giglio, una margherita… no, guardiamo l’aiuola. Eh sì, così ci commuoviamo anche noi…l’armonia del complesso rende insostituibile ciascuno di quei fiori bianchi. Contempliamo in silenzio.

Guardiamo ancora. Non distante dalla rosa bianca possiamo vedere un’altra aiuola, molto ampia. Essa è costellata di fiori rossi, innumerevoli sono le varietà, alternati da piccoli cespugli d’alloro. Guardando meglio possiamo vedere che gli steli sono ricoperti di spine. Ci può sembrare incomprensibile che l’armonia sinuosa del giardino sia come interrotta dalla rigidità delle spine…quasi può apparirci una condanna ingiusta il fatto che questi fiori siano ricoperti di spine. Vorremmo quasi ascoltare la loro voce ed interrogarli, ma ecco arrivare l’agricoltore. Senza dire nulla si avvicina all’aiuola, chinandosi stringe tra le sue mani, quasi in un abbraccio, un mazzo di fiori rossi. Da essi inizia a fuoriuscire come del sangue… Egli lo raccoglie nella sue mani, con una cura ed una tenerezza mai viste prima. Poi eccolo alzarsi e dirigersi verso un angolo del giardino. Guardiamo bene. Non c’è neanche un fiore in quell’angolo, così buio e arido, ci sono solo pochi rovi aggrovigliati. Ha un aspetto brullo quell’angolo del giardino. Giunto lì, l’agricoltore apre le mani e comincia a spargere con rara amorevolezza il sangue sul terreno secco. Così, quel piccolo grande deserto senza vita subito si ricopre di germogli verdi; diviene come un angolo di paradiso. Cerchiamo di capire, ma è troppo alto per noi, scrutiamo attentamente ma non troviamo risposta. Ancora una volta, non resta che il silenzio… un senso immenso di gratitudine ci travolge. Così, pian piano immersi in una muta meraviglia iniziamo a contemplare l’invisibile. Così, di nuovo, spostiamo lo sguardo sull’aiuola di fiori rossi e continuiamo a guardare, con occhi nuovi. Accanto ad essa è ritornato l’agricoltore; siede ammirato e con gli occhi lacrimanti si volta verso di noi indicando prima i petali dei fiori, di un rosso potente, per poi mostrarci quelle spine che, con questi occhi nuovi, scopriamo essere rivolte verso gli steli dei fiori, sono conficcate in essi. Ciascun foro diviene una sorgente sanguinante; in breve l’aiuola si riempie di sangue che traboccando dai suoi confini porta vita. Subito tutto il giardino si riempie di germogli. Allora, ecco le api che ronzavano attorno alla rosa, attingendo da essa, si levano in volo sui germogli lasciando cadere come un nettare che fa schiudere i fiori. L’agricoltore continua a guardarci, come con uno sguardo di Padre; percepiamo che anch’egli sta contemplando in quei piccoli fiori la bellezza unica e irripetibile del Figlio. Come riflesso in essi vede eminentemente i tratti del Figlio. Contempliamo anche noi, in silenzio.

Sta calando la sera, ormai non si vede più nulla, ma non vorremmo smettere di contemplare. Riusciamo così a scorgere nel giardino anche una piccola fontana. Sopra l’acqua sono posate, quasi sospese, delle splendide ninfee. Sono tutte bellissime, ma una di esse cattura la nostra attenzione. Essa è così maestosa, i suoi petali sono così ben accostati e disposti l’uno sull’altro…quasi formano un monte, altissimo. L’acqua della fonte è poi a tal punto cristallina che la poca luce rimasta ci consente di guardare sotto la superficie. Ecco le radici, sono lunghissime, vanno a sondare l’abisso. Sono così belle e imponenti le ninfee… eppure anche qui è riflessa la sapienza dell’agricoltore. Tolte dall’acqua muoiono. Hanno bisogno dell’acqua, la amano a tal punto da viverne immerse; così ci conducono a contemplare le profondità dell’abisso per poi guidarci ad ammirare il cielo.

Ora non si vede più nulla. È calata un’altra notte sul giardino e dalla finestra non riusciamo più a vedere. Quasi una malinconia ci stringe il cuore, ma appena essa sta attanagliandoci, alziamo il capo… subito un altro spettacolo si spalanca dinanzi a noi; ora con la memoria del giardino, ancora così viva in noi, scrutiamo, contempliamo la volta stellata, sconfinata. Una forza nuova ci riempie proprio mentre scrutando il cielo riscopriamo la Bellezza di una Stella luminosissima, attorno alla quale l’universo sembra ruotare, cardine della Vita dall’eternità. Con la memoria viva della splendida rosa bianca del giardino, dei fiori meravigliosi che lo ricoprono e lo ricopriranno per sempre, rimaniamo come folgorati.

Quest’anno speciale allora è anzitutto un invito per tutti a contemplare nella volta stellata, infinita, la vivida bellezza di quel meraviglioso e “morbido” giardino plurisecolare, quale è l’ordine domenicano, in cui siamo immeritatamente inseriti. Questo però alla luce insostituibile di quella Stella luminosissima, riscoprendone la vitale centralità nella vita donataci. Il più bell’invito allora, come Abramo, come i Magi, è quello di imparare a contemplare il cielo per poi farlo amare a tutti, indistintamente.

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