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Nudo nel bisogno

C’era una volta un vecchio frate stanco che attendeva i giorni nella cella. O forse, per meglio dire, attendeva il Giorno, poiché spesso il tempo gli sembrava languido come la paludosa foce di un grande fiume, indeciso sul concludere o meno la sua corsa. Anche se i diversi fiori che ornavano la sua vita erano spariti uno alla volta, lasciandolo nudo con se stesso come un prato d’inverno, la sua esistenza era comunque piena di calore.

Pur chiedendosene intimamente il motivo, non poteva negare che molti confratelli più giovani sembravano lieti di venirlo a trovare. Inizialmente aveva pensato a qualche imposizione, più o meno diretta, proveniente dall’alto, ma ben presto si era dovuto ricredere. Chi compie qualcosa per obbligo, solitamente fraziona il tempo in gesti rituali, tesi più all’efficienza del momento che alla sua qualità; il risultato è un’esperienza senza intimità, fredda come una visita medica. Ma le sue visite non erano così. C’era chi parlava, chi ascoltava, chi scherzava e si lasciava canzonare, ma sempre lasciando il tempo libero come una bella melodia.

Il vecchio frate non sapeva se fosse o meno riuscito a vivere nella carità, ma era certo di aver vissuto per la carità. Dietro la mollezza del suo ristagno, si celava una certa sapienza e fu quel dono, quell’ultimo talento prezioso, a mostrargli un’ultima verità: erano tutti gioiosi perché avevano trovato, in lui, l’occasione per amare.
L’anziano frate si rese conto che l’estrema impresa cui il Signore lo chiamava era quella di essere pronto a ricevere. Ai giovani questo poteva sembrare facile, privo di qualsiasi merito, ma non così ad un saggio. All’inizio della vita infatti prendere ciò che serve è talmente legittimo da apparire indistinguibile dall’accogliere qualcosa; solo quando si sperimenta la potenza della maturità ci si rende conto che queste due azioni sono tanto diverse quanto l’appropriarsi ed il chiedere. L’anziano sapeva bene che per ricevere amore si deve essere pronti ad esporre la nudità del proprio bisogno, umilmente come il Cristo assetato1, e così fece.

L’ultimo dono

Eppure, a fronte dell’amore che gli veniva dato, il vecchio frate iniziò a chiedersi se non vi fosse ancora un modo per ricambiare. La superbia, vecchia serpe stanca, fece allora capolino, suggerendogli che i giovani sarebbero stati onorati di abbeverarsi alle saporite acque della sua esperienza. Assaporò per qualche istante la sensazione che questo gli dava, ma era troppo esperto per non riconoscere l’amaro di quel veleno. Poteva certo donare il proprio passato, essere pronto a farsi memoria di chi non può ricordare, ma, proprio come un vecchio tomo, sapeva anche di non potersi far leggere, ma di poter solo attendere un occhio curioso. Una simile disposizione era preziosa, ma non tanto diversa dal ricevere: se nella debolezza accoglieva la carità, nella saggezza accoglieva l’altrui ricerca di sapienza. No, lui voleva donare qualcosa, dare a chi fosse entrato un quid non ancora desiderato; ma come fare?

Crucciato da quella domanda, il vecchio si trovò a pensare a fatti antichi, ricordi talmente masticati dal suo cuore da aver perduto ogni spigolosa asperità. Rammentò una sua nonna, Anna, una donna dolce e discreta, fatta di carezze e sorrisi furtivi. Il Signore le aveva chiesto una grande prova al termine della sua vita, privandola anche delle parole e costringendola a celare il proprio cuore dietro un enigmatico velo di sguardi. L’anziano frate ricordava bene la sua paura, il suo dolore e tutti i piccoli modi con i quali chiedeva quell’amore che tanto abbondantemente le veniva dato. Eppure, in mezzo a quella nudità ora così familiare, riuscì a scorgere un dono: un sorriso, mosaico del volto, riservato all’uomo che amava. Non si trattava di gratitudine per qualcosa che aveva ricevuto, bensì di un dono gratuito e prezioso. L’uomo forse non lo sapeva, ma ogni volta che la vedeva sorridere quel futuro, dai contorni così torbidi, s’illuminava.

L’abisso è solo un pozzo

Ma come poteva un sorriso rischiarare le tenebre della sofferenza? Che senso aveva quel prezioso lascito che la dolce Anna, a distanza di decenni, sembrava chiedergli di imitare?

L’anziano frate rifletté crucciato sulla questione, finché non gli sovvenne il motto di un eroe. Non ricordava se fosse vero o fittizio, ma in fondo non aveva importanza: la verità viene sempre dal reale, anche se le labbra usate per esprimerla possono essere immaginarie. Un bambino chiese al suo campione: «Perché tu sorridi sempre?», e questi gli rispose: «Perché finché sorrido chi m’incontra può avere speranza».

Il vecchio si rigirò quella frase nella mente, come uno strumento bizzarro, per poi provare a ribaltarla: senza quel sorriso, chi è disperato non saprebbe a cosa reggersi. Poteva essere vero? Era possibile che qualcuno incapace di scorgere una qualsivoglia promessa di gioia nel suo presente, si appoggiasse fiducioso ad un sorriso? E quel gesto era forse davvero in grado di garantire una prospettiva nuova, piena di luce, sulla realtà che una fede disperata fosse pronta ad afferrare?

Lo stanco frate ripensò all’ultimo letto della bella Anna e ricordò quanto, anche per la sua gioventù di allora, fosse difficile scorgere felicità fra quelle mura, di quanto arduo fosse portare una speranza che spesso gli sfuggiva. Per questo ne fu certo: il suo anziano nonno, in quegli struggenti istanti, scorgeva quel sorriso e si aggrappava ad una gioia che non trovava se non riflessa nell’anima della sua amata.

Se la fiducia di un sofferente può essere la speranza di chi lo incontra, allora ben arduo compito attende chi soffre! Quasi sovrumano apparve al vecchio il proposito di sorridere, di rischiarare una vita fetida e stagnante mostrando, nella sofferenza, quella così sfuggente felicità. Rapide e frenetiche, come le dita di un amante, gli tornarono in mente le parole che Cristo rivolse in croce a san Giovanni ed alla sua Santa Madre: esprimevano una speranza radiosa nel futuro che si fondava proprio sull’esperienza del dolore2. Dal Salvatore morente fu vista tutta la piccolezza di quella sofferenza che poteva, nella morte, apparire abisso senza fondo; per questo, oltre ai suoi tetri confini, gli fu possibile trovare la solida promessa di un futuro di vita, che trasmise con il sorriso della sua tenera premura.

Il vecchio frate si commosse, anche lui confortato da quel lontano ed eterno sorriso. Sapeva che quell’eroe di cui ricordava avrebbe fallito, proprio perché fondato su di una forza che, per quanto grande, non avrebbe mai cessato di scorgere un abisso. Ma lui forse avrebbe potuto trionfare; anzi, con giovanile vigore l’anziano ne fu certo! Egli poteva sempre struggersi del sorriso del cuore del suo Amato, vedendo in esso la fine d’ogni notte.
In quel momento qualcuno bussò alla sua porta. Il vegliardo si sistemò sulla poltrona e con voce lieta rispose al giovanile annuncio. Ora sapeva cosa donare, cosa lasciare a chi tanto lo amava; e mentre l’uscio si apriva, l’anziano volto sorrise.


1 Gv 19,28.

2 Gv 19,26.


Riconoscimenti immagine: 95 year old smile…. Foto pubblicata da Sergio Miranda sotto licenza Creative commons.

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Quando il Signore mi venne a cercare, la mia mente vagava confusa nei caldi spazi dell’inedia, talmente carica di nulla da non poter portare altro con sé. Il mio corpo invece si preparava ad un indefinito inverno nella città di Ancona, gioiello del medio Adriatico (si fa per dire). Nella patria del pesce e del “mosciolo”, per un leggiadro scherzo della Provvidenza, sono nato quasi trentadue anni fa con una sentita inimicizia fra me e qualunque carne marina. La chiamata del Signore mi vide studente in storia ed appassionato consumatore di storie: racconti di tutti i tipi e narrati da aedi di tutte le arti. Ora che lo Spirito mi ha indirizzato nella famiglia di San Domenico ho posto questo mio nulla nelle mani della Vergine Maria e del caro Castigliano e chiedo loro quotidianamente di mostrarmi in ogni storia, vera o immaginaria, la traccia del Divino che lì soggiace. Ora che sto a Bologna studio come studiando rendere omaggio a Dio. Per contattare l'autore: fr.giuseppe@osservatoredomenicano.it