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Ascoltare in silenzio

Una delle cose più belle scoperte nella vita religiosa è che gli altri spesso sono la più grande fonte di meraviglia. Le persone che ci circondano infatti cercano la verità e la felicità proprio come noi e, nel farlo, imboccano vie che, in molti casi, mai ci saremmo sognati di tentare. Questo è particolarmente evidente nella lettura, dato che la moderna vastità del sapere rende difficile per due individui ricercare la sapienza attraverso vie del tutto identiche.

Proprio in virtù di questa consapevolezza, quando circa tre mesi fa un mio stimato professore mi ha consigliato un testo, ho deciso di leggerlo ignorando quanto, sotto molti aspetti, fosse lontano dai miei consueti interessi. Si trattava di uno snello volumetto dall’evocativo titolo La solitudine dell’anima1, scritto nel 2011 dal professor Eugenio Borgna, psichiatra e docente in Clinica delle malattie nervose e mentali all’Università di Milano.

Il testo si presenta come un saggio pensato non per fornire una trattazione specialistica sull’argomento, ma per analizzarlo alla luce di un’esperienza professionale arricchita dal bagaglio umano e sapienziale dell’autore. Il risultato è una profonda riflessione sul tema che si dimostra in grado di spaziare, liberamente ed organicamente, da considerazioni più prettamente mediche a meditazioni costruite attorno alla letteratura ed all’esperienza spirituale.

Struttura dell’opera

Il testo sembra evitare volontariamente una suddivisione interna troppo rigida, forse per riflettere la natura anche intima della riflessione. Tuttavia, è evidente come la solitudine sia considerata sotto due suoi aspetti primari: uno positivo, identificato con la sana vita interiore, ed uno negativo legato al concetto di isolamento.

Nonostante il suo ambito professionale, l’autore sceglie, come terreno comune alle due accezioni del termine, la letteratura: proponendo una molteplicità di citazioni ed una conoscenza profonda dei testi medesimi, Borgna individua in questa forma d’arte una fertile manifestazione sia delle esperienze d’isolamento sia della sana introspezione. Allo stesso tempo, sembra voler esprimere un legame ancor più profondo fra questi due aspetti della relazionalità, del quale la letteratura sarebbe una sorta di splendido frutto. Si tratta del silenzio, strumento e figlio di entrambi i tipi di solitudine e, in ambo i casi, indicante un’individualità ripiegata su se stessa.

Allo stesso tempo, la solitudine salutare viene esplicata, nella sua specifica pregnanza, attraverso il ricorso a testi della spiritualità e della mistica cristiana; d’altra parte, l’isolamento viene invece trattato, con estrema chiarezza, in ambito psichiatrico. L’intero schema espositivo finisce per evidenziare come il silenzio, condizione necessaria di allontanamento dagli altri avente lo scopo di approfondire la propria vita interiore, perde la propria carica positiva nel momento in cui non si fa strumento di rinnovamento della relazione stessa.

Un sussurro nel silenzio

Quest’ultimo elemento è quello che, a mio parere, più di tutti merita un approfondimento. Se prendiamo come estremi la chiassosa relazionalità, tipica della vita contemporanea, e l’isolamento patologico, che perde i contatti con il mondo stesso, vediamo che il silenzio interiore, specie quello cristiano, si pone come giusto mezzo. Da un lato infatti cerca una propria dimensione temporale e spaziale, nella quale sottrarre il proprio io dal costante riferimento agli altri; la vita interiore, e quindi il suo silenzio, si presentano allora come la possibilità di conoscersi non solo nello sguardo del prossimo, ma anche e soprattutto nella schietta e pacata comprensione dei propri moti interiori. Dall’altro l’individuo, arricchito dal silenzio, diviene realmente capace di comprendere il prossimo, di accostarsi empaticamente a lui sfiorandone, pur delicatamente, l’intimità.

Questa solitudine introspettiva, unta nel silenzio costruttivo dell’intimo, consente all’individuo di volgersi all’altro con la consapevolezza sia della sua alterità sia di quei percorsi interiori che, comuni o meno, sono ora meno incomprensibili.

Se un simile arricchimento è possibile a prescindere dalla fede religiosa, è chiaro che il cristiano possiede, potenzialmente, una marcia in più. Il suo scendere nel silenzio della conoscenza di sé non si limita infatti ad una profonda autoanalisi, ma diviene scoperta consapevole di quel Dio del quale è immagine. Nel silenzioso stare con se stesso, il credente finisce con l’udire non solo le proprie correnti, ma anche il sussurro del Signore, più intimo a lui di se stesso. Ecco che quindi, al suo risorgere al mondo, egli non porterà solo la propria ritrovata sensibilità, ma anche la consapevolezza di quell’Amore nel quale vive ed esiste.

Eugenio Borgna, La solitudine dell’anima, Feltrinelli Editore, Milano 2020, p. 208, Euro 9,50.


1 Eugenio Borgna, La solitudine dell’anima, Feltrinelli Editore, Milano 2020.

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Quando il Signore mi venne a cercare, la mia mente vagava confusa nei caldi spazi dell’inedia, talmente carica di nulla da non poter portare altro con sé. Il mio corpo invece si preparava ad un indefinito inverno nella città di Ancona, gioiello del medio Adriatico (si fa per dire). Nella patria del pesce e del “mosciolo”, per un leggiadro scherzo della Provvidenza, sono nato quasi trentadue anni fa con una sentita inimicizia fra me e qualunque carne marina. La chiamata del Signore mi vide studente in storia ed appassionato consumatore di storie: racconti di tutti i tipi e narrati da aedi di tutte le arti. Ora che lo Spirito mi ha indirizzato nella famiglia di San Domenico ho posto questo mio nulla nelle mani della Vergine Maria e del caro Castigliano e chiedo loro quotidianamente di mostrarmi in ogni storia, vera o immaginaria, la traccia del Divino che lì soggiace. Ora che sto a Bologna studio come studiando rendere omaggio a Dio. Per contattare l'autore: fr.giuseppe@osservatoredomenicano.it