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Simbolo. Le costanti del sacro fa parte di un’opera omnia corposissima (12 volumi in 19 tomi), il cui autore è il cardinale belga Julien Ries, considerato il più importante studioso cattolico di antropologia e storia delle religioni. In questo saggio, Ries affronta il tema del simbolo e presenta l’emersione del pensiero simbolico nella storia dell’umanità come elemento chiave per comprendere l’approccio dell’uomo al sacro.

Homo symbolicus

Il simbolo è visto da Ries come una sorta di identificativo dell’uomo. La capacità simbolica è un elemento fondamentale dal punto di vista culturale e religioso. L’uomo che guarda il cielo, di fronte a tanta immensa meraviglia, non può fare a meno di cogliere il suo essere e l’esserci in qualcosa che lo trascende e lo supera: «È a partire da questa scoperta del significato religioso della volta celeste che l’uomo arcaico ha compiuto una prima esperienza religiosa. L’uomo ha preso coscienza della sua situazione e della sua posizione nell’Universo»1.

Per questo motivo all’homo habilis e all’homo sapiens è sovrapponibile l’homo religiosus, ossia l’uomo «in quanto soggetto dell’esperienza del sacro». È giusto precisare che il concetto di homo religiosus si deve all’ingegno di Mircea Eliade, il quale sostiene che l’uomo è naturalmente religioso. Eliade parla del sacro come «un elemento della struttura della coscienza e non un momento della storia della coscienza»2. Alla luce di ciò, ecco che è possibile pensare ad una sorta di predisposizione verso l’esperienza e l’approccio al sacro, che secondo Eliade e, con lui, secondo Ries «non attiene alla mera ‘trascendenza’ quanto alla stessa realtà materiale che, in forza della dimensione materiale di sapiens, è interpretata e vissuta alla luce di ciò che nella materia e, attraverso quest’ultima si manifesta»3.

La Rivelazione è (anche) simbolica

Credo, dunque che si possa affermare che la rivelazione naturale si presenta, in quanto tale, come simbolica, sin dall’inizio fino al suo culmine, con la rivelazione cristiana. Il volume, infatti, presenta i vari elementi che, a partire da una percezione incipiente, arrivano alla pienezza. I saggi contenuti in questo volume, infatti, presentano sia la fase sorgiva della struttura simbolica, sia il suo sviluppo, dalle pitture murali del Paleolitico, alla grande svolta dell’homo habilis, il quale, in forza della sua stazione verticale, non solo inizia a forgiare strumenti, ma soprattutto, a guardare il cielo e aprire la sua mente e il suo cuore al mistero del sacro che, al contempo lo attrae e lo spaventa, come ha icasticamente rappresentato il tremendum et fascinans (tremendo a affascinante) formulato da Rudolf Otto. Un paradigma di questo è il segno della croce, presente molto prima del cristianesimo e che Ries (insieme ad altri segni, come la luce, il pellegrinaggio, l’albero) esamina fin dalle sue prime manifestazioni fino alla rivelazione cristiana che, in un certo senso li ha portati a compimento con l’arte sacra, le icone, e la liturgia.

L’elaborazione simbolica accompagna l’umanità fin da allora e, in particolare nei culti e nell’atteggiamento nei confronti di un altro grande mistero, quello della morte, mostra la presa di una coscienza di sé e del mondo. In particolare, fra i molti esempi possibili, potremmo citare l’evoluzione dei riti legati alla sepoltura. Gli studi sembrano attestare la relazione tra la modalità della sepoltura dei defunti con le credenze di una vita nell’aldilà. In questo senso si possono leggere i segni e gli oggetti, anch’essi rivestiti di una valenza simbolica, che venivano posti sui corpi dei defunti, come per accompagnarli nell’altra vita.

I due poli simbolici sono, in questo senso, il cielo e la terra. Il cielo viene ben presto colto come simbolo della fissità, dell’immutabilità, dell’eternità, la terra come il luogo e lo scenario in cui si dipana la vicenda umana. Ecco che, in questa foresta di simboli che è il Creato, l’uomo scopre la Trascendenza. Con tutto ciò, però «L’uomo antico ha scoperto la trascendenza non mediante un’operazione razionale, ma tramite l’impiego della propria immaginazione, cioè, della facoltà di simbolizzazione […] Il simbolismo della volta celeste ha fatto vivere all’uomo antico la prima esperienza del sacro»4. Secondo Julien Ries, Otto ha colto nel sacro «un principio vivente che costituisce la parte più intima di tutte le religion5.

L’uomo antico e quello di oggi

In fondo l’uomo antico non è così tanto dissimile da quello contemporaneo. Per quanto questi possa essere occupato con filosofie dal fiato corto, sempre più lontano dalla fede, e inesorabilmente sconfitto nel confronto con la scienza e la tecnica, alla fine si ritrova a cercare, perfino in maniera incosciente o disordinata, sovente con un forte individualismo, una relazione con il sacro e con l’esperienza del trascendente. Questo, in qualche modo, può diventare una sorta di ricerca di ritorno all’origine stessa di quello spirito umano che, anche non volendo accettarlo, non può fare a meno di cogliere il suo non potere bastare a se stesso.

Simbolo, rito e mito

L’altro elemento che viene messo in evidenza dal sottotitolo dell’opera è quello legato alle costanti del sacro. Con questa espressione si intende indicare la triade che Ries, sulla base del geniale lavoro di Eliade, identifica in: simbolo, rito e mito. La manifestazione del sacro accidentalmente può assumere forme e modalità diverse ma sostanzialmente fa riferimento al medesimo tipo di esperienza: ossia quello della relazione con il trascendente che si presenta a suo modo come ilemorfica, ossia basata sull’unione di un elemento naturale (può essere la volta celeste trapunta di stelle, un monte, un fiume, un albero, ma anche solo l’alternarsi del giorno e della notte e delle stagioni) e di un elemento invisibile che, appunto, viene colto e percepito come presente in forza del segno visibile. Eliade sostiene che queste costanti del sacro, ossia simbolo, rito e mito «possono rivelarci la condizione umana in quanto modalità di esperienza specifica dell’universo»6.

Eliade insiste sull’importanza della credenza su un piano soprannaturale che, in qualche modo, interagisce con quello naturale. Lo studioso romeno è molto attento ad evitare ogni possibile confusione quando afferma che «La pietra sacra, l’albero sacro non sono adorati in quanto tali; lo sono, invece, proprio per il fatto che sono ierofanie (ossia manifestazioni del sacro n.d.a.), perché “mostrano” qualcosa che non è più né pietra né albero, ma il sacro, il ganz andere7. Non si insisterà mai abbastanza sul paradosso costituito da qualsiasi ierofania, anche la più elementare. Nella manifestazione del sacro, un oggetto qualsiasi diventa un’altra cosa, senza cessare di essere sé stesso, in quanto continua a far parte del proprio ambiente cosmico che lo circonda»8.

J. Ries, Simbolo. Le costanti del sacro (tr. Riccardo Nanini), Jaca Book, Milano, 2020, Euro 35.


1 J. Ries, Alla ricerca di Dio, la via dell’antropologia religiosa, Jaca Book, Milano 2009, p. 6.

2 J. Ries, Simbolo, Le costanti del sacro (tr. Riccardo Nanini), Jaca Book, Milano 2020, p. XIX.

3 Davide Navarria, Mircea Eliade e Julien Ries: Simbolo, mito e rito dall’ermeneutica integrale all’antropologia religiosa, in Rivista di Filosofia Neo-Scolastica, vol. 108, no. 1, 2016, pp. 157–179.

4 J. Ries, Simbolo, p. 146.

5 J. Ries, Il sacro nella storia religiosa dell’umanità (tr. F. Marano), Jaca Book, Milano 1982, p. 61.

6 J. Ries, Simbolo, p. 189.

7 Per ganz andere, espressione che si deve allo studioso Rudolf Otto e formulata nella sua fondamentale opera Il sacro, si intende il “totalmente altro”. L’uomo, in qualche modo, nel visibile e nel materiale sperimenta anche la presenza di un elemento invisibile, ma non per questo meno concreto, che: «nella sua infinità è, per definizione “Il tutt’altro” (das ganz andere) dove ciò che conta non è solo l’alterità (Altro), ma anche l’infinita differenza qualitativa (Totalmente altro). Di fronte a essa l’uomo si sente “pulvis et cinis” (polvere e cenere)». Flavio Minoli, Il sacro o la mostrazione del non-visibile, Divus Thomas 111, no. 3 (2008): 173-92. Consultato il 29/04/2021 http://www.jstor.org/stable/45075193.

8 Mircea Eliade, Il Sacro e il profano (tr. E. Fadini), Bollati Boringhieri, Torino 2018, p. 15.

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Frate domenicano, appassionato di San Tommaso e San Paolo e di troppe altre cose. Serio ma non troppo. Mi piacciono i libri, i gatti e imparare da quelli che sanno più di me. Per contattare l'autore: fr.giovanni@osservatoredomenicano.it