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Una vita in poche pagine

[…] Poveri disgraziati quelli che non hanno una Fede: vivere senza una Fede senza un patrimonio da difendere, senza sostenere in una lotta continua la Verità, non è vivere ma vivacchiare. Noi non dobbiamo mai vivacchiare ma vivere perché anche attraverso ogni disillusione dobbiamo ricordarci che siamo gli unici che possediamo la Verità, […]1.

Il testo appena riportato è stato scritto dal beato Pier Giorgio Frassati in una lettera appena 5 mesi prima di morire. Ho deciso di condividerlo con voi perché, caso non comune nelle discipline storico-biografiche, penso riassuma bene l’esempio di santità che il piemontese ci ha lasciato.

Per chi non conoscesse questa affascinate figura, il beato Pier Giorgio Frassati nacque a Torino il 6 aprile del 1901 da Alfredo Frassati, allora proprietario del quotidiano “La Stampa”, e sua moglie Adelaide Ametis. Pier Giorgio crebbe in un ambiente che, pur se fondamentalmente sereno, non appare come la migliore premessa alle azioni che poi lo caratterizzeranno: ricco di famiglia, ricevette dai genitori un’educazione cristiana perlomeno tiepida. Fu quindi in buona parte personale la crescita spirituale che visse a partire dai primissimi anni della ragione: non solo sviluppò una solida vita di preghiera e di militanza nelle associazioni cattoliche giovanili dell’epoca, ma fece dell’assistenza ai poveri la quasi unica destinazione delle risorse passategli dalla famiglia.
La sua intensa vita politica e spirituale era accompagnata dagli studi universitari in ingegneria mineraria, che condusse con il massimo impegno fino alla fine della sua vita. Il 4 agosto del 1922 Pier Giorgio entra, dopo un congruo tempo di riflessione e preparazione, nel Terz’Ordine Domenicano con il nome di fra Gerolamo, in onore del Savonarola. Mentre si preparava, terminati gli studi, a trasporre il suo peculiare stile di vita nel mondo del lavoro, Pier Giorgio, appena ventiquattrenne, morì di poliomielite nell’arco di una settimana; era il 4 luglio del 19252.

Un fuoco da campo

Spesso la giovinezza viene paragonata ad un fuoco: l’immagine evoca senza dubbio l’esuberanza, spesso pagata a prezzo di una temibile distruttività a carico della persona. Anche dalla breve biografia che vi ho proposto è chiaro che Pier Giorgio non si pose mai al di fuori di questa definizione: egli visse la sua breve vita con una grande carica d’entusiasmo. La passione con la quale affrontava le sue iniziative e l’esuberanza con cui ne abbracciava di nuove non possono che confermare questa impressione, delineando il ritratto di un ragazzo sotto molti aspetti comune. Ad una lettura più attenta della sua biografia si potrebbe restare sorpresi per le forme di attivismo sociale e politico che questa gioventù prese; bisogna tuttavia ricordare che la stessa natura ardentemente prevedibile della sua età riceve differenti declinazioni a seconda dell’epoca e della cultura ove viene vissuta. Pier Giorgio quindi visse i suoi anni ardendo nei fermenti del primo ventennio del ‘900 italiano, illuminandoli semplicemente alla luce della sua passione per la Chiesa e per Cristo.

La fede per lui non era solo lo sfondo ideologico del suo agire politico e sociale, bensì lo spirito che ne vivificava gli atti. La profonda spiritualità di Pier Giorgio, vissuta all’interno di una coerente integrazione con i tempi della sua vita da laico, fu in grado di spogliare l’esuberanza giovanile ridonandole quei caratteri di ardente splendore che troppo spesso si perdono nel caos delle scelte.

Il coraggio di essere guardato

Non a caso, quando divenne Terziario Domenicano, scelse di prendere il nome di fra Girolamo Savonarola, ardente predicatore e protagonista della vita politica della Firenze del XV secolo. Proprio come questo esuberante personaggio, Pier Giorgio diede vita ad un felice connubio fra una fede tanto forte quanto sana ed un’attenzione politica non priva di coraggio. Questa radicalità, di cui in questa sede non posso riportare episodi concreti, la potete ritrovare nel brano citato in apertura: legge cioè la Verità di Cristo come uno splendido sprone a ricercare coraggiosamente quel Bene e quella Giustizia che il mondo brama ma che spesso esita a realizzare.

È proprio questa capacità del Vangelo di mostrare il cammino del creato che ne rende la diffusione non solo fondamentale ma addirittura impellente. Interpretando con pienezza e senza compromessi il carisma di san Domenico, Pier Giorgio, da buon terziario, fece di ogni atto della sua vita un’immagine dell’armonia che Cristo aveva composto nel suo cuore. Le fonti riportano, a questo proposito, la sorpresa degli stessi Padri Domenicani nel vedere il giovane recitare ad alta voce e per strada l’Ufficio della Vergine Maria, la cui recita era prevista dalla Regola dei Terziari3. La “predicazione” di Pier Giorgio si nutriva di un’evidenza incapace di passare inosservata e frutto di un coraggio che se pur si trovava radicato nel suo carattere, aveva acquisito stabilità in una fede incapace di rimanere sterile.

Il profondo legame fra le azioni e lo stile di Pier Giorgio ed il periodo storico in cui visse, già evidenziate, non devono portarci a limitare la spendibilità del suo modello di vita. Frassati infatti grida ai giovani, ma anche a noi che forse esitiamo a definirci tali, che quello spirito dei tempi tanto spesso e tanto giustamente da temere, nelle sue forme più radicali, diviene via di santità quando purificato alla luce del Vangelo, che in tal modo ne diviene inizio e compimento.


1 Cfr. Pier Giorgio Frassati (fra Gerolamo in calce), Lettera a Isidoro Bonini del 27 febbraio 1925, in R. Spiazzi (a cura di), Beato Pier Giorgio Frassati terziario domenicano, ESD, Bologna 1991.

2 Per questi dati biografici cfr. R. Spiazzi, Beato Pier Giorgio Frassati (ed. cit.), pp. 13-17.

3 Cfr. R. Spiazzi, Beato Pier Giorgio Frassati (ed. cit.), p. 105.

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Quando il Signore mi venne a cercare, la mia mente vagava confusa nei caldi spazi dell’inedia, talmente carica di nulla da non poter portare altro con sé. Il mio corpo invece si preparava ad un indefinito inverno nella città di Ancona, gioiello del medio Adriatico (si fa per dire). Nella patria del pesce e del “mosciolo”, per un leggiadro scherzo della Provvidenza, sono nato quasi trentadue anni fa con una sentita inimicizia fra me e qualunque carne marina. La chiamata del Signore mi vide studente in storia ed appassionato consumatore di storie: racconti di tutti i tipi e narrati da aedi di tutte le arti. Ora che lo Spirito mi ha indirizzato nella famiglia di San Domenico ho posto questo mio nulla nelle mani della Vergine Maria e del caro Castigliano e chiedo loro quotidianamente di mostrarmi in ogni storia, vera o immaginaria, la traccia del Divino che lì soggiace. Ora che sto a Bologna studio come studiando rendere omaggio a Dio. Per contattare l'autore: fr.giuseppe@osservatoredomenicano.it