Prima di iniziare la lettura vi invito a considerare con attenzione il semplice titolo di questo scritto. Cosa non intende fornire questo testo? Un «metodo» per la Lectio Divina. Certo, oltre al dato della fede per approcciare il testo biblico è necessaria una metodologia1 e sono numerosi a questo scopo i riferimenti disponibili2, ma tra la fede e la metodologia si colloca un gradino quanto mai rilevante: quello della consapevolezza di ciò che si sta leggendo.
La Lectio Divina, ossia la lettura orante della Sacra Scrittura, è anzitutto pervasa dall’azione dello Spirito Santo che vivifica la Parola di Dio – per questo è Parola vivente – e la rende Vita nella vita donataci. La fede dunque è – per così dire – l’unico habitat in cui si può svolgere la Lectio Divina. Precisato questo dato, imprescindibile, nel momento in cui si approccia il testo sacro occorre essere consapevoli di alcuni aspetti che verranno enumerati di seguito.
Il primo elemento è quello dell’unità della Scrittura. Anche se, sulla linea della tradizione patristica poi monastica, è consuetudine suddividere l’approccio al testo sacro in quattro o più momenti, in particolare, i più noti: lectio, meditatio, oratio e contemplatio (ovvero: lettura, meditazione, preghiera e contemplazione), non bisogna dimenticare che queste sono “categorie” occorrenti a noi, ex parte hominum, dal punto di vista degli uomini, soprattutto sotto il profilo metodologico. Effettivamente, come ricorda Guigo II, il certosino, nella sua celeberrima Scala Claustrialium (documento mirabile, facilmente reperibile, proprio sul tema della Lectio Divina): «La lettura senza la meditazione è arida, la meditazione senza la lettura (è) soggetta ad errore, la preghiera senza la preghiera (è) tiepida, la meditazione senza la preghiera (è) priva di frutti. La preghiera permette di raggiungere la contemplazione. Il raggiungimento della contemplazione senza la preghiera è raro o miracoloso»3. Ex parte Dei, secondo la prospettiva divina, però, assumendo uno sguardo anagogico, tutto converge in un solo punto: Cristo. Non c’è frammentazione alcuna, c’è l’assoluta unità del testo sacro. Magnifiche a tal proposito sono le parole di Ugo di San Vittore (1096-1141): «Tutta la Scrittura costituisce un solo Libro e questo unico libro è Cristo: infatti tutta la Scrittura parla di Cristo e trova in Cristo la sua pienezza»4. Ancor più sinteticamente Dei Verbum, così si esprime: «Cristo […] è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la rivelazione»5.
A questo proposito basti pensare a come già l’esegesi patristica, mediante l’uso della tipologia e dell’allegoria, chiarissimamente comprese che per via dell’unità del disegno eterno divino la chiave di tutta la Scrittura è soltanto Gesù, il Cristo, l’Agnello senza macchia immolato sin dalla fondazione del mondo6: a tal proposito è da menzionare un passo del Catechismo della Chiesa Cattolica: «La Chiesa, fin dai tempi apostolici, e poi costantemente nella sua Tradizione, ha messo in luce l’unità del piano divino nei due Testamenti grazie alla tipologia. Questa nelle opere di Dio dell’Antico Testamento ravvisa prefigurazioni di ciò che Dio, nella pienezza dei tempi, ha compiuto nella Persona del suo Figlio incarnato»7.
Un secondo elemento riguarda la Tradizione della Chiesa. Nessuno è autorizzato ad interpretare personalmente la Scrittura, essa non è soggetta a private spiegazioni. Questo è un punto di divergenza notevolissimo con i protestanti, i quali, sulla linea della sola Scriptura, rifiutano la fonte dogmatica della Tradizione. Già il Concilio di Trento (1545-1563), contrastando l’eresia luterana, si espresse lapidariamente sul punto: «Per reprimere gli ingegni troppo saccenti, (il Concilio, ndr) dichiara che nessuno, basandosi sulla propria saggezza, negli argomenti di fede e di costumi, che riguardano la dottrina cristiana, piegando la sacra Scrittura secondo i propri modi di vedere, osi interpretarla contro il senso che ha (sempre) ritenuto e ritiene la santa madre Chiesa, alla quale spetta di giudicare del vero senso e dell’interpretazione delle sacre scritture o anche contro l’unanime consenso dei padri, anche se queste interpretazioni non dovessero esser mai pubblicate»8. Non senza superficialità e avventatezza si potrebbe obiettare: oggi siamo nel ventunesimo secolo, il Concilio si svolse nel sedicesimo…A questa obiezione si può rispondere che nulla è cambiato, la posizione della Chiesa sul tema dell’interpretazione della Sacra Scrittura è rimasta tale e quale, immutata. La straordinaria eloquenza di Dei Verbum accorre nuovamente a nostro sostegno: «La Sacra Tradizione e la sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della parola di Dio affidato alla Chiesa […] L’ufficio di interpretare autenticamente la parola di Dio scritta o trasmessa è affidato al solo magistero vivo della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo. Il quale magistero però non è superiore alla parola di Dio ma ad essa serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato, e con l’assistenza dello Spirito Santo, piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone questa parola e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone a credere come rivelato da Dio»9. La Sacra Scrittura dunque non può essere letta autenticamente in nessun altro solco che non sia quello della Tradizione vivente della Chiesa.
La piena e radicata consapevolezza della profondissima interconnessione tra sacra Tradizione, Sacra Scrittura e magistero della Chiesa, a tal punto che non è data la sussistenza di uno di questi pilastri senza l’altro, e l’azione di un solo Spirito Santo, è indispensabile per un approccio cattolico al testo sacro.
Un terzo elemento è rappresentato poi dalla dottrina dell’ispirazione. È questo un aspetto molto delicato: tra gli altri, uno dei possibili risvolti più pericolosi di una mal comprensione della nozione di ispirazione è una lettura fondamentalista della Sacra Scrittura, ossia acritica e astorica. Le parole a questo proposito acquisiscono un peso capitale, bisogna dunque essere molto precisi. Ispirazione non significa dettatura. Per intendere tale aspetto, sebbene in termini molto poco tecnici ma ugualmente esplicativi, si può tenere a mente ed interiorizzare questa locuzione a proposito della Bibbia: Parola di Dio in parole umane. Un buon modello di ispirazione deve valorizzare l’azione dello Spirito non come alternativa all’azione umana, ma concomitante a quest’ultima. Partendo dal punto fermo che Dio è l’autore della Scrittura, occorre da un lato affermare tale primato, dall’altro però non svalorizzare, se non annullare, il contributo umano.
In questo senso è da citare nuovamente Dei Verbum: «[…] Tutti interi i libri sia del Vecchio che del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perché scritti per ispirazione dello Spirito Santo (cfr. Gv 20,31; 2 Tm 3,16); hanno Dio per autore e come tali sono stati consegnati alla Chiesa. Per la composizione dei libri sacri, Dio scelse e si servì di uomini nel possesso delle loro facoltà e capacità, affinché, agendo egli in essi e per loro mezzo [19], scrivessero come veri autori, tutte e soltanto quelle cose che egli voleva fossero scritte»10. Di qui la rilevanza, nell’atto dell’interpretazione, del genere letterario, ossia di tutti quegli aspetti storici, culturali, linguistici che influenzarono l’autore sacro nell’atto della scrittura senza che venga assolutamente meno «la verità che Dio, per la nostra salvezza, volle fosse consegnata nelle sacre Scritture»11.
Con grande puntualità si è espressa la Pontificia Commissione Biblica, a proposito dei pericoli di una lettura fondamentalista della Scrittura: «La lettura fondamentalista […] rifiutando di tener conto del carattere storico della rivelazione biblica, si rende incapace di accettare pienamente la verità della stessa Incarnazione. Il fondamentalismo evita la stretta relazione del divino e dell’umano nei rapporti con Dio. Rifiuta di ammettere che la Parola di Dio ispirata è stata espressa in linguaggio umano ed è stata redatta, sotto l’ispirazione divina, da autori umani le cui capacità e risorse erano limitate. Per questa ragione, tende a trattare il testo biblico come se fosse stato dettato parola per parola dallo Spirito e non arriva a riconoscere che la Parola di Dio è stata formulata in un linguaggio e una fraseologia condizionati da una determinata epoca»12.
Il fulcro risiede allora in una distorta concezione di ispirazione, confusa per dettatura, e di inerranza (immunità da ogni errore) non già quanto al dato rivelato, per cui vale assolutamente l’inerranza13, bensì rispetto alla pretesa inerranza di fatti storici e verità scientifiche riportate nella Bibbia. Aspetti quest’ultimi che, al contrario, debbono necessariamente essere contestualizzati storicamente e culturalmente rispetto all’epoca in cui l’autore sacro visse e operò.
Un quarto elemento riguarda l’analogia fidei, l’analogia della fede, ossia la coerenza della fede. A questo proposito sottolineo soltanto che con questa espressione è da intendersi la piena coesione delle verità di fede tra loro e rispetto al disegno complessivo della Rivelazione. Non ci sono verità a compartimenti stagni ma tutto va sempre inquadrato nell’unitario piano salvifico divino che vede il proprio unico e definitivo fulcro in Cristo. Dio non può contraddirsi, dunque nella Sacra Scrittura con cui Dio si rivela all’uomo se si presentassero dei passi esprimenti verità che paiono disarmoniche o contraddittorie non è già per la presenza di più verità ma è il nostro modo di comprendere che, sotto la guida dello Spirito Santo, della Tradizione e del Magistero, è chiamato a cogliere un’unità di insegnamento nella Scrittura.
Un quinto ed ultimo elemento è la centralità del primo approccio interpretativo del testo sacro, quello letterale. Si badi bene, non si tratta di esaltare la lettera per demolire il dato spirituale, bensì di intraprendere una via sicura che, alla luce degli elementi sin d’ora trattati, non conduca a svolazzi spiritualistici con cui ciascuno fa dire alla Bibbia ciò che più lo aggrada, a seconda del momento che sta vivendo. Anche qui, come acutamente rileva la Pontificia Commissione Biblica, il termine letterale non è da confondere con letteralistico14 (approccio proprio dei fondamentalisti). Il senso letterale che si affianca, nell’ermeneutica biblica classica, a quello spirituale (nelle sue varie declinazioni: morale, allegorico e anagogico), può essere paragonato ad una porta da cui si deve passare, pena una comprensione distorta del testo biblico. Il senso letterale si distingue dall’analisi letteralistica poiché non è uno studio parola per parola estrapolata dal testo (questo andrebbe bene, fino ad un certo punto, sul piano filologico) ma «un’analisi precisa del testo, situato nel suo contesto letterale e storico»15. Questo, in altri termini, significa che: «è necessario respingere come inautentica ogni interpretazione che fosse eterogenea rispetto al senso espresso dagli autori umani (ispirati, ndr) nel testo scritto. Ammettere dei significati eterogenei equivarrebbe a togliere al messaggio biblico le sue radici, che sono la Parola di Dio comunicata storicamente». Questo del resto è il compito precipuo dell’esegesi»16.
Gli elementi sopra analizzati, del resto, sono anche quei cardini che il Concilio Ecumenico Vaticano II ha fortemente sostenuto e dichiarato come punti fermi che debbono fondare ogni approccio con la Sacra Scrittura. Non v’è dubbio che questa trattazione sia piuttosto arida quanto a tutti quegli elementi più spirituali – che animano la Lectio Divina –, in quanto scaturenti dall’azione dello Spirito che ha ispirato l’autore ma guida anche il lettore. Tuttavia, credo che non possa esserci un approccio spirituale intimistico e individualistico, extra-ecclesiale, ma chi legge e medita la Sacra Scrittura lo fa sempre nella Chiesa e con la Chiesa e non può prescindere da essa, quindi dal suo insegnamento. Naturalmente il dato primo, come già evidenziato, è quello della fede, al di fuori del quale ogni aspetto di questo discorso cadrebbe; a seguire però non possono essere soprasseduti taluni aspetti, quelli qui elencati, ribaditi a più riprese dalla Chiesa e dei quali è opportuno essere consapevoli prima di approcciare il testo biblico. Con ciò non si nega certamente che la Parola di Dio per opera dello Spirito Santo operi una trasformazione cristomimetica nel cuore aperto dell’uomo, anzi, questo è un dato inequivocabile, piuttosto, si sottolinea il rischio che può comportare un approccio soggettivista e sregolato al testo sacro da parte del singolo.
1 Parlando di metodo per la Lectio Divina non intendo affatto operare un riduzionismo o schematizzazione del rapporto e dell’incontro dell’uomo con Dio in Cristo che si realizza con il Libro di vita, la Sacra Scrittura, e con il Pane di vita, il corpo di Cristo. Piuttosto, parlando di metodo, vorrei rimarcare che la Lectio Divina richiede una pratica costante, ordinata, una disposizione interiore idonea, un atteggiamento di ascolto, una lettura calma e gustosa della Parola, tempo e dedizione, apertura al dialogo, docilità e dilatazione del cuore e desiderio vero, profondo, che questa Parola si incarni nella vita che quotidianamente ci viene donata e fruttifichi in operosa carità. Metodo dunque come passi che nella docilità rendono più feconda l’azione dello Spirito di Dio in noi, il quale anima il testo biblico e guida noi che lo scrutiamo e assaporiamo.
2 Suggerisco a questo proposito solo alcuni tra i testi/documenti di riferimento, che si presentano come porte di ingresso ad ogni ulteriore approfondimento: Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 101-141; Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica Dei Verbum, 18 novembre 1965; Benedetto XVI, Esortazione apostolica post-sinodale Verbum Domini, 30 settembre 2010; Pontificia Commissione Biblica, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, 15 aprile 1993 e Pontificia Commissione Biblica, Ispirazione e verità della Sacra Scrittura, 22 febbraio 2014. Per un’ulteriore lettura, meno tecnica, suggerirei: Giovanni Dutto, Lectio Divina, Effatà Editrice, Roma, 2016; Mario Masini, La Lectio Divina – teologia, spiritualità, metodo. Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 1996.
3 Guigo II, il certosino, Lettera sulla vita contemplativa (o Scala claustralium o Scala Paradisii), in: Un itinerario di contemplazione: antologia di autori certosini, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1985, pag. 31, cap. XIV.
4 Ugo di San Vittore, De Arca Noe, 2, 8: PL 176, 642.
5 Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Dei Verbum, n. 2.
6 Cf. I Pt 1, 18-20.
7 Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 128.
8 Concilio di Trento, sessione IV, 8 aprile 1546, primo decreto. In: http://www.documentacatholicaomnia.eu/03d/1545-1563-,_Concilium_Tridentinum,_Canones_et_Decreta_(Testo_divulgativo),_IT.pdf (consultato il 23-2-22).
9 Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Dei Verbum, n. 10.
10 Ivi, n. 11.
11 Ibidem.
12 Pontificia Commissione Biblica, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2014, sez. I, F), pag. 63 ss.
13 Cf. su questo punto, Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 107: «Poiché dunque tutto ciò che gli autori ispirati o agiografi asseriscono è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo, si deve dichiarare, per conseguenza, che i libri della Scrittura insegnano fermamente, fedelmente e senza errore la verità che Dio per la nostra salvezza volle fosse consegnata nelle Sacre Lettere».
14 Pontificia Commissione Biblica, op. cit., sez. II, B), § 1, pag. 71.
15 Ivi, pag. 72.
16 Ivi, pag. 73.