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Pronto? Pronto! Hai mai pensato se il tuo pronto è una domanda o una affermazione? Se ci metti un secondo in più a pensarci è del tutto normale!

Gesù ha usato gli uccelli del cielo e i gigli del campo per insegnarci cos’è la Provvidenza (cfr. Mt 6,26-30). Nel contesto urbano in cui viviamo l’erba è sempre meno e raramente fissiamo lo sguardo al cielo. Ci rimane l’ampia selva oscura delle parole comuni, troppo consuete per essere davvero conosciute.

Nel lessico della contemporaneità tecnologica, il pronto è ormai consumato dalla distrazione del quotidiano. Essendo radicato nella convenzione del linguaggio telefonico, già da tempo l’abbiamo fatto nostro, piccoli e grandi, senza troppe domande.

Persino il modello più economico di cellulare permette di identificare subito il numero chiamante. Riconoscendone l’identità può individuarne la provenienza geografica. Memorizzare i numeri in rubrica ci salva spesso dal subire l’inevitabile sorpresa – bella o brutta che sia – di essere cercati da un ignoto.

È indubbiamente rassicurante poter attribuire una identità a qualsiasi interlocutore. Nonostante le presunte sicurezze personali, percepire il nostro pronto cadere nel vuoto dell’anonimo silenzio dall’altra parte della cornetta – magari di notte – non può non provocarci inquietudine.

Frequentiamo continuamente il virtuale mediante lo schermo dello smartphone o dell’iPhone. Senza saperlo, rischiamo di attentare a quella fantasia spicciola ma preziosa per farci cogliere aspetti inattesi del reale. Proviamo ad allenarla un po’.

Tentiamo di immaginare il pronto delle telefonate di ogni giorno. Figuriamocelo minuto e squillante, ansioso ma deciso. Pur credendo già di conoscerlo, non possiamo negare a nessuno una breve presentazione. Il curioso intervistato – col sottile orgoglio proprio ad ogni puntuale – non esita a vantare antiche origini: i suoi genitori sono il sostantivo latino pròmptus e il verbo pròmere, traducibili con trarre fuori, rendere visibile, preparare.

Lo interroghiamo sulla sua storia e il nostro pronto ci risponde sconsolato: sono rimasto solo. Prontamente spiegherebbe il perché. Nei tempi di gloria – più di un secolo fa – era soltanto l’ultima parola di una celebre frase italiana avente molte varianti ma recitante più o meno così, il collegamento è pronto.

Già, perché fino al 1970 per effettuare una telefonata la linea passava prima per un centralino. La generazione di chi scrive può appena immaginarlo per reminiscenza cinematografica: schiere di centraliniste alle prese con innumerevoli cavi da connettere consentendo le conversazioni di utenti sempre meno pazienti.

Il nostro pronto è dettagliato per natura e ci tiene a precisare: non si è occupato solamente di telefonia! Da secoli adora partecipare al richiamo familiare di chi invita a tavola perché la cena o il pranzo è pronto.

Una passione culinaria tale da meritargli l’onore più grande per la sua categoria: finire pronunciato dalla Parola delle parole, da Gesù Cristo proprio quel giorno in cui raccontò una delle parabole: «Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. All’ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati, “Venite, è pronto» (cfr. Lc 14,16-24). Un grande premio dal gusto amaro! Il racconto di Gesù non finiva bene. La festa era pronta, non gli invitati. Se il ritardo o il rifiuto seguono alla prontezza, trova spazio solo la tristezza.

Sinceramente chiediamoci, quando diciamo pronto ci riferiamo all’avvenuto collegamento telefonico o piuttosto dice – implicitamente – qualcosa di noi?

Forse sintetizza rapido quel ti ascolto, dimmi, ci sono, eccomi. Parole impegnative se dette coscientemente. Dicono l’urgenza di un esodo inevitabile verso l’altro: l’attenzione, la parola, l’ascolto richiestoci. Capita che vorremmo non essere disturbati, fare a meno di esserci. Quante volte certe telefonate interrompono il nostro studiare, lavorare o rilassarci?

Un saggio propose un paragone audace. Suggerì di intendere l’incontro con il prossimo come una festa. Sembrano le solite belle parole, lo so. La mente ha già individuato quei volti ostinatamente presenti nella vita di cui faremmo volentieri a meno. Eppure, in gioco vi è soltanto la gratuità del dono che sei. Perché?

Se ricordi, l’uomo della parabola «fece molti inviti». Non c’erano condizioni, nessuno doveva portare qualcosa, il nostro pronto aveva coronato tutti i preparativi. L’acquisto di un terreno, di dieci buoi, un affetto esclusivo hanno impedito la prontezza d’adesione alla festa. Troppo pronti a misurare i propri affari e affetti non erano pronti a corrispondere alla bontà gratuita dell’invito. L’occasione delle occasioni fu perduta. Non ci andarono e altri presero il loro posto.

L’intervistato speciale è appena fuggito. Ha lasciato su un foglietto un saluto frettoloso: scusatemi, una mia collega mi attende! Chi è questa donna, insolita amica della puntualità, del nostro pronto? È Maria, Vergine della prontezza1. L’unica ad accettare subito l’invito alla grande cena della parabola. Da quel giorno è la regina dell’eterna festa nel regno dei cieli. Riceverai chiamate banali, una di queste sarà per te decisiva! Pronuncia con Lei il tuo sì, eccomi, pronto!


1 https://it.zenit.org/articles/maria-non-si-fa-aspettare-e-la-vergine-della-prontezza/, consultato alle h. 17:45 del 13.11.2019.

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Sono fra Claudio Benvenuti, veneto per nascita ma di famiglia toscana e campana, sono venuto al mondo nella piccola Mestre nel febbraio del 1994. Diplomato all'Istituto d'Arte di Venezia, dopo qualche anno nel Seminario Patriarcale, ho incontrato il carisma domenicano e me ne sono innamorato. Professo semplice dal febbraio 2019, proseguo entusiasta lo studio della Teologia.