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Un bambino vero?

Ricordo un bambino che tante estati fa s’indignò per la prima volta. Se me ne chiedeste l’identità, vi direi che ero e al tempo stesso non ero io: mio era il cielo che guardavo e miei erano gli occhi alzati verso di esso, per cui sembrerebbe mia la vita quella di cui si parla. Eppure quel bimbo, in un certo senso, non è mai esistito, se non nei ricordi di un uomo. Quello che s’indignò non era completamente identico al miracolo che amò mia madre, eppure era a lui talmente simile da parlare degli stessi cieli, delle medesime nuvole. Spesso infatti dipingiamo degli splendidi ritratti del nostro passato, tratteggiati con pennellate grosse e nette, e lasciamo che siano questi simulacri a raccontarci ciò che eravamo. Povere memorie! Non sono bambini veri, ma parlano della verità con una tale passione e chiarezza che possono insegnare anche a chi è reale.

Fu proprio uno di loro ad indignarsi per la prima volta in una giornata di mare. Il cielo era talmente azzurro che, ad occhi liberi, non sembrava folle l’idea che qualcosa vi nuotasse; in fondo, cosa lo divideva dalle onde se non una mera illusione dello sguardo? Quel bambino vide pesci e mostri marini di ogni genere carezzare quelle acque leggere, le membra bianche e mutevoli tenute assieme da una forma che viveva di puro movimento. Ai suoi occhi ricca era la fauna del cielo e quelle nuvole vivevano e morivano dello stesso mistero che il mare sempre dona alla vita.

Ricordo la voce fiera con la quale comunicava al centro di ogni cosa le sue scoperte, quasi che la sua dolce madre fosse la somma di ogni parere di cui il mondo avesse bisogno. Era felice, contento di sé e della propria audacia nell’aver scoperto quelle bizzarre creature che nuotavano in cielo, tanto che la sommarietà con cui quella dolce voce rispose lo lasciò perplesso ed un po’ irritato: per quanto palese potesse essere, un mondo scoperto non poteva certo diventare una cosa da poco!

Il bimbo decise di cambiare bersaglio e si rivolse verso il suo migliore e primo amico, una schietta risata sotto un casco rosso e riccio: lui avrebbe sicuramente capito. Ma fu proprio la sua risposta ad indignarlo: come poteva nel blu vedere un prato e nei maestosi leviatani scorgere leoni?

Sguardi e sorrisi

L’uomo sa bene cosa il bambino vide e comprende la futilità di quella prima indignazione; ciò che forse gli sfugge è invece la causa reale della stessa, ossia il dolore che si prova quando non si riesce a comunicare qualcosa di bello. La bellezza in qualche modo pretende d’essere riconosciuta, non tanto allo scopo di trovare una conferma, quanto per poter riverberare il suo splendore anche negli occhi di un altro. Non si spegne né diminuisce se condivisa, ma anzi viene arricchita da ogni sguardo che la vive, come fossero diverse facce di uno stesso diamante.

Le nuvole che quel bimbo contemplava avevano una bellezza loro propria ed il fatto che altri occhi non riuscissero a goderne non la rendeva più esclusiva, bensì trasformava quegli sguardi in insulti, quasi dei sacrilegi. Il piccolo ne ebbe una coscienza istintiva, sommaria ma potente, ed iniziò a spiegare a quel sorriso i suoi errori; tuttavia scoprì che il suo discorso era speculare a quello dell’altro, tanto da poter quasi dire che quelle onde che scorgeva erano al tempo stesso d’erba e d’azzurro.

Poche cose tormentano i bambini, meno che mai la verità: troppo ovvia è per loro la sua luce da pensare di cercarla. Ecco perché da quella prima indignazione dobbiamo passare alla domanda dell’uomo. La questione è semplice: c’erano davvero i leviatani nelle nuvole? La risposta appare ovvia: una mente infantile ha proiettato delle forme a lui note in oggetti di cui semplificava la complessità, per cui potremmo dire che i maestosi animali esistevano in quel pensiero e nella realtà che accolse. La razionalità di una risposta deve sempre essere misurata sulla sua capacità di convincere una mente semplice, e questo bimbo è ancora perplesso. Quelle nuvole possedevano davvero pinne, bocche e denti, semplicemente nessuno aveva dato loro quel nome. E se, come il grande Michelangelo, anche il fanciullo avesse solo estratto dalla massa informe una bellezza già presente?

L’uomo appare già più convinto, e mentre il bambino si volge ad altro, lui inizia a chiedersi quante bellezze possa svelare lo sguardo. Alcune saranno caduche, altre durature, ma tutte mostreranno un mirabile connubio fra realtà e pensiero. Ma se il guizzo di una mente infantile scolpisce qualcosa di non più duraturo di un profumo, nonché di altrettanto superficiale, quale sarà il frutto di un pensiero legato a ciò che è eterno e non passa, anteriore allo stesso oggetto; qualcosa cioè di fronte alla quale ogni realtà appare fugace come una nuvola ed altrettanto incapace di trovare, autonomamente, un senso ed una forma?

L’uomo rinato ora comprende e sospira; ricorda il proprio presente e scopre che nel pensiero di quel Dio che lo trovò indignato anni fa ora la realtà gli appare libera, spogliata da ogni disarmonica indifferenza. I suoi occhi sono aperti, ma ogni giorno li riapre e gioisce nel vedere che quella bellezza che ha scoperto permane, scorre stabilmente da e verso un Centro la cui presenza è tanto certa quanto velata a molti, come gli oceani di quel bambino.

L’uomo non s’indigna più ma si commuove: tanti sono i sorrisi simili a quello a lui caro, incapaci di scoprire la bellezza che è davanti ai loro occhi. Tuttavia ha speranza: se quel sorriso alla fine scorse una forma guizzante, allora le nuvole di oggi potranno essere viste da molti altri informate da quell’Amore che mai le scorda.


Riconoscimenti per le immagini: per la copertina, elaborazione della foto originale di Alexander Gerst, “World of clouds | Wolkenwelt”.

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Quando il Signore mi venne a cercare, la mia mente vagava confusa nei caldi spazi dell’inedia, talmente carica di nulla da non poter portare altro con sé. Il mio corpo invece si preparava ad un indefinito inverno nella città di Ancona, gioiello del medio Adriatico (si fa per dire). Nella patria del pesce e del “mosciolo”, per un leggiadro scherzo della Provvidenza, sono nato quasi trentadue anni fa con una sentita inimicizia fra me e qualunque carne marina. La chiamata del Signore mi vide studente in storia ed appassionato consumatore di storie: racconti di tutti i tipi e narrati da aedi di tutte le arti. Ora che lo Spirito mi ha indirizzato nella famiglia di San Domenico ho posto questo mio nulla nelle mani della Vergine Maria e del caro Castigliano e chiedo loro quotidianamente di mostrarmi in ogni storia, vera o immaginaria, la traccia del Divino che lì soggiace. Ora che sto a Bologna studio come studiando rendere omaggio a Dio. Per contattare l'autore: fr.giuseppe@osservatoredomenicano.it