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Abbiamo da pochi giorni iniziato l’itinerario quaresimale, momento forte per la vita della Chiesa come per ciascuno di noi. È il tempo questo delle rinunce, dei “fioretti”, dei tagli per l’appunto, come indica il versetto giovanneo: “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto”(Gv 15,1-2).

Sono atteggiamenti questi che richiedono costanza, per crescere bene e in maniera virtuosa, progredendo nel cammino di fede.

Voglio proporre anch’io un fioretto: vivere la virtù (cardinale) della temperanza. Perché la temperanza? Abbiamo già detto che è una virtù, ma vediamo meglio il significato di questo termine. Subito sentiamo che viene da “tempo”, temperatura, temperamento, tutti vocaboli che vogliono dare il senso della “misura”. Temperare significa abbandonare, lasciare qualcosa, perdere una parte per risultare più incisivi. È necessario che una parte di noi venga abbandonata per essere più acuti, più determinati. Sono le parole del Vangelo, il Padre taglia, o meglio pota, perché il tralcio porti frutto altrimenti non serve, occupa solo dello spazio, fino probabilmente a diventare dannoso per gli altri rami.

Quanto e quando si deve tagliare? Fa male ed è faticoso da realizzare questo, ma quanto mai importante. C’è una parte, anche di noi, che in sé è buona, serve, ma che può diventare un peso, un ostacolo e un intralcio, che ci impedisce di essere noi stessi e di camminare, e che per questo va tagliata, lasciata.

Temperanza significa proprio questo, che mi sono reso conto che quel qualcosa non mi è più necessario, che posso perderla a mio vantaggio, per salvare me stesso.

Attenzione: quello che tagliamo non sempre è in sé un male, ma ci sono delle priorità nella vita che presto o tardi vanno date. Temperanza significa proprio questo, che mi sono reso conto che quel qualcosa non mi è più necessario, che posso perderlo a mio vantaggio, per salvare me stesso.

Un altro significato celato nel termine viene dal greco e significa “poter su di sé“, cioè dominio di sé. Sapersi controllare, governare, perché io sono padrone di me stesso anche e soprattutto quando so dire dei no. Diventa ancora più efficace quando lo applichiamo alla vita interiore. Occorre determinazione e convinzione, perché quando vogliamo a tutti i costi qualcosa quanti no sappiamo dire! Si tratta allora, di scegliere i mezzi per raggiungere l’obiettivo, anche se a volte questo comporta delle difficoltà. Dire dei no non è fine a se stesso: un no secco talvolta ci aiuta a riappropriarci di noi stessi, a deporre falsi padroni, a riprenderci la nostra vita. Però, ogni no deve fermentare come un buon vino, deve essere soggetto ad un processo, e trasformarsi in un  detto più autenticamente.

Questo accade lungo tutto il processo che porta a farci gustare un buon calice di vino. Una serie di tagli, trasformazioni e lavorazioni che conducono al risultato. Anche per il vino poi si usa dire ‘temperare’, che significa ‘mescolare’. I Romani per esempio, usavano mescolarlo con l’acqua per renderlo meno forte, o ancora, si usava mescolare il mosto con l’acqua, che è la parte più densa, per far sì che venisse fuori un buon vino. Se ci fate caso, anche durante la celebrazione Eucaristica si compie questo ‘rito’ durante l’offertorio, che riveste poi ovviamente dei significati più spirituali e simbolici.

Coraggio allora, dritti allo scopo, se l’uva rimanesse legata al tralcio non diventerebbe mai vino, così anche noi decisi andiamo verso l’obiettivo, arriva infatti il momento in cui nella nostra vita il Signore manda i Suoi servi a ritirate il raccolto. Vorremmo sicuramente dargli frutti maturi (Cfr. Lc 20,10). Pensiamo a Cristo e al Mistero che nella Pasqua celebriamo. Lui, non ha tagliato o lasciato solo qualcosa, ma ha abbandonato e dato tutto Sé stesso in obbedienza alla volontà del Padre, fino a versare il sangue sulla Croce per redimerci dal peccato. Egli, come ci ricorda il bellissimo inno cristologico, “pur essendo di natura divina non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, […] facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2,6-11).

… e dopo il sacrificio quaresimale, dalla passione al passito! Vi consiglio di accompagnare le vostre colombe pasquali con questo meraviglioso vino:

Stella Tullie“, è prodotto nel Salento ed è un moscato IGP leggermente passito di colore giallo dorato. Gustatelo in compagnia per accompagnare i dolci pasquali ad una temperatura di 10°.

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